Peter Bauer, economista irregolare

Il senso di colpa dell'Occidente
di Peter Bauer
Ideazione di settembre-ottobre 2006

Le parole di Yeats avrebbero potuto benissimo essere state scritte per la diffusa, se non addirittura anelata, accettazione da parte dell’Occidente dell’accusa di essere responsabile della povertà del Terzo Mondo (ossia di gran parte dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina)1. La presunta responsabilità occidentale per l’arretratezza del Terzo Mondo è un tema insistentemente ripetuto alle Nazioni Unite e in molte delle organizzazioni affiliate2. Tale accusa è estremamente gradita ai portavoce del Terzo Mondo e del blocco comunista, specialmente in occasione di convegni internazionali, dove spesso viene accettata dai rappresentanti di paesi occidentali, e in particolare degli Stati Uniti. Inoltre viene continuamente ripetuta nelle università, nelle chiese e nei media di tutto il mondo.
L’accettazione delle ripetute ed enfatiche accuse all’Occidente di essere responsabile della povertà del Terzo Mondo rispecchia e rafforza il senso di colpa occidentale. Tale senso di colpa ha infiacchito la diplomazia dell’Occidente, sia nei confronti del blocco sovietico, ideologicamente assai più combattivo, sia nei confronti dello stesso Terzo Mondo. In tal modo l’Occidente ha finito con il prostrarsi dinanzi a paesi con risorse trascurabili e privi di reale potere. E tuttavia è facile dimostrare che queste accuse sono del tutto infondate. Che siano accettate con tanta facilità dipende dal fatto che la popolazione occidentale non ha una conoscenza diretta del Terzo Mondo e dalla permeante presenza di un senso di colpa. L’Occidente non è mai stato tanto bene, e non si è mai sentito altrettanto derelitto per questo. Alcuni esempi tipici possono servire ad illustrare il tenore delle accuse di responsabilità occidentale. Iniziamo con il mondo accademico. Paul A. Baran, professore di economia a Stanford, era uno stimato studioso di economia dello sviluppo. Egli era altresì un prominente e influente sostenitore della tesi della colpa dell’Occidente fin dagli esordi dei moderni studi di economia dello sviluppo. Baran ha redatto il capitolo sull’economia dello sviluppo del Survey of Contemporary Economics, pubblicato dalla American Economic Association, mentre il suo The Political Economy of Growth è un diffusissimo manuale universitario. In esso, Baran ha scritto: «Alla zavorra della stagnazione, caratteristica delle società pre-industriali, si è aggiunto l’intero effetto di ostacolo del capitalismo monopolistico. Il surDaily economico appropriato in enormi quantità da gruppi monopolistici nei paesi arretrati non viene utilizzato a scopi produttivi. Non viene reimmesso nelle loro aziende, né serve a svilupparne altre»3. Questa categorica affermazione è totalmente e ovviamente falsa, in quanto è noto che in tutto il mondo sottosviluppato sono stati costruiti grandi complessi agricoli, minerari, commerciali e industriali, realizzati grazie ai profitti reinvestiti localmente.
Il professor Peter Townsend, della Essex University, è probabilmente il più noto accademico britannico autore di studi sulla povertà. Nel suo The Concept of Poverty egli ha scritto: «Come ho sostenuto, la povertà delle nazioni è comprensibile solo se la attribuiamo principalmente all’esistenza di un sistema internazionale di stratificazione sociale, ad una gerarchia di società aventi risorse enormemente diverse, nelle quali la ricchezza di alcune è legata, nel passato come nel presente, alla povertà delle altre. Questo sistema funzionava rozzamente nell’epoca del dominio coloniale e continua ad operare ancora oggi, sia pure in modo più sottile, per il tramite di un sistema di scambi, di istruzione, di relazioni politiche, di alleanze militari e di corporazioni industriali»4. Anche in questo caso, l’affermazione è falsa. Fino a non molti anni fa, i paesi più poveri e arretrati non avevano contatti economici con l’esterno e spesso non erano mai stati colonizzati dall’Occidente. Pertanto è ovvio che la loro arretratezza non può essere spiegata dal dominio coloniale o dalla stratificazione sociale a livello internazionale. Per non parlare del fatto che nei paesi meno sviluppati del Terzo Mondo (talvolta indicati come Quarto Mondo), quali l’Afghanistan, il Ciad, il Bhutan, il Burundi, il Nepal e il Sikkim, non operano grandi società occidentali.
