...










 

 

 

 

 

 







 
d



Lo Cicero: "Mezzogiorno, occorre ripartire dalle Cassa"


"Si, abbiamo l'ambizione di promuovere un'altra idea del Mezzogiorno, perché è solo sulla base di idee nuove che si può mettere mano a nuova politica per il Sud, che ne ha bisogno come il pane".Massimo Lo Cicero, docente di Economia all'università di Roma- Tor Vergata e direttore scientifico dell'Osservatorio per il Mezzogiorno della Fondazione Ideazione, non nasconde le ambizioni del documento che oggi alla Fiera del Levante sarà al centro prima di un ultimo approfondimento tra i membri dell'osservatorio e pio di un confronto con il governo nazionale( ci sarà il viceministro per l'Economia con delega per il mezzogiorno Gianfranco Miccicchè ) e con le regioni e gli altri enti locali.

Professor Lo Cicero, rispetto a chi e a che cosa la vostra idea del Mezzogiorno è "altra"?

Nel Mezzogiorno e sul Mezzogiorno ha guadagnato spazio, fino a divenire pressoché dominante l'idea che non esista più un problema di divario tra il Sud e il resto del paese, anche nella versione diciamo così attenuata, che il divario non sia poi così importante, non conti. Ora i fatti, gli indicatori reali, dicono invece che il divario c'è ancora, e dunque bisogna capire perché non si riesce a rimontarlo, e, a mio avviso conta eccome perché ci allontana non solo dal tenore di vita ma anche, ed è un tema che sfugge spesso agli intellettuali, dalla cultura e dal modo di pensare dell'Europa e ci rende per provinciali.

Perché il tema sfuggirebbe agli intellettuali meridionali?

Forse perché non essendo loro provinciali non riescono a cogliere che la loro non è una condizione generalizzata. Ma questo è un dato marginale, rispetto a quelli materiali che dovrebbero preoccupare tutti, alla vigilia dell'allargamento a Est dell'Unione Europea.

Perché l'allargamento dovrebbe preoccupare il Sud?

Prenda la Campania: nel 2001 ha un reddito pro capite di circa 14mila euro; la Slovenia, uno dei paesi che deve entrare nell'Ue, lo ha di 16mila euro.

Altre regioni meridionali però stanno meglio: non è che il Mezzogiorno non esiste più, frammentato ormai in molti "mezzogiorni"?

Non credo, il Mezzogiorno è omogeneamente un'area a sviluppo arretrato, dalla quale, forse si sono staccati Abruzzo e Molise. La percezione esterna che si ha è che il Mezzogiorno è omogeneamente arretrato, privo di istituzioni finanziarie autonome, senza connessioni di trasporto tra le sue parti interne e non autonoma sotto il profilo energetico. E alla fine è la percezione che gli altri hanno di noi a dire la verità su di noi.

Eppure tra Puglia e Campania anche gli indicatori reali segnalano differenze importanti, per esempio in materia di occupazione…

In tempi di globalizzazione le differenze tra Puglia e Campania anche in termini di occupazione sono variazioni minime all'interno di un'area lontanissima dalla pressoché piena occupazione del Centro-Nord. Dopo di ché è vero che l'Italia è percorsa anche da una divisione tra Est e Ovest, come vediamo bene in qusti giorni della crisi della Fiat".
In che senso, scusi?

Fin qui la vostra analisi del Mezzogiorno. E allora, che fare?

Che a Ovest (Torino, Napoli, Termini Imerese) assistiamo alla fine del fordismo, mentre a Est, dal Veneto alle Marche alla Puglia c'è più vitalità imprenditoriale, ma è capitalismo selvatico più che selvaggio, un capitalismo senza Thomas Mann.
Io penso che dovremo tornare a guardare all'impianto nittiano, quello che presiedette all'attività di Benedice, alla costruzione dell'Iri e alla prima ondata di industrializzazione, all'azione di uomini come Menichella, Saraceno, Carli. E' un modello di grande modernità, basato su quelle che oggi si definiscono special pur pose entities, strumenti per fini specifici, che teneva fuori dall'economia lo stato come organizzazione nello stesso momento in cui lo lascia come sponsor.

Ma attraverso le Partecipazioni statali lo Stato interveniva eccome in economia…

Le faccio un altro esempio: il Crediop svolgeva i compiti che oggi Tremonti vorrebbe affidare alla Patrimonio spa, ma non era una macchina dello Stato, era una srl di cui lo stato era socio e, almeno nell'impianto originario, operava secondo le regole del mercato. Il Mezzogiorno è oggi così dipendente dai flussi della spesa pubblica perché l'impianto degli enti dell'intervento straordinario è diventato di tipo statalistico: ma questa fu la conseguenza dell'abbandono dell'asse De Gasperi- Einaudi e dell'immersione della Dc nel centrosinistra.

Non che Einaudi stravedesse per l'intervento straordinario. Che infatti per parte laica fu opera degli ex azionisti.

La cui prospettiva, potremmo dire con Croce, era liberale e non liberista. Ecco : con il seminario di oggi lanciamo tra le macerie dello statalismo fordista West side e i cespugli selvatici del nuovo capitalismo East side una la prospettiva liberale.

E come si potrebbe tradurre, nel concreto questa prospettiva liberale e non liberista?

Bisogna creare istituzioni dedicate alla risoluzione del problema del Mezzogiorno.

Un ritorno alla Cassa per il Mezzogiorno?

Solo a patto che si recuperi l'ispirazione originaria, all'americana, di quel tipo di strumenti; ovvero sottraendolo al controllo delle assemblee elettive.Anche per riscattare quello che potrebbe essere stato un errore, certamente non intenzionale, dell'ultimo dei nittiani, Carlo Azeglio Ciampi.

Di che errore sta parlando?

Quando l'attuale Presidente della Repubblica ha inventato nel quadro dell'austerità degli anni Novanta, sollecitando il Mezzogiorno a contare sulle proprie forze, ha riproposto un modello tutto interno al settore pubblico, nel quale i più attivi sono i consorzi tra aziende, le banche, le società che gestiscono le infrastrutture, non i comuni. Una rete di comuni, regioni attive e una macchina amministrativa efficiente sono necessari, ma non sufficienti per un Mezzogiorno che si ritrova con lo stesso problema che aveva negli anni Cinquanta, ma con una dotazione di partenza peggiore.

Addirittura?

Allora avevamo il Banco di Napoli e la Sme, autentiche 'istituzioni' economiche dell'intero Mezzogiorno. Oggi non esistono più aziende grandi come il Mezzogiorno e la cattiva integrazione, anche materiale, dell'area impedisce che ne nascano di nuove. Certo, abbiamo una dotazione più ampia di cinquant'anni fa, ma non è detto che sia ciò di cui il Mezzogiorno ha bisogno adesso.

(dal Corriere del Mezzogiorno del 24 ottobre 2002)