dal "Quotidiano" - gennaio 1999
BRINDISI, DECLINO
E RINASCITA DI UNA CITTA'

di Domenico Mennitti

L’immagine di Brindisi deliziosa e tranquilla città costiera di provincia appartiene ormai all’album dei ricordi. Quella città capace di ammaliare e irretire non tanto i visitatori frettolosi quanto i "forestieri" che, per lavoro o per ventura, si stabilivano per lungo tempo dalle nostre parti, è scomparsa. La dolcezza del clima, la magia del porto, la silenziosità dei vicoli e l’allegria della sua gente non bastano più a fare di questo angolo d’Italia un’oasi invidiata.

Ce ne siamo resi conto a fatica ma questo decennio che volge al termine ha completamente sconvolto tutti i tradizionali punti di riferimento che avevamo negli anni passati. Eravamo abituati a considerare il mare una grande speranza e l’orizzonte azzurro che vedevamo dalle nostre case si spegneva sulle coste dorate della Grecia, mèta di un turismo giovane e vitale. Oggi quell’orizzonte ci fa paura. Al di là di quella striscia azzurra non vi sono più spiagge sabbiose e paradisi delle vacanze. Ci sono le rade dei contrabbandieri e i porti degli scafisti, i moderni mercanti di schiavi, scheletri di villaggi tormentati dalla miseria, montagne ostili solcate da eserciti nemici e da disperati che fuggono gli orrori di una guerra medievale.

E’ bene tenere sempre a mente questo quadro perché la portata degli sconvolgimenti che ci hanno coinvolto è tale da modificare radicalmente l’ambiente nel quale viviamo ogni giorno, la nostra economia, le nostre relazioni sociali e pure le nostre prospettive. E’ come se il Muro di Berlino fosse caduto tutto addosso a noi, seppellendoci sotto il peso dei drammi dell’Europa post-comunista. La decadenza della città è anche frutto di scelte politiche e amministrative compiute in passato, delle incertezze delle decisioni di tempi più recenti, ma non tutto quello che è accaduto negli ultimi anni è colpa nostra. Voglio dire che Brindisi non si trova solo a dover affrontare i normali problemi di una realtà meridionale depressa dalla crisi delle grandi industrie di Stato, aggredita da una criminalità interna in qualche modo conosciuta, intorpidita da una classe imprenditoriale che stenta a costituire un tessuto aziendale moderno e dinamico. Brindisi è diventato l’avamposto occidentale, l’ultima fortezza di un’Europa timorosa di fronte al baratro dei Balcani. E se non troviamo gli strumenti e le forze per reagire, in quel baratro rischiamo di scivolare.

Conseguenza di questo drammatico contesto internazionale è stata l’affievolirsi delle attività produttive, lo spegnersi di quella fonte primaria e virtuosa di posti di lavoro che è l’imprenditoria privata. Non è un caso se, negli Anni Novanta, la Puglia si è sganciata da quel treno portentoso che è stato (ed è ancora) il modello adriatico. In questo periodo è esploso il Nord-Est, si è imposto l’Abruzzo ma la Puglia è andata in depressione, perdendo terreno anche rispetto alle altre realtà meridionali. Nel ventennio 1980-1997 il tasso di crescita della nostra regione è stato dell’1,57 per cento (media nazionale 2,03). Ma se concentriamo l’attenzione sui dati degli ultimi anni notiamo una paurosa flessione: solo un +0,08 tra il 1991 e il 1997 e addirittura un -1,05 nel biennio ‘96-’97. Insomma, ci stiamo mangiando quel po’ di ricchezza che avevamo prodotto negli Anni Ottanta. E Brindisi, ovviamente, non sfugge alla tendenza regionale.

Eppure, nonostante questo quadro a tinte fosche non tutto è perduto. La storia delle città è fatta di periodi felici e di stagnazioni pericolose, ma il degrado e l’impoverimento non sono destini ineluttabili. Tanto più che il Mezzogiorno e anche la Puglia conoscono esperienze e realtà che si sottraggono al malessere diffuso. Sono sorti i distretti industriali, zone che i tecnici chiamano "aree di concentrazione produttiva", la cui capacità propulsiva è sostenuta da piccole e medie imprese a capitale locale. Esistono realtà che hanno fatto fortuna aprendosi alla concorrenza internazionale. Ci sono oasi felici dove la disoccupazione non consuma le speranze delle giovani generazioni come da noi. Ricordare le potenzialità di cui dispone Brindisi è quasi un riaprire l’eterno quaderno dei rimpianti e delle illusioni. Eppure è sempre molto difficile capire come una città che può sfruttare un porto così attrezzato, un’aeroporto di livello internazionale, infrastrutture di buon livello e un tessuto di aziende non completamente allo sbando non riesca a trovare gli stimoli e le forze per riemergere.

Se l’Europa si accorge che Brindisi sopporta il peso di una drammatica evoluzione ai suoi confini sudorientali e lo Stato fornisce quegli strumenti necessari di tutela e di protezione del territorio che noi dobbiamo richiedere a gran voce (l’emergenza Milano non è inferiore alla nostra) ecco che possiamo riavviare la macchina arruginita. Con quanti già operano nelle istituzioni locali dove è emersa una nuova classe politica che non mi pare assolutamente peggiore delle precedenti e che vedo anzi dotata di buona volontà e di voglia di fare. Tenendo presente un principio: nessuno ci caverà fuori dal tunnel se non saremo noi stessi a prendere l’iniziativa.


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