In questo dibattito, gli studenti universitari ripetono quello che hanno appreso dai loro maestri. Una decina di anni fa un gruppo di studenti dell’università di Cambridge pubblicò un opuscolo sul tema degli obblighi morali dell’Occidente nei confronti del Terzo Mondo. Qui di seguito è riportato il passaggio più importante: «Abbiamo preso la gomma dalla Malesia, il tè dall’India, le materie prime da tutto il mondo e in cambio non abbiamo dato quasi nulla». Sarebbe difficile trovare un’affermazione maggiormente in contrasto con la verità. Sono stati gli inglesi a portare la gomma in Malesia e il tè in India. Fino a un centinaio di anni fa, non esistevano alberi della gomma, né in Malesia, né nel resto dell’Asia (come si può facilmente evincere dal nome scientifico della pianta, Hevea brasiliensis): furono gli inglesi a trapiantare dall’Amazzonia nel continente asiatico i primi semi dell’albero della gomma. Da essi sbocciò un’enorme industria della gomma, che oggi è pressoché totalmente in mani asiatiche. La coltivazione del tè venne introdotta in India qualche decennio prima: l’origine della pianta può essere desunta dal nome scientifico Camilla sinensis, nonché dalla frase idiomatica “tutto il tè della Cina”.
Charles Clarke, ex presidente della National Union of Students, affermò nel suo discorso di inaugurazione, tenuto nel dicembre del 1976: «Per oltre cento anni l’industria britannica ha sottratto ricchezze a questi paesi». Lungi dal sottrarre ricchezze ai paesi meno sviluppati, l’industria britannica ha contribuito a creare nuove attività in quei medesimi paesi, grazie al fatto che il commercio esterno ha promosso il progresso economico in grandi regioni del Terzo Mondo nelle quali non vi era alcuna ricchezza da spremere.
Le chiese e le organizzazioni assistenziali dell’Occidente cavalcano la medesima tigre. Il professor Ronald J. Sider è un eminente uomo di chiesa americano. In un articolo intitolato “How We Oppress the Poor” (“In che modo opprimiamo i poveri”), pubblicato nel numero del 16 luglio 1976 dell’influente periodico evangelico Christianity Today, egli ha parlato della «ferrea presa che l’Occidente sviluppato ha sulla gola economica del Terzo Mondo», proseguendo con l’affermazione che «sarebbe sbagliato dire che i 210 milioni di americani siano i soli responsabili di tutta la fame e l’ingiustizia esistenti oggi al mondo. Tutti i paesi ricchi e sviluppati sono direttamente coinvolti […] Partecipiamo ad un sistema che condanna all’agonia e alla morte più persone di quanto abbia mai fatto il sistema della schiavitù». Si tratta palesemente di fantasie. Le carestie si verificano in prevalenza in paesi del Terzo Mondo che hanno ben pochi contatti con l’Occidente. Lungi dal condannare le popolazioni del Terzo Mondo alla fame, i contatti con l’Occidente sono responsabili del grande aumento nell’aspettativa di vita nel Terzo Mondo, provocando quell’esplosione della popolazione così deplorata da quegli stessi critici che condannano i presunti effetti nefasti delle relazioni con l’Occidente.
Molte organizzazioni assistenziali hanno capito che battere il tasto della responsabilità dell’Occidente presenta evidenti vantaggi. Secondo una pubblicazione pubblicitaria di Oxfam del 1972: «Il caffè viene coltivato in paesi poveri in via di sviluppo, quali Brasile, Colombia e Uganda. Questo non impedisce ai paesi ricchi come la Gran Bretagna di sfruttare la loro debolezza economica pagando per il caffè non lavorato il prezzo più basso che riescono a strappare. Come se ciò non bastasse, continuiamo ad esigere prezzi sempre più alti per i manufatti che essi devono acquistare da noi. E allora? Diventiamo ricchi a loro spese. Gli affari sono affari.»
[...] Anche gli intellettuali estranei al mondo accademico e all’ambiente ecclesiastico riescono a distinguersi. In un articolo intitolato “Black Man’s Burden” (“Il fardello dell’uomo di pelle nera”, apparso sul Sunday Times del 23 febbraio 1969) Cyril Connolly scriveva: «Fa meraviglia che l’uomo bianco non sia ancora più detestato […] Nelle nostre relazioni con qualsiasi paese l’avidità, mascherata dall’ipocrisia, ha condotto ad una coercizione senza scrupoli ai danni degli abitanti indigeni […] Crudeltà, avidità e arroganza […] contraddistinguono quello che può essere riassunto in una sola parola: sfruttamento». Se ciò fosse vero, i paesi del Terzo Mondo dovrebbero essere più poveri oggi di quanto non lo fossero prima di avere contatti con l’Occidente. In realtà, generalmente le loro condizioni sono alquanto migliorate.
Insistere sul fatto che l’Occidente abbia causato la povertà del Terzo Mondo rappresenta una forma di autodenuncia collettiva; incidentalmente, questa idea è nata proprio in Occidente. Il marxismo, ad esempio, è una ideologia occidentale, così come la convinzione che le differenze economiche rappresentino un’anomalia e un’ingiustizia e che siano un segno di sfruttamento. Ma le persone del Terzo Mondo, specialmente gli individui più istruiti con maggiori contatti con l’Occidente, non hanno esitato a credere quanto veniva detto loro da eminenti accademici e da altri intellettuali, specialmente quando ciò si accordava con i loro interessi e le loro inclinazioni.
