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[IL DOCUMENTO DI BARI]
Limiti ed opportunità del Patto per l’Italia

I contratti vengono scritti per ridurre l’incertezza del futuro: per battere le forze insidiose del tempo e dell’ignoranza del domani che, normalmente, percepiamo come incertezza che annebbia la nostra percezione del rischio.Ma i contratti sono il binario che deve governare i comportamenti delle parti che intendono raggiungere un traguardo comune nonostante quell’incertezza e nonostante il rischio che si associa alla decisione di agire senza avere la piena contezza delle conseguenze dell’azione. I contratti non possono essere “completi” proprio perché non possono descrivere il futuro nella sua imprevedibile manifestazione.Ma contratti velleitari e contraddittori possono allontanare, non avvicinare, le parti al risultato atteso. Così come l’opportunismo e l’ignavia delle parti possono far degenerare l’esito di contratti che pure avevano disegnato incentivi e percorsi adeguati.Di buone intenzioni, e di opportunismo individuale, è lastricata la via dell’inferno lungo la quale, spesso, si inoltra, senza averne consapevolezza, il percorso delle comunità in cerca di un’accelerazione della propria crescita.

L’impegno politico delle parti sociali e del Governo sull’obiettivo di fare espandere l’economia del Mezzogiorno e di risanarne, in parallelo, il tessuto sociale e la rete delle amministrazioni pubbliche è netto ed esplicito nel testo del Patto per l’Italia.Gli annunci contano e non generano solo effetti di immagine: l’esistenza del Patto non è un atto simbolico ma diventa una sponda, ed una leva, per chi vuole ottenere quei risultati.Gli obiettivi del Patto sono quelli necessari: infrastrutture, tutela della legalità e dei contratti, applicazione intelligente delle politiche europee di coesione, ricerca ed innovazione tecnologica.

L’elenco degli strumenti è diligente e la ricognizione delle opportunità è esaustiva: contratti di programma, riqualificazione della spesa pubblica, “legge obiettivo” per le grandi opere pubbliche, riorganizzazione della macchina amministrativa, ridefinizione della missione e dello stile di lavoro dei grandi enti pubblici, coordinamento e coerenza nelle azioni dei vari livelli di Governo, nazionali e locali.Concentrazione del credito d’imposta solo nell’area meridionale e cumulabilità dello stesso con la Tremonti bis.Un fisco amico dell’impresa che investe con successo, che, progressivamente, dovrebbe sostituire l’amministrazione pubblica nella selezione delle imprese cui concedere capitale a tasso zero.Obiettivi e strumenti sono ordinati in una sequenza di azioni: che ne garantisce il monitoraggio sullo stato di attuazione; che attrae progetti aggiuntivi e semplifica l’iter delle relative autorizzazioni; che punta a riforme istituzionali ed alla diffusione di comportamenti sociali che tutelino gli investimenti; che colleghi meglio le risorse finanziarie disponibili alle priorità individuate in termini di consumi collettivi e beni pubblici.

I limiti di questa architettura sono solo due, a volere essere critici ed intellettualmente onesti fino in fondo.La lettura del testo non restituisce una sensazione che avremmo voluto, al contrario provare: la percezione che la molla principale della crescita meridionale sarà rappresentata dalla capacità delle imprese di aggredire e battere le forze oscure del tempo e dell’ignoranza: come diceva Keynes per descrivere la molla profonda che determina la decisione di investire in condizioni di incertezza.del lettore è che il risultato - che ci auguriamo ci sia - dovrebbe essere essenzialmente il frutto dell’impegno di rinnovamento prodotto nei confronti di una macchina pubblica arrugginita, incapace ed incoerente. Sarà il frutto di uno Stato che ritrova il proprio ruolo di provider della crescita economica. Ma, l’esistenza del provider è solo la condizione necessaria di questo risultato: il traguardo finale si può conseguire solo in presenza di una vera e propria riscossa imprenditoriale.

Una riscossa che è fatta di allargamento nelle dimensioni d’impresa, riposizionamento degli investimenti in direzione di nuovi prodotti e non solo di nuovi processi produttivi, integrazione commerciale con il restò del mondo e ricostruzione di un sistema finanziario degno di questo nome nelle regioni meridionali. L’economia del Mezzogiorno crescerà a tassi più alti della media europea, come l’ultimo DPEF annunciava ed il Patto per l’Italia si attende che avvenga, se avrà legalità e civilità, opere pubbliche e buona amministrazione, tensione morale ed intelligenza politica delle classi dirigenti ma anche se avrà una maggiore integrazione con il mercato globale, una maggiore presenza di intermediari finanziari, un maggiore ruolo sociale delle imprese di successo come modelli di eccellenza.

Questa scelta per l’integrazione con il processo di globalizzazione del mercato mondiale dovrebbe essere più chiara ed evidente perché questa è la strada di una duratura emancipazione dalla marginalità e dal bisogno.Come ripete da tempo Amartya Sen, la globalizzazione è un’opportunità di libertà e di benessere: essa è la condizione per generare le risorse necessarie per allargare il benessere di gruppi sociali e di territori che da quel benessere sono stai fino ad ora tagliati fuori.
Il secondo limite del documento è una prospettiva sfocata della strategia mediante la quale realizzare questa integrazione con l’economia mondiale.L’allargamento dell’Unione ad Est provocherà tensioni nelle politiche di coesione e determinerà un problema d’identità economica per le regioni dell’Europa meridionale e per quelle dell’Europa occidentale.

Esiste una “corona” che circonda il cuore franco-tedesco dell’Europa che viene indebolita oggettivamente dalla dimensione degli interessi, sociali ed economici, che l’integrazione e la modernizzazione dei Paesi ex socialisti spingono prepotentemente sulla scena. Il Mezzogiorno è una parte importante e debole di questa vasta area depressa dell’Europa che è anche alla ricerca di un’identità, di una ragione per esserci: che la distingua dal nocciolo duro franco-tedesco.
L’impresa, il mercato globale e l’identità dell’Europa di confine sono, insomma, tre immagini forti. Esse evocano una dimensione della crescita fondata sulla responsabilità individuale. Il Patto per l’Italia, d’altra parte, deve difendersi dal rischio di essere, domani, trasformato nell’ennesimo libro dei sogni: un’aspirazione ad un futuro diverso che si condivide ma si è incapaci di realizzare. Serve anche un’anima a questo Patto per il Mezzogiorno ma è assolutamente importante e giusto che oggi esso abbia un corpo ed uno scheletro attendibili.

novembre 2002