INTRODUZIONE
di Giuseppe Pennisi

Le conseguenze sociali, economiche e finanziarie dell'invecchiamento della popolazione sono divenute uno dei temi centrali dell'azione pubblica in tutti i paesi industriali. Come conservare condizioni di prosperità in una società che invecchia è divenuto non soltanto l'argomento di un noto rapporto dell'Ocse, ma l'obiettivo principale delle politiche economiche di molti paesi. Anche se l'invecchiamento della popolazione riguarda svariati aspetti dell'organizzazione sociale e della convivenza civile, esso ha effetti rilevanti sulla tenuta e sulla struttura dei sistemi previdenziali, oltre che sanitari, dei singoli paesi. Il Consiglio europeo di Stoccolma dello scorso marzo ha concordato di estendere l'attività di coordinamento anche ai sistemi pensionistici dei paesi membri, prevedendo che il Consiglio europeo di Barcellona del marzo 2002 esamini un rapporto dettagliato sulla qualità e sostenibilità dei sistemi pensionistici che dovrebbe essere redatto in via provvisoria entro il prossimo dicembre.

Anche in Italia il processo di invecchiamento della popolazione influenza pesantemente le prospettive di mantenimento di standard pensionistici soddisfacenti e rischia di compromettere le prospettive di competitività e di crescita potenziale dell'economia nonché la salvaguardia delle posizioni più deboli. Nel nostro paese, l'allungamento delle aspettative di vita e la rapida diminuzione del tasso di natalità, entrambi ai primi posti tra i principali paesi europei, hanno comportato e ancor più comporteranno in futuro un forte innalzamento del tasso di dipendenza degli anziani (rapporto tra popolazione con età di almeno 65 anni e popolazione in età compresa tra 15 e 64 anni). È anche cresciuto e tende ancora a crescere secondo dinamiche connesse ai requisiti richiesti per le prestazioni previdenziali e al tasso di occupazione, il rapporto tra pensionati e occupati; quindi, tende ad accentuarsi, a parità di aliquote unitarie, lo squilibrio tra erogazioni e contributi.

I problemi di sostenibilità finanziaria, che il rapido invecchiamento della popolazione pone per qualsiasi sistema previdenziale, sono aggravati nel caso italiano, oltre che dalla maggiore intensità di tale processo, da alcune caratteristiche originarie del nostro sistema pensionistico e da alcune carenze delle riforme attuate nel corso degli anni Novanta. Il presente rapporto intende riesaminare tali caratteristiche e carenze, cercando di fornire un ampio panorama delle posizioni assunte e delle proposte formulate sui principali aspetti della questione previdenziale al fine di individuare sia la gamma di soluzioni possibili sia quei punti comuni che devono caratterizzare qualsiasi ulteriore riforma si voglia allestire.

All'origine di molti aspetti negativi dell'attuale sistema previdenziale non vi è tanto, come illustrato nel primo capitolo, l'abbandono del sistema contributivo a capitalizzazione prevalente in Italia sino alla seconda guerra mondiale, in quanto è evidente che qualsiasi sistema previdenziale può distribuire soltanto ciò che viene correntemente prodotto, anche se ciascun sistema può esercitare incentivi diversi sul livello di consumi, risparmi, investimenti e, dunque, produzione e reddito. Il fatto è che alla base del sistema previdenziale retributivo a ripartizione affermatosi in Italia nel secondo dopoguerra vi sono, più che buone ragioni tecniche a favore di un sistema a ripartizione, una impostazione ostile all'iniziativa economica individuale; nella sua introduzione e generalizzazione, ciò ha determinato ingenti ingiustizie e una forte spinta all'evasione e all'elusione, alimentando un circolo vizioso tra squilibri finanziari, aumenti delle aliquote contributive, restringimento delle basi imponibili e freno alla crescita dell'occupazione.