Ispirati dall’Occidente, i politicanti del Terzo Mondo hanno finito con il ripetere insistentemente che l’Occidente ha sfruttato e ancora sfrutta i loro paesi. Kwame N’krumah, importante uomo politico e intellettuale africano negli anni Cinquanta e Sessanta, era un noto sostenitore di questa tesi. Egli descriveva il capitalismo occidentale come «un sistema mondiale di schiavitù finanziaria e di oppressione e sfruttamento coloniale di una vasta maggioranza della popolazione terrestre da parte di un pugno di cosiddette nazioni civili»5. In realtà, fino all’avvento al potere di N’krumah, il Ghana era un paese prospero grazie all’esportazione di cacao in Occidente; in particolare, i gruppi più agiati erano proprio i coltivatori di cacao, mentre i più poveri erano gli agricoltori di sussistenza.
Julius Nyerere, presidente della Tanzania, è un personaggio che gode di grande considerazione, se non quasi di venerazione, nel mondo intero6. Durante una visita di Stato a Londra tenuta nel 1975, egli affermò che: «Se le nazioni ricche continueranno a diventare sempre più ricche a spese delle più povere, i poveri del mondo dovranno esigere un cambiamento». Nel Diciannovesimo secolo, quando l’Occidente stabilì i primi duraturi contatti con il Tanganyka (di fatto coincidente con l’odierna Tanzania), questo era una regione semideserta, scarsamente popolata da tribù africane alla mercé dei mercanti di schiavi arabi. Il progresso relativamente modesto che il paese ha conosciuto da allora è stato realizzato principalmente per mano di asiatici ed europei.
Il concetto dello sfruttamento occidentale del Terzo Mondo è immancabilmente ripetuto nelle pubblicazioni e nelle dichiarazioni provenienti dall’Unione Sovietica e da altri paesi comunisti. Eccone un esempio: l’accademico sovietico Potekhin era una rinomata autorità sull’Africa. È interessante citarlo, in quanto gli scritti degli economisti sovietici sono presi sul serio nelle università occidentali: «Perché in Africa il capitale è tanto scarso? La risposta è evidente. Una considerevole parte del reddito nazionale che dovrebbe costituire il fondo di accumulazione e fungere così da base materiale del progresso, viene esportata fuori dall’Africa senza alcun corrispettivo»7. Dalle regioni più povere dell’Africa non vengono esportati fondi di nessun tipo. Le eventuali rimesse che provengono dalle parti più prospere del continente (generalmente alquanto modeste nel caso dell’Africa nera, ossia la regione indicata da Potekhin) rappresentano il rendimento parziale delle risorse fornite. Nelle aree più arretrate non vi sono stranieri, né capitale estero. Affermare che il motivo della scarsità di capitale in Africa è che la gran parte del reddito nazionale viene «esportata […] senza alcun corrispettivo» è l’esatto opposto della realtà. In Africa, come nel resto del Terzo Mondo, le regioni più floride sono proprio quelle che hanno i maggiori contatti commerciali con l’Occidente.
[...] Lungi dal rappresentare la causa della povertà nel Terzo Mondo, i contatti con l’Occidente sono stati la principale causa del progresso materiale che si è prodotto in quella zona del pianeta. Le società e le regioni materialmente più avanzate nel Terzo Mondo sono quelle con le quali l’Occidente ha stabilito i contatti più vasti, numerosi, diversificati: le zone destinate alle colture commerciali e i porti franchi del Sud-est asiatico, dell’Africa occidentale e dell’America Latina; le regioni minerarie dell’Africa e del Medio Oriente e le città e i porti in Asia, Africa, Caraibi e America Latina. Di norma il livello dei progressi materiali diminuisce mano a mano che ci si allontana dai punti focali dell’influenza occidentale. Le popolazioni più povere e arretrate hanno contatti con l’esterno scarsi o inesistenti: basta pensare ad aborigeni australiani, pigmei africani o agli abitanti dei deserti.
Tutto ciò non è una novità, né deve sorprendere, giacché la diffusione dei progressi materiali dalle zone più avanzate a quelle più arretrate è un fattore costante nella storia. [...] Nel corso degli ultimi anni, il ruolo dei contatti esterni nel favorire lo sviluppo economico del Terzo Mondo è stato molto più importante di quello avuto da analoghi contatti nella storia europea. Per iniziare, come già accennato, la stessa idea di progresso materiale, nel senso di un continuo, sostenuto e crescente controllo umano sull’ambiente, è un concetto occidentale. Prima dell’avvento degli occidentali, le popolazioni del Terzo Mondo non pensavano in questi termini. Studiosi aventi convinzioni filosofiche e politiche lontanissime tra loro, quali ad esempio J. B. Bury e Christopher Dawson, hanno riconosciuto da tempo l’origine occidentale del concetto di progresso materiale. Anche l’impulso occidentale che sta alla base dello sviluppo economico nel Terzo Mondo è stato riconosciuto da autori che ammettevano l’esistenza di un miglioramento, ma che deploravano gli effetti sconvolgenti, se non addirittura distruttivi, di un brusco contatto con società decisamente più avanzate dal punto di vista materiale8.
