da Ideazione - gennaio 1998
VENTO DEL SUD
di Domenico Mennitti

Gli istituti specializzati disegnano unanimemente per i prossimi venticinque anni scenari di sviluppo ai quali saranno interessati tutti i Paesi del pianeta. Milton Friedman parla di "primo miracolo economico globale" e sostiene che l’impetuoso sviluppo si avvarrà di due fondamentali elementi: la rivoluzione tecnologica e la libera circolazione dei capitali e delle merci.

All’interno di questo scenario complessivo, che gli esperti definiscono positivo più che ottimistico, si prevede una diversa accelerazione dello sviluppo ed i Paesi ricchi (possiamo considerare tali quelli dell’Ocse, di ormai consolidata industrializzazione) cresceranno meno di quelli poveri. I primi, fra i quali c’è l’Italia, potranno far conto su una crescita media annua del 2,4 per cento, un tasso non proprio entusiasmante, se si considera che è presso a poco il livello di sviluppo previsto dalla legge finanziaria per l’anno appena cominciato e non è sufficiente a mantenere il giusto equilibrio fra gli interessi delle varie categorie produttive.

Inoltre, è diffusa la convinzione che il tasso di sviluppo debba decisamente superare la soglia del 2 per cento per procurare ricadute sull’occupazione. Sarebbe pertanto imprudente che noi italiani traessimo da questo quadro di riferimento auspici trionfalistici per il prossimo futuro. È vero: rispetto alla fase espansiva degli anni Ottanta abbiamo recuperato sull’inflazione e agito sul debito pubblico, gettando le basi per costruire un’economia sana; però entriamo nella grande competizione europea e mondiale ancora con molto piombo nelle ali. Soprattutto con uno stridente squilibrio territoriale fra il Nord ed il Sud del Paese, che è causa della caduta complessiva del livello di competitività della nostra economia. Tale fenomeno a sua volta produce tensioni sociali e, da qualche tempo, pure spinte centrifughe che minano l’unità nazionale.

Il problema non ha più solo una dimensione economica; anzi, viene molto più in evidenza l’aspetto politico, perché la soluzione della questione si sposta sulla capacità di organizzare il territorio in modo che il Sud possa partecipare alla rivoluzione tecnologica, che sta dimostrandosi anche veicolo adatto a velocizzare i tempi di recupero della modernizzazione.

Insomma, se vogliamo davvero puntare ad un nuovo Mezzogiorno aperto alla concorrenza, dobbiamo innanzitutto liberarlo dalle esperienze del passato e dotarlo di meccanismi decisionali in grado di valorizzare energie e potenzialità sinora inespresse. Deve valere per il Sud dell’Italia quanto vale per i Paesi poveri e per le aree depresse all’interno di quelli ricchi: bisogna che superi rapidamente le differenze che sino a pochi anni fa erano ritenute incolmabili. Ora è possibile abbreviare le distanze tra Paesi che vivono diverse fasi di modernità: ciò può avvenire solo grazie alla rivoluzione tecnologica, soprattutto nei settori dell’informatica e dell’elettronica.

Poniamo perciò una nuova "emergenza meridionale", che superi le lamentazioni del vecchio meridionalismo sociologico e affronti i nodi economici con una visione geopolitica; e che si proponga con forza e determinazione, senza il complesso dei postulanti, finalmente con la dignità di chi vuole efficacemente concorrere allo sviluppo complessivo del Paese per accrescerne la competitività internazionale.

A partire dalla fine degli anni Ottanta la politica italiana ha subìto una fase di "settentrionalizzazione": dal Nord arrivò una forte domanda di liberalizzazione, di sviluppo, di maggiore rappresentatività istituzionale. La "rivoluzione italiana" degli anni scorsi si è realizzata anche come riequilibrio geografico del rapporto cittadini-classe dirigente, se si considera la forbice che si era venuta definendo tra un ceto politico-istituzionale a maggioranza di provenienza meridionale e la società settentrionale in forte evoluzione.