L'esigenza, in primo luogo, di evitare una crisi finanziaria e, in secondo, di rispettare i criteri di finanza pubblica fissati per la partecipazione all'Unione Monetaria Europea (Ume) hanno portato all'avvio di importanti riforme nel 1992, 1995 e 1997. Tali riforme hanno consentito, introducendo anche principi di modifica strutturale del sistema, di evitare l'accentuarsi degli squilibri finanziari, imponendo un freno alla crescita della spesa pensionistica; essa, però, rimane, anche in prospettiva, su livelli più elevati di quelli europei. Le riforme già varate hanno anche ridotto alcune disparità di trattamento presenti nel sistema, uniformando in prospettiva i tassi di rendimento per tutti gli iscritti. Ma, insieme a questi aspetti positivi, le riforme degli anni Novanta non hanno eliminato e in taluni casi hanno accentuato, alcuni importanti aspetti negativi del sistema sotto il profilo dell'equità, dell'efficienza e della sostenibilità finanziaria. Si è, infatti, accentuata la differenziazione tra lavoratori dipendenti maturi e giovani, si è peggiorata la posizione relativa degli autonomi e si è confermata la mancanza di un vantaggio per i bassi redditi, trascurando le caratteristiche peculiari della nostra struttura produttiva e occupazionale, ignorando le trasformazioni profonde del mercato del lavoro, aggravando il drammatico problema dell'emersione del lavoro sommerso. 

I riflessi sul bilancio pubblico e sullo sviluppo dell'economia reale di queste gravi carenze delle riforme degli anni Novanta sono esaminati nel secondo capitolo del rapporto. Nonostante i freni alla spesa, introdotti con le riforme, non si intravedono tendenze definite di una riduzione del deficit previdenziale, con il rischio di non poter rispettare gli impegni assunti con il programma di stabilità e crescita dell'Ume. Oppure di doverlo fare sacrificando ulteriormente lo sviluppo e l'occupazione per effetto di una dinamica del prelievo tributario e contributivo relativamente svantaggiosa rispetto a quella delle principali economie concorrenti. Oppure ancora di dover contenere le spese pubbliche dirette ad accrescere la competitività e l'innovazione della nostra economia e a fronteggiare le situazioni di disagio dei ceti più deboli. Queste preoccupazioni rimangono fondate pure assumendo ipotesi alternative circa l'evoluzione dei tassi di fecondità, mortalità e immigrazione, e circa l'andamento dei tassi di attività e di occupazione e della produttività. Anche se i risultati delle analisi circa gli effetti delle modalità delle prestazioni e del finanziamento dei sistemi previdenziali sulle decisioni di risparmio, investimento, offerta e domanda di lavoro appaiono incerti e condizionati dalle ipotesi a lungo termine ad esse sottostanti, si può fondatamente ritenere che molti aspetti dell'attuale sistema previdenziale italiano contribuiscono a deprimere il potenziale di crescita dell'economia nel lungo periodo e a rendere il sistema stesso finanziariamente insostenibile, accentuando le distorsioni sul mercato del lavoro, disincentivando l'occupazione palese, e mantenendo forti disparità di trattamento tra diverse generazioni, categorie produttive, e classi di reddito. 

L'esigenza di intervenire per rimuovere o ridurre i persistenti effetti negativi del sistema risultanti dalle proiezioni e analisi oggi disponibili richiede, per poter definire modalità appropriate di intervento, che siano rimosse alcune lacune informative del nostro sistema pensionistico obbligatorio. Queste lacune sono richiamate nel terzo capitolo, dove si esaminano in particolare i dati relativi alla gestione "lavoratori dipendenti" dell'Inps. Pur con le limitazioni informative ricordate, l'analisi evidenzia alcuni interessanti e spesso trascurati aspetti connessi con le dinamiche demografiche e con i loro effetti sul mondo del lavoro, oltre che con le strutture occupazionali e retributive secondo le dimensioni d'impresa, e con le strutture per classi di età di pensionati e per tipo di prestazioni previdenziali.

Una estensione di tale tipo di analisi, sulla base di più ampie basi informative, è essenziale per valutare le varie proposte di riforma del nostro sistema previdenziale recentemente formulate. Per inquadrare tali proposte nelle tendenze ed esperienze di riforma che si sono avute negli ultimi anni in quasi tutti i paesi industriali dell'Ocse e in alcuni paesi in via di sviluppo, nel quarto capitolo si esaminano le principali di tali esperienze secondo uno schema che consente di confrontarne i motivi, le caratteristiche, gli effetti e i limiti. Al fine di evitare affrettate imitazioni, oltre a sottolineare il carattere spesso composito (tra sistema contributivo e retributivo, a capitalizzazione e a ripartizione, pubblico e privato, obbligatorio e volontario), si precisano le condizioni di successo delle varie riforme legate alle prevalenti strutture demografiche, produttive e occupazionali, al funzionamento dei mercati del lavoro e finanziari, ai costi amministrativi e alle misure di regolamentazione, e ai tempi e modalità di transizione dal vecchio al nuovo sistema. 