L’Occidente ha stabilito molteplici contatti con il Terzo Mondo nel Diciannovesimo e Ventesimo secolo, quando le differenze nei successi economici tra l’Occidente stesso e queste zone del mondo erano molto più accentuate rispetto al passato. [...] A partire dalla metà del Diciannovesimo secolo, i contatti commerciali istituiti dall’Occidente hanno straordinariamente migliorato le condizioni materiali in gran parte del Terzo Mondo. [...] Di per sé, le statistiche non possono trasmettere la vastità della trasformazione che ha avuto luogo nel periodo in esame in Africa occidentale e in altre zone del Terzo Mondo. In Africa occidentale, ad esempio, alla fine del Diciannovesimo secolo la schiavitù e il commercio degli schiavi erano ancora diffusi. Alla fine della prima guerra mondiale i due fenomeni erano pressoché scomparsi. Alla fine del secondo conflitto mondiale erano state estirpate molte delle malattie endemiche ed epidemiche per le quali l’Africa occidentale era tristemente famosa nell’Ottocento. I contatti con l’esterno hanno apportato analoghi mutamenti anche in gran parte dell’America Latina.
Il ruolo svolto dai contatti con l’Occidente nel progresso materiale dell’Africa nera merita un esame più approfondito. Ancora alla metà del Diciannovesimo secolo, l’Africa era priva dei più semplici ed elementari ingredienti della moderna vita sociale ed economica. Tali elementi sono stati importati dagli occidentali nel corso degli ultimi cento anni circa. Ciò vale per fattori fondamentali, quali la sicurezza e l’ordine pubblico, i veicoli da trasporto (in Africa non era stata inventata la ruota) e i mezzi da trasporto meccanici (prima dell’arrivo degli occidentali, i trasporti nell’Africa nera venivano effettuati quasi esclusivamente a dorso d’uomo), strade, ferrovie e porti attrezzati, l’applicazione della scienza e della tecnologia all’attività economica, città e grandi edifici, acqua potabile e fognature, assistenza sanitaria pubblica, ospedali e il controllo delle malattie endemiche ed epidemiche e infine l’istruzione scolastica. Tali progressi sono stati prodotti da pacifici contatti commerciali. A loro volta, tali contatti hanno agevolato la soppressione del traffico di schiavi attraverso l’Atlantico, la virtuale eliminazione del commercio di schiavi dall’Africa al Medio Oriente e perfino dell’abolizione della schiavitù all’interno dell’Africa stessa.
Sebbene i contatti commerciali con l’Africa non abbiano niente a che vedere con il traffico di schiavi verso le Americhe, nel clima odierno è impossibile non accennare a tale traffico in un esame della vera o presunta responsabilità occidentale della povertà del Terzo Mondo. Per quanto il commercio di schiavi oltre l’Atlantico possa essere stato orribile e nocivo, non può essere legittimamente annoverato tra le cause dell’arretratezza africana e men che meno tra quelle della povertà del Terzo Mondo. [...]
Molte delle dichiarazioni di responsabilità occidentale della povertà del Terzo Mondo sottintendono l’idea che la prosperità di persone, gruppi e società relativamente agiate sia ottenuta a spese dei più poveri. Tali accuse rappresentano un’espressione del grave errore concettuale consistente nel ritenere che il reddito dei più abbienti sia stato sottratto ad altri. [...] I gruppi più influenti ed eloquenti del Terzo Mondo ripetono come un articolo di fede l’accusa che le loro società siano state sfruttate dall’Occidente, sotto forma di individui o aziende, così come da minoranze etniche di immigrati quali i cinesi nel Sud-est asiatico, gli asiatici (principalmente indiani) in Africa orientale e i levantini in Africa occidentale. Il fascino di tali erronee concezioni è cosa nota. Esse risultano particolarmente utili a quegli uomini politici che hanno promesso una prosperità che non riescono a creare, ma sono utili anche per altri influenti gruppi locali che prevedono di trarre beneficio dalle politiche ispirate a tali idee, in particolare dall’espropriazione delle imprese straniere o dalla discriminazione ai danni delle minoranze.
Negli ultimi decenni alcune influenze facilmente discernibili hanno rafforzato l’idea che la prosperità di alcuni gruppi sia necessariamente un indice dello sfruttamento altrui. Gli effetti dell’ideologia marxista-leninista non sono che una di tali influenze. Secondo questa ideologia, qualsiasi profitto derivante dal capitale privato comporta uno sfruttamento, mentre il settore dei servizi viene automaticamente ritenuto improduttivo. Pertanto, gli utili del capitale straniero e le entrate degli stranieri o delle minoranze etniche attive nel settore dei servizi rappresentano la prova dell’esistenza di forme di sfruttamento. Si aggiunga che la letteratura neomarxista ha ampliato il concetto di proletariato in modo da includere le popolazioni del Terzo Mondo, gran parte delle quali è costituita in realtà da piccoli agricoltori indipendenti. In questo tipo di letteratura, inoltre, il proletariato è sfruttato per definizione ed è povero in quanto viene sfruttato9.
