Peter Bauer, economista irregolare

Atteggiamenti umani e crescita economia
di Israel M. Kirzner
Ideazione di settembre-ottobre 2006

Peter Bauer si interessò moltissimo alla questione di come gli atteggiamenti possano influenzare il potenziale di sviluppo economico nei paesi sottosviluppati, e in qualche modo fu costretto ad occuparsene poiché gran parte del sapere tradizionale sullo sviluppo, al quale egli si contrappose, negava l’attinenza della teoria economica fondamentale ai paesi in via di sviluppo.
In Economic Analysis and Policy in Underdeveloped Countries, Bauer (1957: 15-16) scrisse: «Solitamente, coloro che contestano l’attinenza delle asserzioni delle scienze economiche ai paesi sottosviluppati basano le loro argomentazioni sulle differenze di atteggiamenti e di istituzioni tra il mondo sottosviluppato e i paesi occidentali. [...] Alcuni anni fa, nella Gold Coast, un impiegato statale con un’ottima posizione mi disse che la sua esperienza lo aveva convinto che le scienze economiche erano irrilevanti in Africa, poiché gli africani semplicemente non rispondevano a motivazioni economiche». Tuttavia, Bauer era assolutamente convinto che le scienze economiche fondamentali, e in particolare la teoria della domanda e dell’offerta, erano molto attinenti ai paesi sottosviluppati; come scrisse con Basil Yamey nel classico The Economics of Under-developed Countries: «Benché gran parte delle differenze tra le varie parti del mondo sottosviluppato siano radicate in profondità, alcuni degli strumenti e dei concetti fondamentali delle scienze economiche si applicano ampiamente anche ai paesi sotto-sviluppati. Questo risulta vero, ad esempio, per quanto riguarda gli elementi fondamentali dell’analisi della domanda e dell’offerta» [Bauer e Yamey 1957: 8].
Inoltre, dal suo ampio studio e dall’osservazione diretta in Asia e in Africa, Bauer (1957: 15) concluse: «Ora, sono convinto dell’ampia applicabilità ai paesi sottosviluppati dei metodi e dell’approccio di base delle scienze economiche. [...] Penso in modo particolare agli elementi dell’analisi della domanda e dell’offerta e alle sue conclusioni più elementari, alla tendenza delle persone di ricercare attività e occupazioni che producano il più alto guadagno netto all’interno delle opportunità che si aprono loro».
In uno scritto del 1967, Bauer mise in risalto l’importanza dei principi economici elementari; criticò i modelli economici sofisticati «in cui l’astrazione e l’aggregazione implicate li rendono irrilevanti [...], diventano travisamenti che deviano l’attenzione dagli elementi essenziali e oscurano le questioni più importanti». Egli sottolineò come «la necessità di accentuare l’importanza di asserzioni elementari apparentemente banali» derivi dal fatto che «negli ultimi vent’anni circa gli economisti stessi le hanno ignorate». Ora, fra queste «asserzioni elementari» vi sono quelle della teoria della domanda e dell’offerta, con un accento particolare su «offerta, domanda e prezzo come rapporti funzionali» (Bauer [1967] 1976: 285-87). Fu proprio per questa ragione che Bauer appoggiò la causa dell’osservazione diretta delle condizioni nei paesi in via di sviluppo. In quest’enfasi, il suo punto di vista era esattamente l’opposto di ciò che avevano in mente molti altri economisti, che nel corso della storia del pensiero economico hanno posto in risalto l’osservazione. In tutta la storia delle scienze economiche, i critici della teoria economica, e in particolare quelli della teoria della domanda e dell’offerta, hanno sostenuto che le scienze economiche dovrebbero basarsi non già sulla teoria, ma su relazioni empiricamente fondate. Il punto di vista di Bauer era esattamente l’opposto: per poter applicare asserzioni economiche semplici ai più disparati contesti del mondo reale, è necessario riconoscere le particolarità di questi contesti disparati, altrimenti l’attinenza di queste asserzioni elementari di teoria economica verrà trascurata o negata. La convinzione di Bauer circa l’attinenza universale dell’analisi della domanda e dell’offerta era basata sulla sua intuizione che, nonostante le differenze nei «valori in cui le persone credono e quindi negli obiettivi che desiderano raggiungere, e nei vari ostacoli sociali e tecnici che limitano le loro attività», gli esseri umani condividono un atteggiamento fondamentalmente «economico» (Bauer 1957: 17-18). Come disse Lord Desai (2002: 62), Bauer era convinto «che la forza trainante dell’interesse personale nel perseguimento del benessere avesse un’applicazione universale».
Personalmente, cercherò di far fare ancora un passo in avanti all’approccio di Bauer relativamente al suo riconoscimento della forza universale del semplice interesse personale economico. La mia attenzione non si rivolgerà tanto all’intuizione, centrale nella posizione di Bauer, secondo cui l’interesse personale fa in modo che le curve della domanda scendano verso il basso e quelle dell’offerta salgano verso l’alto, assicurando così l’attinenza dell’analisi della semplice domanda-offerta. Piuttosto, la mia attenzione si concentrerà sul processo imprenditoriale della competizione del mercato dinamico, da cui dipende la nostra convinzione che i mercati tendono in effetti a gravitare verso i prezzi e le quantità che emergono dall’intersezione offerta-domanda.
Tradizionalmente, i critici della teoria economica hanno focalizzato i loro attacchi sul modello dell’homo oeconomicus, con la sua enfasi sulla massimizzazione del profitto pecuniario netto: costoro credevano che proprio questo modello dell’agente economico fosse alla base della teoria economica. Gli economisti che Bauer cita come coloro che negano l’attinenza della teoria economica ai paesi in via di sviluppo sostenevano che gli atteggiamenti degli agenti economici nei paesi in via di sviluppo erano così differenti dall’atteggiamento dell’homo oeconomicus che l’analisi domanda-offerta non era più pertinente. Bauer, al contrario, difese questa attinenza andando contro la concezione dei critici circa gli atteggiamenti degli agenti economici nei paesi in via di sviluppo.