Negli anni Novanta alla vecchia stratificazione sociale e classista della politica italiana si è andata sostituendo una sorta di "regionalizzazione": essa prese le mosse dagli studi della Fondazione Agnelli che posero le premesse teoriche e culturali dell’"emergenza settentrionale". Si cominciò allora a parlare di "profondo Nord" e di "area padana", avviando una fase di rilancio che ha ottenuto risposte ancora parziali, ma che ha fatto segnare importanti momenti di riequilibrio soprattutto sul piano politico-istituzionale.

Ora è il momento di porre l’"emergenza meridionale", inserendola nel dibattito costituzionale per chiedere la riorganizzazione dello Stato secondo lo schema federalista.

Uno dei paradossi più evidenti della riscoperta del federalismo, infatti, è di presentarlo come soluzione antimeridionale, che può penalizzare lo sviluppo del Mezzogiorno. Si tratta di una interpretazione fuorviante, perché tradisce una tradizione di pensiero che ha visto protagonisti figure ed autori soprattutto meridionali: da Sturzo a Salvemini, per citare i due più noti.

Ma si tratta soprattutto di liberare il Sud dalla vecchia mentalità "risarcitoria" da parte dello Stato "invasore" e perciò obbligato a dispensare assistenza, e di consentirgli la piena utilizzazione delle risorse intellettuali oltre che di quelle economiche e finanziarie. Come si evince dagli studi che pubblichiamo nella sezione che caratterizza questo fascicolo sin dalla copertina, le aree meridionali dove lo sviluppo ha raggiunto proporzioni significative sono quelle nelle quali l’intervento centrale ha assunto dimensioni più modeste. Perciò riteniamo che vadano fortemente contraddette le iniziative del governo e della maggioranza, che puntano - ricorrendo a un restauro di facciata, modificando cioè solo le sigle - alla riutilizzazione di strumenti che hanno già fornito prove scadenti e addirittura scandalose. Il tentativo di ricorrere all’Iri per affidargli il compito di promuovere sviluppo ed occupazione nel Sud rievoca vecchie pratiche di sperperi e di clientele; soprattutto riproduce la mentalità burocratica centralista contro la quale si mobilitò sin dalle prime fasi dell’unità nazionale un filone importante della cultura meridionale.

Quando affermiamo che bisogna liberare il Mezzogiorno da alcune esperienze che non possiamo neppure definire del passato, perché sono tuttora presenti, ci riferiamo anche al diffuso fenomeno della criminalità organizzata. Nessuna rivoluzione tecnologica potrà risolvere i problemi connessi all’occupazione del territorio da parte di gruppi criminali che controllano il flusso dei finanziamenti e deteriorano la qualità della vita. La restituzione del Sud alla legalità è compito fondamentale dello Stato, perché le organizzazioni criminali influiscono pesantemente sulla possibilità di attuare una corretta economia di mercato, essendo per loro natura portate ad inquinare il fondamentale principio della concorrenza.

Metaforicamente, invochiamo perciò una "secessione" anche del Sud. Una secessione dai luoghi comuni, dalla vecchia politica, dalle retoriche che hanno condannato le popolazioni meridionali a "mancare" l’appuntamento con la modernizzazione. Non ci sono ovviamente ricette pronte, ma c’è il dibattito da riaprire, ci sono strategie da proporre, analisi da approfondire, progetti da elaborare. E, soprattutto, c’è la dignità di interlocutori da recuperare.

Noi cominciamo dalla sezione dedicata a questo tema, convinti che per affrontarlo utilmente saranno necessari buona politica, buon governo, buona classe dirigente. Stiamo individuando i materiali di costruzione ed apriremo un arsenale, un grande cantiere di idee e di progetti. Il Centro Ideazione, l’associazione di cultura che opera insieme alla rivista ed alla casa editrice per tradurre le idee in proposizioni concrete, dedicherà al Mezzogiorno il nuovo anno, promuovendo incontri e dibattiti in vari centri del Sud, ma anche fuori dai suoi confini, perché il problema, se si riferisce ad una parte del territorio italiano, investe ed interessa l’intera nazione.

Partiamo con la determinazione di non considerare questa iniziativa una episodica inchiesta giornalistica. E con la speranza di arrivare lontano, sino al punto in cui la denuncia potrà cedere il passo ad una concreta fase operativa.

Domenico Mennitti


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