L’idea che l’Occidente sia responsabile della povertà del Terzo Mondo è stata favorita anche dalla fede in una sostanziale e universale uguaglianza delle capacità economiche e delle motivazioni degli individui. Tale convinzione è strettamente legata ad una ideologia e ad una politica egualitaria che negli ultimi anni è tornata in auge. Se gli attributi e le motivazioni delle persone sono ovunque identiche e ciò nonostante alcune società sono più ricche di altre, ciò fa sospettare che le prime abbiano sfruttato le altre. Giacché la popolazione dell’Occidente ha scarsi contatti diretti con il Terzo Mondo, spesso è facile diffondere l’idea che la condotta e le politiche occidentali abbiano causato la povertà del resto del pianeta.
[...] È facile imbattersi in varianti o derivati di questo tema, solitamente mirati ad un particolare auditorio. Una delle varianti consiste nell’affermazione che il colonialismo abbia causato la povertà di Asia e Africa. [...] Quale che sia l’opinione che si ha del colonialismo, non è possibile ritenerlo responsabile della povertà del Terzo Mondo. Alcuni dei paesi più arretrati, come l’Afghanistan, il Tibet, il Nepal e la Liberia, non sono mai stati colonizzati. [...] Né si può affermare che la ricchezza dell’Occidente sia il risultato del colonialismo. I paesi più avanzati e floridi non hanno mai avuto colonie, com’è il caso della Svizzera e dei pesi scandinavi. Altri sono stati in passato essi stessi colonie e, anzi, erano già molto ricchi sotto il dominio coloniale, come ad esempio il Nord America e l’Australasia. La prosperità dell’Occidente è stata prodotta dalle sue popolazioni e non è stata sottratta ad altre. Sotto l’aspetto materiale, i paesi europei erano già molto più progrediti delle loro future colonie. [...]
La scomparsa del dominio coloniale ha obbligato gli accusatori dell’Occidente a trovare nuove basi per le loro denunce. Ecco spiegato il ricorso a espressioni quali neocolonialismo e colonialismo economico. Il ricorso a tali termini rappresenta uno spostamento della base delle accuse e al tempo stesso conserva i vantaggi della vecchia e nota terminologia. Anche l’influenza delle dottrine marxiste-leniniste ha favorito la nuova terminologia. Secondo tale ideologia, lo stato di colonia e l’investimento straniero sono per definizione prove dell’esistenza dello sfruttamento. In realtà, l’investimento privato dall’estero e le attività delle multinazionali hanno aumentato le opportunità e i redditi, per non parlare delle entrate statali, nel Terzo Mondo. Parlare di colonialismo economico o di neocolonialismo degrada il linguaggio e distorce la realtà10.
Oggigiorno l’Occidente viene accusato da più parti di manipolare il commercio internazionale a detrimento del Terzo Mondo. Questa accusa è un importante elemento delle richieste di un Nuovo Ordine Economico Mondiale. In particolare si afferma che l’Occidente impone al Terzo Mondo scambi a termini sfavorevoli e in continuo peggioramento. Oltre a svariati risultati negativi, si afferma che tale politica commerciale abbia causato sia una riduzione del commercio del Terzo Mondo come percentuale degli scambi totali a livello globale, sia una enorme quantità di debito a carico del Terzo Mondo. Anche in questo caso, le accuse sono irrilevanti, infondate e spesso del tutto false11.
Le regioni più povere del Terzo Mondo non hanno quasi alcun commercio con l’esterno. Le loro condizioni dimostrano che le cause di arretratezza sono interne e che, se mai, i contatti commerciali con l’esterno sono vantaggiosi. [...]
Di per sé, la frazione del totale del commercio mondiale a carico di un paese o di un gruppo di paesi non è un indice di prosperità o di benessere. Analogamente, una riduzione di tale percentuale non ha di per sé particolari effetti economici negativi. Spesso un’eventuale riduzione indica semplicemente l’espansione in altre regioni dell’attività economica e del commercio, che di norma non danneggia, anzi solitamente va a beneficio dei paesi che subiscono una riduzione della quota relativa degli scambi. Ad esempio, a partire dagli anni Cinquanta, il grande aumento del commercio con l’estero del Giappone, la ricostruzione dell’Europa e la liberalizzazione del commercio intra-europeo hanno causato una riduzione della quota di commercio mondiale di altri paesi, compresi Stati Uniti e Regno Unito. Inoltre non è raro che la frazione di commercio mondiale a carico di un paese o di un gruppo di paesi venga ridotta da avvenimenti interni, in particolare da politiche indipendenti dalle circostanze all’estero, quali un aumento del consumo interno di prodotti precedentmente esportati, oppure un aumento dell’inflazione o una tassazione particolare a carico degli esportatori o infine l’intensificazione delle politiche protezionistiche. Incidentalmente, è opportuno rilevare come, a partire dalla seconda guerra mondiale, la quota di commerci mondiali a carico del Terzo Mondo di fatto sia enormemente cresciuta in confronto al passato. È evidente che tale percentuale di scambi si è enormemente accresciuta in seguito alle influenze occidentali nel periodo moderno. In precedenza le regioni che costituiscono l’attuale Terzo Mondo avevano pochissimi scambi con l’estero. Ovviamente, se il commercio internazionale danneggiasse le popolazioni del Terzo Mondo, come spesso sostengono i detrattori dell’Occidente, una riduzione della quota di scambi del Terzo Mondo sarebbe vantaggiosa. Economicamente, si potrebbe raggiungere il paradiso solo una volta che il Terzo Mondo non avesse più alcuna relazione economica con l’esterno, o quanto meno con l’Occidente.