Affronterò gli argomenti dei critici non già rivendicando la presenza universale del forte interesse personale pecuniario, ma negando che i teoremi cruciali delle scienze economiche dipendano interamente da tale interesse personale pecuniario. Dal mio punto di vista, la visione degli economisti dell’andamento del mercato e della cosiddetta legge della domanda e dell’offerta poggia sull’intuizione che gli agenti economici agiscono sulla base di propositi. In questo seguo una tradizione (legata ai nomi di Philip Wicksteed, Lionel Robbins e Ludwig von Mises) secondo cui la teoria economica non poggia sull’assunzione di rigoroso egoismo, bensì sulla propensione umana a manipolare i mezzi scarsi al fine di conseguire gli obiettivi adottati. A mio avviso, infatti, ci si può aspettare lo stesso tipo di andamenti di mercato competitivo che stanno alla base delle conclusioni della teoria economica anche in una società immaginaria popolata soltanto da altruisti. Anche se ogni agente economico non avesse altro obiettivo se non quello di fare del bene ai propri concittadini in qualche modo particolare, dovremmo aspettarci che, in una società che permette la libertà delle attività di mercato, si presentino le attività e i fenomeni di mercato a cui siamo familiari nel nostro mondo, in cui l’altruismo non è il primo obiettivo universale dei membri della società (cfr. Kirzner 1990, 2004).
In un siffatto mondo immaginario altruistico, una persona intenta a curare i malati potrebbe cercare di massimizzare i suoi profitti producendo, ad esempio, formaggio per sostenere gli ospedali nella loro assistenza e nella loro ricerca medica. Egli non pagherà più dei salari di mercato (e non fornirà più prerogative e cortesie di quelle assolutamente necessarie) per assicurare il lavoro richiesto. Nel far questo, non sarà del tutto egoista, ma sarà altruista nei confronti dei malati.
Un altro industriale potrebbe produrre biciclette per dar di che mangiare agli affamati, e anch’egli agirà in conformità con la teoria della massimizzazione del profitto della ditta, entrando fortemente in competizione con altri partecipanti del mercato. L’aspetto ancor più importante è che sia il produttore di formaggio sia il fabbricante di biciclette – proprio perché altruisti – staranno in guardia pronti a cogliere le occasioni di puro profitto. In quanto imprenditori, non «massimizzeranno» meramente «i profitti» (o, più precisamente, le quasi-rendite) come nella teoria della ditta in mercati in equilibrio; essi vigileranno continuamente per cogliere le occasioni di acquistare fattori di produzione (inclusa la manodopera) a prezzi più bassi rispetto a quelli prevalenti, per vendere il loro formaggio o le loro biciclette a prezzi più alti in mercati scoperti da poco e per sondare le possibilità di passare dalla produzione di formaggio o di biciclette a quella di maglioni o di lezioni di golf – il tutto, naturalmente, con l’obiettivo di incanalare in qualche modo i profitti pecuniari verso il miglioramento altruistico della condizione umana.
Non è mia intenzione, naturalmente, sostenere che nel nostro mondo, persino in società non ancora inurbate e industrializzare, l’egoismo è rimpiazzato dall’altruismo. Piuttosto, il mio obiettivo è quello di mostrare che l’attinenza della teoria dell’andamento del mercato, della teoria imprenditoriale e della teoria della competizione dinamica nel senso di Mises-Hayek, non dipendono dall’assunzione dell’interesse personale pecuniario nel senso dell’egoismo, come viene solitamente inteso1.
Di conseguenza, Bauer aveva ragione nel sostenere che le «differenze di atteggiamenti» degli agenti economici nei paesi sottosviluppati non mettono in dubbio l’attinenza della semplice teoria economica. Tale attinenza comprende un’ampia varietà di «possibili atteggiamenti» e culture – non già perché l’egoismo pecuniario comprende tutte le culture (per quanto possibile), ma perché tutto ciò che è necessario alla semplice teoria economica per essere attinente è il fatto che gli uomini agiscono sulla base di propositi.
Questa intenzionalità umana è caratterizzata da:
a) obiettivi scelti, che potrebbero differire largamente fra le varie culture, come ha riconosciuto Bauer;
b) la costanza nel perseguire tali obiettivi, il che non significa la costanza nel modello della scelta, quanto piuttosto la manipolazione sistematica degli scarsi mezzi disponibili per conseguire i fini prefissati;
c) la vigilanza umana verso nuove possibilità di conseguire obiettivi, il che costituisce l’elemento imprenditoriale nel comportamento umano. Infatti, è proprio questo elemento imprenditoriale nel comportamento umano che separa «l’azione umana» di Mises dalla microteorizzazione standard, in cui gli individui sono assunti semplicemente per massimizzare qualche funzione oggettiva all’interno dei vincoli delle limitazioni delle risorse.
Naturalmente, si potrebbe descrivere l’intenzionalità umana (e in modo particolare la vigilanza imprenditoriale) come un «atteggiamento», affermando quindi che lo sviluppo economico nei Paesi sottosviluppati (come nel caso della storia delle economie occidentali) dipende effettivamente da un «atteggiamento». Tuttavia, credo che Peter Bauer concorderebbe sul fatto che la nostra argomentazione mostra come lo sviluppo economico non dipenda da alcun atteggiamento particolare. Credo anzi che ammetterebbe che lo sviluppo economico dipende dall’umanità condivisa da tutti i membri della razza umana: non dagli atteggiamenti dell’homo oeconomicus, ma dall’atteggiamento dell’homo sapiens.


