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Il convegno. Mezzogiorno piagnone? Non c'è più
di Fabio Del Prete

"Un'altra idea del Mezzogiorno", "Ripensare il sud oltre il Meridionalismo", oddìo, un altro convegno sul sud piagnone! E invece noi, proprio no, questa convenzione di intelligenze, organizzata dalla Fondazione Ideazione qui a Bari il 24 e 25, di piagnistei ne ha fatti ben pochi. Assodato che, come ha ricordato il suo mentore Domenico Mennitti, nostro parlamentare europeo e grande animatore di iniziative culturali, non si può e non si deve dimenticare come siano sorte le questioni e da quanto lontano vengano, non ci si può accordare a quanti, avventurandosi oggi nella critica alla legge finanziaria in itinere, sembrano quasi ritenere che la questione meridionale sia esplosa ieri. Così non è: senza nostalgie per un irripetibile passato assistenziale, ma anche senza aver paura di toccare dei tabù. Farne una questione da Legge Finanziaria è anche poco chiarificatore: l'arretratezza dello sviluppo delle regioni meridionali è questione strutturale che sarebbe vano affrontare con uno strumento di ordine congiunturale quale è la legge finanziaria. Anche se bisogna stare allerta sui segnali che dal DPEF arrivano e che non sono del tutto benevoli per il Mezzogiorno. Il primo problema strutturale è dato dalle difficoltà e carenze del sistema di finanziamento nell'area: nel giorno in cui viene dichiarata ufficialmente la morte del Banco di Napoli, assorbito dal San Paolo di Torino (di tutte le soluzioni possibili, è stato detto, la peggiore e più penalizzante per il Meridione), è stato giusto ed opportuno sottolineare come il sud sia andato rapidamente perdendo praticamente tutti quegli elementi che, più efficacemente guidati ed integrati, avrebbero potuto costituire il sistema di finanziamento dell'area, che, invece, ora è paurosamente assente (ricordiamo Caripuglia, Banca 121,…).

In questa contingenza di rallentato sviluppo generale, ben poca consolazione può derivare dal fatto che il tasso di crescita del Pil a Sud sia razionalmente più alto di quello nazionale: il Mezzogiorno -ha dimostrato Lo Cicero, estensore del documento di lavoro- rallenta meno quando l'economia va male, perché, vivendo "sussidi e trasferimenti da parte della macchina pubblica per infrastrutture, incentivi, sussidi, ecc., non risponde agli stimoli del mercato, ma alla routines della burocrazia". Se, anziché tra Nord e Sud, come di prammatica, si ragionasse in termini di west-side ed east-side, vedremmo l'Italia secondo assi verticali, il primo, Torino -Napoli -Termini Imerese, l'altro, Traviso -Ancona -Bari, e ne capiremmo non solo la diversità per struttura produttiva (grande impresa il primo, piccole e medie dimensioni il secondo), ma soprattutto la diversa filosofia politica (concertazionale grande impresa- governo- parti sociali il primo; regno del liberalismo selvatico, invece, il secondo, potenzialmente anarchico). Al momento, è stato il primo asse a prevalere e a determinare, nell'idea di Mennitti, la Lega di Bossi, il rischio del secessionismo, l'attuale favore per la devolution. Si arriva a capire, allora, che, tra il fordismo e il liberalismo selvatico, è meglio scegliere un liberalismo fondato sulle istituzioni per dare soluzione alla persistenza del divario dualistico tra nord e sud, con il secondo in posizione di dipendenza.

Ma là dove tutti i problemi vengono al pettine è il rapporto del Sud con l'Europa: stiamo allargando l'Unione a Paesi che aspirano ad essere aiutati e hanno un reddito pro capite superiore a quello meridionale, e che per di più saranno diretti concorrenti delle sue produzioni. E' chiaro, allora, che soltanto generando un differenziale di convenienza in termini di efficienza delle Amministrazioni locali, di diversificazione di sistemi previdenziali e fiscali, di infrastrutturazione adeguata alle necessità delle imprese, il Sud sarà in grado di competere. Anche con imprese di old economy, purché capaci di innovazioni, pur consci che produrre innovazioni è cosa diversa dal consumarla. Nella sua "controrelazione" Viesti ha sostanzialmente ribattuto che molti dei miti negativi sul Mezzogiorno hanno cominciato a rovesciarsi già negli anni '90, anche se non si è giunti allo sviluppo autosostenuto, ed è stata prevalentemente una storia di piccole robuste realtà locali. Il che porta a sostenere soluzioni federalistiche che- ha replicato Lo Cicero- dovrebbe comunque essere strumento di unione, laddove la modifica del titolo V della Costituzione sembra essere fatta per dividere. Perplessità condivisa, mi sembra da Meale, che ha rilevato come in un quadro non limpido di competenze paritetiche tra livelli di governo, in cui, ad esempio, al Comune compete l'amministrazione e alla Regione il legiferare, si finisca per avere una proliferazione confusa e divaricatrice di poteri.

(dal Corriere del Mezzogiorno del 29 ottobre 2002)