Il debito estero dei paesi del Terzo Mondo non è l’esito o l’indice dello sfruttamento: si tratta, viceversa, dell’ammontare delle risorse fornite dall’esterno. In effetti, la maggior parte dell’attuale indebitamento degli Stati del Terzo Mondo consiste di prestiti a basso interesse concessi nell’ambito di svariati accordi di assistenza, spesso a complemento di vere e proprie sovvenzioni a fondo perduto. In seguito all’aumento generalizzato dei prezzi, compresi quelli delle esportazioni dal Terzo Mondo, il costo di tali prestiti è enormemente diminuito. Le difficoltà che questi paesi incontrano nel pagamento degli interessi sui loro debiti non rappresenta un indice di sfruttamento o di ragioni di scambio sfavorevoli; si tratta invece degli effetti dello sperpero del capitale così fornito o di inadeguate politiche fiscali o monetarie. Anche in questo caso, il persistere di deficit nella bilancia dei pagamenti di alcuni paesi del Terzo Mondo non significa che questi vengano sfruttati o impoveriti dall’Occidente. [...] Persistenti difficoltà nella bilancia dei pagamenti significano che al paese in questione sono state prestate risorse dall’esterno.
Il declino di specifiche attività economiche, come ad esempio quello avvenuto all’industria tessile indiana nel Diciottesimo secolo in conseguenza della concorrenza delle importazioni a buon mercato, viene spesso citato come un esempio del danno causato al Terzo Mondo dal commercio con l’Occidente. Questa argomentazione assimila il declino di un’attività con la crisi dell’economia nel suo insieme e gli interessi economici di un settore della società con gli interessi di tutti i membri di quest’ultima. Le importazioni a buon mercato ampliano le possibilità di scelta e le opportunità economiche della popolazione dei paesi poveri. Solitamente alle importazioni si accompagna l’espansione di altre attività. Se così non fosse, la popolazione non avrebbe i mezzi necessari al pagamento delle importazioni.
La cosiddetta fuga dei cervelli, ossia l’emigrazione dal Terzo Mondo di personale qualificato, è un’ulteriore capo d’accusa a carico dell’Occidente. [...] La formazione professionale di molti degli emigranti viene finanziata proprio dall’Occidente. Anche in questo caso, un’istruzione formale non rappresenta uno strumento indispensabile, o anche solo importante, per uscire dalla povertà individuale o dall’arretratezza economica: ne sia testimone il rapido passaggio alla prosperità da parte di molte persone non istruite – o addirittura di analfabeti – nel Terzo Mondo. In numerosi paesi del Terzo Mondo, la spinta all’esodo o la vera e propria espulsione di individui intraprendenti e competenti, il maltrattamento di minoranze etniche o di gruppi tribali e il rifiuto da parte di molti governi di permettere agli stranieri di operare nel paese ostacola lo sviluppo molto di più di quanto non faccia l’emigrazione volontaria. Si aggiunga che molti emigranti abbandonano il proprio paese perché i governanti non vogliono o non sanno approfittare dei loro servigi. Non sono né l’Occidente né gli emigranti che privano la società di risorse produttive: il vero colpevole sono i governi di molti paesi del Terzo Mondo12.
Talvolta si afferma anche che l’Occidente ha danneggiato il Terzo Mondo a causa della discriminazione su base etnica. Tuttavia i paesi nei quali si è verificata una discriminazione sono quelli in cui il progresso materiale era stato avviato o favorito proprio dal contatto con l’Occidente. I gruppi più arretrati nel Terzo Mondo (aborigeni, abitanti dei deserti, nomadi e altre popolazioni tribali) sono stati pressoché immuni dalla discriminazione da parte degli europei. Viceversa, molte comunità spesso vittime di discriminazione – i cinesi e, in misura minore, gli indiani nel Sud-est asiatico, gli asiatici in Africa, e via dicendo – hanno fatto enormi progressi. In ogni caso, la discriminazione sulla base del colore della pelle o della razza non è certo un’invenzione occidentale. In gran parte dell’Africa e dell’Asia e in particolare in India, per secoli la discriminazione è stata un fenomeno endemico. Infine, qualsiasi esempio di discriminazione etnica da parte europea è stata trascurabile se paragonata alla diffusa e talvolta brutale persecuzione di gruppi etnici e tribali sistematicamente praticata dai governi di numerosi Stati indipendenti dell’Asia e dell’Africa.