Nota
1. Mi trattengo deliberatamente dall’usare un linguaggio che descriverebbe come “egoista” il comportamento di un individuo che insiste nell’assegnare un più alto grado di urgenza a qualche obiettivo altruistico rispetto a quello che farebbero altri.

Riferimenti bibliografici
P. Bauer, (1957) Economic Analysis and Policy in Underdeveloped Countries, Durham, N.C., Duke University Press.
([1967] 1976) «Economics as a Form of Technical Assistance», in Dissent on Development, cap. 7, ed. rivista Cambridge, Mass., Harvard University Press.
P. Bauer, B. S. Yamey, (1957) The Economics of Under-developed Countries, Chicago, University of Chicago Press.
M. Desai, (2002) «Peter Bauer and the Observation of Economic Life», in A Tribute to Peter Bauer, cap. 4, London, Institute of Economic Affairs.
I. M. Kirzner,
(1990) «Self-interest and the New Bashing of Economics: A Fresh Opportunity in the Perennial Debate?», Critical Review 4 (inverno/primavera), pp. 27-40.
(2004) «Economic Science and the Morality of Capitalism», in Economy and Virtue: Essays on the Theme of Markets and Morality, London, Institute of Economic Affairs.


Cato Journal, vol. 25, n. 3 (autunno 2005). Titolo originale: “Human Attitudes and Economic Growth”. © Cato Institute.

(traduzione di Alberto Rezzi)

Israel M. Kirzner, professore emerito di Economia presso la New York University.

(c) Ideazione.com (2006)
Home Page
Rivista | In edicola | Arretrati | Editoriali | Feuilleton | La biblioteca di Babele | Ideazione Daily
Emporion | Ultimo numero | Arretrati
Fondazione | Home Page | Osservatorio sul Mezzogiorno | Osservatorio sull'Energia | Convegni | Libri
Network | Italiano | Internazionale
Redazione | Chi siamo | Contatti | Abbonamenti| L'archivio di Ideazione.com 2001-2006