Gli insegnamenti che si possono trarre dalle esperienze di riforma di altri paesi vanno tenuti presenti quando si confrontano, come si fa nel quinto e ultimo capitolo, le principali proposte di riforma sul tappeto. Per esigenze espositive, ciascuna di queste proposte è esaminata, nella sua impostazione logica di fondo e nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto alla struttura del nostro sistema previdenziale pubblico obbligatorio quale risulta dopo la riforma del 1995. Per ciascuna proposta sono richiamate: le motivazioni di principio, le correzioni tecniche richieste a regime per assicurare sostenibilità e stabilizzazione finanziaria e per ridurre le differenziazioni di trattamento e le distorsioni produttive e occupazionali, e il percorso previsto per la fase di transizione.

Le proposte esaminate sono quelle che prevedono la piena e accelerata attuazione del meccanismo contributivo a ripartizione introdotto con la riforma del 1995, correggendone alcune incoerenze e insufficienze; quelle che si propongono un rapporto più equilibrato tra il meccanismo contributivo e il sistema a ripartizione retributivo, recuperandone la funzione redistributiva diretta a temperare l'approccio individualistico del primo; quelle che si basano su un sistema a due pilastri, l'uno a ripartizione contributivo e l'altro a capitalizzazione, essenzialmente al fine di minimizzare, diversificandoli, i rischi del sistema; quelle che si rifanno a un sistema a tre pilastri, assegnando a ciascun pilastro previdenziale (pubblico a ripartizione, obbligatorio collettivo a capitalizzazione, individuale privato) finalità differenziate ma complementari; infine, quelle che comportano un deciso mutamento di rotta per tornare ad un sistema a capitalizzazione a benefici garantiti e gestito dal settore pubblico.

L'analisi e il confronto delle singole proposte mette in luce, al di là dei differenti aspetti tecnici e del diverso ruolo assegnato alla previdenza non obbligatoria, la comune valutazione circa l'urgenza di rivedere i meccanismi contributivi a ripartizione dell'attuale sistema, per recuperare efficienza, equità e stabilità finanziaria; l'esigenza di ampliare in ogni caso, anche se in diversa misura, lo spazio della previdenza a capitalizzazione in svariate forme; e il ricorso, in proporzioni diverse, all'utilizzo del Tfr e al recupero del sommerso per finanziare almeno parzialmente la fase di transizione verso un nuovo regime. 

Sulla base degli elementi comuni alla impostazione e alla formulazione delle varie proposte si ritiene che possa avviarsi una discussione ampia e approfondita diretta a: colmare le lacune oggi esistenti in materia di informazione di base; stimare quantitativamente e confrontare gli effetti delle varie proposte (nelle loro eventuali varianti) sull'equilibrio finanziario del sistema e sulle decisioni di lavoro, risparmio e investimento, nonché sulla ripartizione dei benefici e dei prelievi sulle diverse generazioni, categorie, individui; formulare scelte e prendere decisioni per una riforma del nostro sistema previdenziale che consenta, in presenza di un inarrestabile invecchiamento della popolazione, di mantenere condizioni di prosperità per tutti. Analisi quantitative puntuali verranno, senza dubbio, condotte nell'ambito dei lavori per la verifica della situazione previdenziale e l'allestimento di nuove misure.

Il percorso per la transizione dal sistema attualmente in vigore alla previdenza del futuro inciderà in maniera determinante sul disegno complessivo di quest'ultima che verrà verosimilmente scelta tra le principali opzioni sul tappeto. Si dovrà, perciò, modulare la transizione con particolare attenzione; nel tracciarne il percorso, quali che siano i lineamenti della riforma, si dovrà tener presente l'esigenza di un orizzonte di lungo periodo e l'aumento dei costi di transizione che, anche se non nell'immediato, potranno essere molto gravi, specialmente per i giovani e per le fasce più deboli.

 




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