Nel complesso, si può dire che sostenere che le relazioni commerciali esterne siano nocive per lo sviluppo o per il livello di vita delle popolazioni del Terzo Mondo è bizzarro, se non addirittura controproducente. Tali relazioni incanalano il flusso di risorse umane e finanziarie e di nuove idee, metodi e colture. Esse recano benefici alla popolazione offrendo vaste e diversificate fonti di beni d’importazione e aprendo mercati per le esportazioni. Grazie all’enorme espansione del commercio mondiale che si è verificata negli ultimi anni e allo sviluppo di nuove tecnologie in Occidente, i vantaggi materiali derivanti dai contatti con l’estero sono oggi più grandi che mai. Sostenere che tali relazioni siano dannose non è solo infondato, ma anche deleterio.
Tale tesi è spesso servita come specioso ma plausibile fondamento per l’imposizione di limitazioni alla quantità o alla diversità delle relazioni commerciali. Gli effetti concreti di tali contatti sono stati messi in ombra dalla pratica, assai diffusa sia nel dibattito pubblico, sia nella letteratura contemporanea in tema di sviluppo, di confondere governi ed élite con la popolazione nel suo complesso13. Numerosi governi del Terzo Mondo e i loro sostenitori locali traggono effettivamente grandi vantaggi dai controlli statali sull’economia e in particolare dalle limitazioni imposte al commercio con l’estero. Tali restrizioni permettono ai governi di controllare maggiormente i propri cittadini: i governanti derivano ovvi vantaggi politici e materiali da tali condizioni. Anche altri influenti gruppi locali traggono beneficio dall’organizzazione o dall’amministrazione di controlli economici. Questi dati di fatto non vengono mai evidenziati nelle accuse all’Occidente di avere imposto ai paesi del Terzo Mondo l’importazione di beni. Ovviamente sono i governanti che si oppongono all’importazione dei beni desiderati dai propri compatrioti.
[...] In aggiunta ai presunti danni causati al Terzo Mondo dagli scambi con l’estero, oggigiorno si sostiene spesso che anche la semplice esistenza delle attività quotidiane delle popolazioni dell’Occidente sia deleteria per il Terzo Mondo. Secondo tale tesi, i beni di consumo a buon mercato realizzati e utilizzati in Occidente e disponibili anche nel Terzo Mondo ostacolerebbero lo sviluppo di questa parte del globo, in quanto tali beni favorirebbero il consumo a discapito del risparmio. La corrente prevalente della letteratura sullo sviluppo definisce questo processo come “effetto di dimostrazione internazionale”. Tale tesi, tuttavia, non considera tra i criteri di sviluppo il livello dei consumi o la maggiore possibilità di scelta. E tuttavia tali criteri rappresentano esattamente i fini dello sviluppo economico. Il concetto di effetto di dimostrazione internazionale nocivo, inoltre, ignora il ruolo dei contatti internazionali come strumenti di sviluppo e trascura il fatto che i nuovi beni di consumo devono essere pagati, la qual cosa richiede di norma un miglioramento del rendimento economico. Ciò, a sua volta, comporta maggior lavoro, maggiori risparmi e investimenti e la disponibilità a produrre per la vendita, anziché per la sussistenza. Pertanto tale accusa dimentica l’ovvia considerazione che consumi più elevati e più variegati rappresentano sia la principale giustificazione per il progresso materiale, sia una spinta ad un ulteriore sviluppo economico14.
Una versione aggiornata della tesi dell’effetto di dimostrazione internazionale sostiene che l’entusiastica accettazione da parte del Terzo Mondo di beni di consumo occidentali rappresenta una forma di dipendenza culturale artatamente sollecitata dalle aziende dell’Occidente. Anche in questo caso, l’assunto implicito è che le popolazioni del Terzo Mondo non siano capaci di decidere autonomamente il modo migliore di spendere il proprio denaro. Queste popolazioni sono considerate alla stregua di fanciulli, o addirittura di semplici marionette mosse a piacere dagli stranieri. In realtà, invece, i beni di consumo occidentali sono stati accettati con grande discernimento nel Terzo Mondo, dove hanno apportato innumerevoli benefici a milioni di persone.
L’accusa di dipendenza culturale viene spesso accompagnata dall’affermazione che l’Occidente danneggia il Terzo Mondo grazie alle leggi sulla proprietà intellettuale. In questo modo è possibile affermare che il Terzo Mondo viene danneggiato sia quando l’Occidente lo inonda di beni di consumo, sia quando impedisce l’accesso a tali beni.
Prevedibilmente, sono stati arruolati al servizio dell’ideologia anche i presunti eccessivi consumi e l’inquinamento e il saccheggio dell’ambiente dell’Occidente. Una formulazione abbastanza comune di questa linea d’accusa consiste nell’affermare che il consumo pro capite di cibo ed energia negli Stati Uniti è superiore di svariati ordini di grandezza rispetto a quello dell’India e che, di conseguenza, il consumatore americano deruba clamorosamente la sua controparte nel sub-continente indiano. Il professor Tibor Mende è un influente e rinomato autore sul tema dello sviluppo. Qualche anno fa egli ha scritto: «Secondo una stima, ciascun americano ha effetti sull’ambiente—come consumatore e come inquinatore—venticinque volte superiori a quelli di un indiano». (Newsweek, 23 ottobre 1972). Balza agli occhi il fatto che gli americano siano indicati come consumatori e inquinatori, ma non come produttori.
