
[IL DOCUMENTO DI BARI]
Introduzione
Il primo ostacolo da rimuovere sulla strada del riscatto del
Mezzogiorno è la diffusa tendenza alla rassegnazione, che
puntualmente si cela dietro la scelta di un nemico sul quale
scaricare la responsabilità dell’andamento insoddisfacente delle
cose. Questo, in fondo, è anche il senso della polemica che
infuria sin dall’inizio dell’autunno: il Sud è sempre al centro
delle contrapposizioni dialettiche e resta marginale, purtroppo,
quando si tratta di passare dalle parole ai fatti, dalle promesse
al reperimento delle risorse ed al finanziamento delle opere.
Appena sono state rese note le linee della legge finanziaria è
scoppiata la polemica sulla povertà degli interventi previsti per
il Sud. Lecito denunziare delusioni e manchevolezze, purché sia
chiaro che la crisi del Mezzogiorno non l’ha provocata il
centro-destra, affidandosi al diabolico asse Tremonti-Bossi, ma
risale all’unità d’Italia e con essa si sono misurate, con
risultati deludenti, varie generazioni di classe dirigente. Anche
quella del governo che ha potuto impegnare nel ministero
dell’economia un personaggio del livello e della competenza di
Ciampi. Diciamolo senza ipocrisie: il ministro del tesoro Ciampi
ha vinto sul fronte dell’Europa, ma ha perduto – anche lui – su
quello del Mezzogiorno d’Italia. Tanto va puntualizzato non per
indulgere al gioco mediocre dello scaricabarile, ma per stabilire
che il centro-destra si sta confrontando con questo delicatissimo
caso in una fase che non si può certo definire di vacche grasse.
Siamo in presenza di una situazione complessa, dalla quale emerge
che le condizioni del Sud sono allarmanti, che il governo non ha
individuato strumenti nuovi per affrontarle, e tuttavia a noi
sembra controproducente, al limite della irresponsabilità,
assumere un atteggiamento di rivendicazionismo esasperato, che è
il primo passo verso la rassegnazione o la rivolta (per il Sud,
purtroppo, due facce della stessa medaglia) Soprattutto è
necessario che la classe dirigente meridionale non smarrisca la
consapevolezza che la battaglia del rilancio, per quanto
difficile, si deve combattere perché la si può ancora vincere.
C’è – è chiaro – l’attualità da gestire, ma per le rivendicazioni
sul presente ci sono le sedi ed i soggetti legittimati ad
intervenire: infatti qualche mese fa, sul tema del bonus fiscale,
il governo, messo alle strette dalle organizzazioni sindacali e di
categoria, trovò una soluzione-tampone, alla quale poi la legge
finanziaria ha cercato di dare una sistemazione più strutturale.
Ed ancora sulla finanziaria è in corso una serrata trattativa tra
governo e parti sociali che successivamente si trasferirà nella
aule parlamentari, dove deputati e senatori utilizzeranno gli
emendamenti per modificare il testo nel senso che riterranno
confacente alla loro visione dei problemi. Ora però c’è bisogno di
una mobilitazione intelligente e più vasta degli interessi
meridionali, perché c’è un altro piano sul quale il Mezzogiorno
paga lunghi silenzi ed inerzie, che diventano più gravi in fasi di
recessione: è quello della progettualità propria, della analisi
sui cambiamenti intervenuti, sulle prospettive concrete che
scaturiscono dalla nuova organizzazione geopolitica dell’Europa,
sul superamento degli schemi sui quali si disegnò e si svolse
l’intervento straordinario.
Intendiamo sostenere che il Sud ha bisogno di provvedimenti
immediati, di interventi e di strumenti finanziari, ma anche di
recuperare la materia prima di ogni progetto: le idee che
orientano una società verso obiettivi di civiltà e di sviluppo. E
non basta evocarle con uno sforzo di fantasia, bisogna che siano
concretamente realizzabili. L’ultima volta – a Catania nel 1998,
era appunto ministro dell’economia Carlo Azeglio Ciampi – il
governo ne propose cento, elencandole in un librone che ricordava
i vecchi piani pluriennali del centro-sinistra all’epoca della
prima reppubblica, ma non una di esse ha retto alla prova dei
fatti. Perché nel Sud è venuta meno la memoria, che si produce
attraverso la continuità. Essendo stato interrotto il filo del
pensiero e dell’azione politica, accade che serpeggi sempre la
tentazione di cominciare daccapo, facendo tabula rasa delle
esperienze delle quali è lastricato il lungo percorso avviato con
l’unità del paese.
Invochiamo perciò sedi ed occasioni di studio, di partecipazione,
di dibattito. Una comunità, che comprende venti milioni di
cittadini, conta per quello che esprime non per quello che chiede
le venga generosamente concesso. La scarsa disponibilità delle
risorse ha reso impraticabile la prassi di investire senza un
obiettivo, nella speranza che emergano blocchi di interessi
meritevoli di sostegno. Ora il processo deve essere invertito, nel
senso che il fenomeno sociale deve precedere quello politico. Ciò
comporterà che diventeranno prevalenti il valore dei progetti, la
creatività degli uomini, il peso delle classi dirigenti.
La questione settentrionale scaturì dagli studi di alcuni centri
culturali del Nord ed in particolare della Fondazione Agnelli.
