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Mezzogiorno, l'altra idea
di Michele Cristallo

Il Mezzogiorno deve recuperare la dimensione dello studio, dell'analisi, della proposizione. Deve, in sostanza, ritrovare il luogo del confronto e dell'elaborazione progettuale che ha rappresentato una delle componenti fondamentali di una dialettica che negli ultimi anni ha perso colpi. E' l'opinione dell'europarlamentare Domenico Mennitti, presidente della Fondazione Ideazione. Con questo spirito la Fondazione ha costituito l'Osservatorio sul Mezzogiorno, che si è presentato a Bari con un documento dal titolo "Un'altra idea del Mezzogiorno". Un documento elaborato da un Comitato composto da esperti, studiosi, operatori economici, docenti universitari, discusso prima con le autorità del governo nazionale e delle regioni meridionali e, successivamente, presentato nel corso di una tavola rotonda con interventi del vice-ministro dell'economia Gianfranco Miccichè, del presidente della Regione Puglia On. Raffele Fitto, del prof. Massimo Lo Cicero, coordinatore del comitato scientifico dell'Osservatorio, del prof. Gianfranco Viesti, economista (coordinatore Domenico Mennitti). Un'altra idea del Mezzogiorno, dunque, per approfondire l'analisi e per proporre interventi. Si parte dall'analisi delle cause di fondo del ritardo meridionale, individuato nel marcato divario nel reddito pro capite rispetto al Centro-Nord; nel carattere dipendente dell'economia meridionale dalle politiche adottate per correggere il divario, risoltesi in meri trasferimenti di finanza pubblica e non in aumento della produttività endogena; nell'assenza crescente di intermediari e mercati finanziari nel processo di trasformazione del risparmio in investimento. Problemi strutturali, questi, che generano un circolo vizioso che si accentua nelle stagioni congiunturali come quella che viviamo in questi mesi.

La situazione congiunturale e i segnali che vengono dal mercato del lavoro legittimano le attese di breve e lungo periodo per aumentare il potenziale competitivo delle aree meridionali. Con quali strumenti e quali progetti? Punto centrale dell'analisi dell'Osservatorio della Fondazione Ideazione è il Dpef 2003-2006, il cui obiettivo fondamentale è l'accelerazione della crescita al Sud. Un Sud protagonista di quell'altalena che connota la dinamica del Pil nell'ultimo quinquennio: nel periodo tra il 1996 e il 1999 il Mezzogiorno cresce più del Centro-Nord; nel 2000 è battuto, recupera nel 2001. Una "gara" che si svolge intorno a un tasso di crescita del 2%; valore "ridicolo2, se si pensa che negli anni Sessanta il tasso di crescita annuale viaggiava ad un ritmo superiore al 5%.

Oggi, rileva l'Osservatorio, se si scompone l'Italia in quattro aree, si nota che i "nuovi deboli" sono gli abitanti del Nord-Ovest, i "nuovi forti" sono quelli del Nord-Est e del Centro. Ebbene, il Mezzogiorno cresce più del Nord-Ovest, ma meno dei "nuovi forti" del Nord-Est. Con questo non si può affermare che "a Torino oggi vivano male come nell'Aspromonte". La verità è che l'economia del Nord-Ovest è più lenta, ma è ancora grande. In più, dispone di una rappresentanza politica forte, capace di "cavalcare l'onda della coesione sociale per assicurare la tutela degli interessi presenti nella comunità". Al contrario, "la società meridionale non è coesa e non è in grado di offrire una base oggettiva ad una credibile rappresentanza politica". Ecco, questo è un punto di debolezza di particolare valenza. Con l'aggravante che nella cabina di regia della politica economica c'è maggiore attenzione alla delicata trasformazione del triangolo industriale del Nord-Ovest, piuttosto che alla ancor più delicata operazione di ricostruzione di un equilibrio economico per il Mezzogiorno. Il governo di queste asimmetrie territoriali diventa un imperativo che coinvolge l'intero apparato economico nazionale. E' in questo la centralità del problema Mezzogiorno, sempre conclamata, difficilmente ravvisabile nei fatti.

Ma c'è il Patto per l'Italia (di cui si discute e polemizza in questi giorni) sottoscritto da governo e parti sociali con l'obiettivo di fornire alle aree deboli del Paese, infrastrutture, tutela della legalità, applicazione intelligente delle politiche europee di coesione, ricerca e innovazione tecnologica. Obiettivi e strumenti ben delineati, sia pure con il rischio di alimentare l'ennesimo libro dei sogni se non saranno soddisfatte due condizioni essenziali: la capacità delle imprese di guardare nella direzione di nuovi prodotti, dell'integrazione commerciale con il resto del mondo, di ricostruire un sistema finanziario adeguato alle esigenze delle regioni meridionali. L'altra condizione è l'identità economica del Mezzogiorno nel contesto dell'Europa cosiddetta di confine, quando sarà concreto (siamo alla vigilia) l'allargamento dell'Europa ad Est. Se la situazione è questa, quali gli indirizzi per una politica in grado di riaprire il processo endogeno di crescita economica del Mezzogiorno? Una crescita endogena è la condizione necessaria perché il processo di espansione del benessere si consolidi su se stesso e si alimenti una spirale virtuosa. Le direttrici operative sono individuate nella rivisitazione dei processi di decentramento amministrativo politico della macchina statale in termini di sussidiarietà tra i vari livelli territoriali, nella creazione di infrastrutture tariffabili; nella diffusione di strumenti fiscali e automatici per il supporto degli investimenti, nell'allargamento progressivo degli intermediari e dei prodotti finanziari, insieme con il rafforzamento della cultura finanziaria, con una generalizzata espansione delle dimensioni d'impresa e del superamento dela frammentazione del nanismo.

Ma occorre anche soddisfare alcune condizioni di contorno: maggiore internazionalizzazione delle imprese, meridionali; adozione degli incentivi e procedure nelle misure li liberalizzazione e privatizzazione per favorire la formazione di nuovi soggetti imprenditoriali con solide radici nel tessuto produttivo locale; riduzione delle materie di competenza della Pubblica Amministrazione per giungere alla formazione di una classe dirigente capace di alto livello di operatività.
Fin qui il documento dell'Osservatorio. Si tratta, è evidente, di una traccia di lavoro sulla quale si deve innestare un dibattito serio e approfondito per giungere alla definizione di un progetti globale, che abbia connotati di concretezza e che, soprattutto, sia accompagnato da quella forte e unitaria rappresentanza politica che oggi manca al Mezzogiorno.

(dalla Gazzetta dell'economia del 26 ottobre 2002)