L’entità territoriale della Padania fu individuata in quegli
ambienti, che sono stati pure i luoghi di incubazione del fenomeno
politico della Lega. Sono almeno vent’anni che la questione
meridionale si è caratterizzata per i suoi aspetti più
inquietanti, primo fra tutti la criminalità organizzata: le
conseguenze sono state la perdita di potere politico centrale
della classe dirigente e la caduta di attenzione per la questione
meridionale, considerata non più nazionale, ma marginale. Una
sorta di peso di cui l’altra parte del paese non ha più voglia di
farsi carico. Il Sud ha vissuto questo lungo tempo subendo
l’offensiva che l’ha rappresentato come l’area del malaffare,
dello sperpero, del personale politico scadente; soggetto perciò a
minacce di secessione che per anni sono state ventilate come
ipotesi concretamente realizzabili. Nel Mezzogiorno si è operato
con la preoccupazione che la debolezza politica ed economica
potesse produrre effetti negativi irrecuperabili; perciò la
partita è stata giocata soprattutto sul piano della gestione
residuale dei vecchi incentivi, riducendo la vertenza ad una sorta
di questione ragionieristica avulsa dalla grande tradizione di
pensiero che ha suggerito anche interventi strutturali che sarebbe
errato valutare in blocco fallimentari.
La questione meridionale peraltro spesso si è espressa in termini
contraddittori e anche di recente abbiamo registrato esultanze
alla notizia che il tasso di crescita del Pil nel centro-nord era
più lento di quello meridionale: il fenomeno, infatti, è stato
letto come una manifestazione di forza da parte del Sud d’Italia.
Ma è stata una interpretazione fuorviante. E’ grazie al
rallentamento dell’economia mondiale che il tasso di crescita del
pil ha rallentato nel centro-nord; nel Sud, invece, aveva prima
una velocità ridotta perché era fuori dal processo di integrazione
globale ed ha rallentato meno perché non era collegato alle grandi
correnti degli affari internazionali. La rivincita sul Nord perciò
è stata solo apparente, mentre permane lo squilibrio enorme nei
livelli di benessere pro capite: in Campania, in Calabria ed in
Puglia il reddito personale medio è di 13.500 euro all’anno,
mentre in Lombardia e nel Trentino è di 27mila euro all’anno. Il
permanere del divario conferma la dimensione critica della
questione meridionale nel suo complesso. Inoltre il mercato e la
demografia stanno reagendo alle persistente criticità. Da quattro
anni regredisce la dimensione assoluta della popolazione
meridionale: non era accaduto neppure durante la grande
emigrazione che, negli anni Cinquanta, generò la concentrazione di
risorse umane nelle periferie industriali del nord.
Peraltro abbiamo varcato la soglia dell’Europa: l’ingresso
prossimo nell’Unione di altri dieci paesi è un evento che
coinvolge direttamente il Mezzogiorno d’Italia, perché vanno
valutati gli effetti che l’allargamento produrrà: da un lato la
perdita di sussidi per le aree economicamente depresse, quelle che
rientrano nel famoso “obiettivo uno”; dall’altro le opportunità di
commerci con aree di mercato che diventeranno più accessibili.
Sono certe perciò alcune conseguenze negative e tutte da costruire
le opportunità di sviluppo, per cogliere le quali pressante è
l’esigenza di accedere a fonti nuove di conoscenza e di
organizzazione. L’accesso ai nuovi mercati, ad esempio, richiede
la valutazione corretta dei mutati equilibri geopolitici del
continente e, sul piano interno, la promozione di iniziative che
rafforzino il sistema delle imprese sui fronti della finanza,
delle infrastrutture, della cultura, intesa come capacità di
conoscenza anche dei rapporti internazionali.
La Fondazione Ideazione punta a recuperare la dimensione della
conoscenza, a ricondurre il confronto sul piano della
progettualità, ad offrire sedi ed occasioni di studio, di analisi,
di proposizione. Con questo spirito ci siamo convocati a Bari e
proponiamo una base di discussione e di confronto. Partiamo dalla
consapevolezza della intrinseca fragilità della società e
dell’economia meridionali per rifuggire dalla suggestione della
polemica contingente e ricercare strumenti e idee capaci di aprire
una fase di sviluppo. Lo stesso spirito ci ha indotti a
predisporre un documento che noi per primi consideriamo un punto
di partenza per costruire con altri – con quanti hanno voglia di
partecipare a questo cantiere – ipotesi di lavoro che facciano
conto sugli interventi del governo, dell’Europa, di tutti gli
organismi che possono essere coinvolti, ma anche e soprattutto
sulla capacità e sulla tenacia dei cittadini del Sud.
Una riflessione prima di chiudere questa rapida introduzione. A
Bari si sarebbe dovuto svolgere nell’ambito delle manifestazioni
organizzate dalla Fiera del Levante un dibattito fra i presidenti
delle regioni meridionali. L’incontro non c’è stato, perché – è la
tesi ufficiale – alcuni presidenti erano occupati in altre
incombenze. L’appuntamento annullato è passato senza suscitare
scandalo e neppure qui vogliamo crearne. Però il fatto che sei
presidenti non trovino modo di far coincidere gli impegni per
discutere della loro maggiore incombenza in occasione della
manifestazione fieristica più importante del Sud è indicativo
dello stato delle cose. Qui l’asse Tremonti-Bossi non c’entra.
Perciò rimbocchiamoci le maniche e ricominciamo a lavorare, a
pensare, a scrivere. E’ più serio e più utile.
novembre
2002
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