Anche i bambini vengono arruolati nella campagna per propagandare il senso di colpa occidentale, specialmente in quelle note immagini di piccoli con le pance gonfie per la denutrizione. Un articolo intitolato “The Greed of the Super Rich” (“L’avidità degli straricchi”), pubblicato nel Sunday Times del 20 agosto 1978, si apre con la seguente frase: «Un bambino americano consuma una quantità delle risorse del mondo cinquanta volte superiore a quella di un bambino indiano […] Il grano necessario alle popolazioni della regione africana del Sahel avrebbe potuto essere fornito da un ventesimo della quantità utilizzata ciascun anno dai paesi europei per l’alimentazione del bestiame».
L’Occidente è stato addirittura accusato di cannibalismo di massa. Secondo il professor René Dumont, famoso agronomo francese e consulente di organizzazioni internazionali: «Grazie all’eccessivo consumo di carne, e allo spreco di cereali che avrebbero potuto essere destinati a salvarli, noi mangiamo i bambini del Sahel, dell’Etiopia e del Bangladesh»15. Questa grottesca accusa ha finito con l’essere ripetutamente avanzata in Occidente. A detta di Jill Tweedle del quotidiano londinese Guardian, «un quarto della popolazione mondiale vive, letteralmente, uccidendo i tre quarti rimanenti» (Guardian, 3 gennaio 1977). Un secondo articolo pubblicato con grande enfasi sul Guardian dell’11 giugno 1979 parlava del «cannibalismo sociale che ha ridotto oltre tre quarti dell’umanità alla mendicità, alla povertà e alla morte, non perché non possa lavorare, ma perché la loro ricchezza è destinata a fornire cibo, vestiti e case alle classi oziose di America, Europa e Giappone […] i ricchi Epuloni di Londra, New York e di altre baronìe occidentali vivono dei profitti strappati ai contadini e agli operai del mondo»16.
Esempi di affermazioni altrettanto ridicole potrebbero moltiplicarsi all’infinito. Il fatto che vengano espresse da autorevoli esponenti del mondo accademico e giornalistico nella cosiddetta stampa di qualità la dice lunga sul panorama intellettuale contemporaneo.

Note
1. Nell’uso corrente, l’espressione “Terzo Mondo” indica la maggior parte dell’Asia, con l’eccezione di Giappone e Israele, la quasi totalità dell’Africa, tranne il Sudafrica bianco e l’America Latina. La classificazione dei paesi produttori di petrolio è spesso ambigua: non sempre questi paesi sono inclusi nel Terzo Mondo.
2. In questo capitolo, per responsabilità occidentale si intende l’accusa che l’Occidente abbia imposto al Terzo Mondo delle condizioni di arretratezza o di povertà.
3. Paul A. Baran, The Political Economy of Growth, New York, Monthly Review Press, 1957, p.177 (tr. it.: Il surDaily economico e la teoria marxista dello sviluppo, Milano, Feltrinelli, 1962).
4. Peter Townsend, The Concept of Poverty, Londra, Heinemann 1970, pp. 41-42.
5. Kwame N’krumah, Towards Colonial Freedom, Londra, Heinemann 1962. Si veda inoltre P. T. Bauer, Dissent on Development, Cambridge, Mass., Harvard University Press 1972, capitoli 2 e 3.
6. Un lusinghiero profilo nel numero del 23 novembre 1975 del settimanale Observer indicava Nyerere con il tenero appellativo di “San Julius”. Un articolo sul Financial Times dell’11 agosto 1975 lo descriveva come «Il maggiore statista africano e uomo di formidabile intelligenza».
7. I. Potekhin, Problems of Economic Independence of African Countries, Mosca, Accademia delle Scienze 1962, pp.14-15.
8. Una disamina degli allarmi e delle obiezioni in questo senso può essere rinvenuta in Bauer, Dissent on Development.
9. Questa estensione dell’ideologia marxista-leninista può essere ravvisata nel passaggio dell’accademico sovietico Potekhin citato poc’anzi. Le dichiarazioni di stampo marxista-leninista si prestano ad essere sfruttate a fini politici. Nel testo di Potekhin, al brano menzionato segue la dichiarazione che le imprese occidentali in Africa dovrebbero essere espropriate e l’attività economica collettivizzata. Ricette di tal fatta sono oggi diffusamente accettate in numerosi stati africani.
10. Un esempio consiste nella dichiarazione di Khomeini del gennaio del 1979: «Il nostro popolo è stanco [del dominio coloniale]. Seguendo il suo esempio, altri paesi si libereranno dalla morsa del colonialismo». Daily Telegraph, 10 gennaio 1979. Nel corso della sua lunga storia, l’Iran non è mai stato una colonia occidentale. Svariati altri esempi di questo uso fuorviante del termine possono essere rinvenuti in Dissent on Development, cap.3 “The Economics of Resentment”.
11. Sia le accuse, sia la richiesta di un Nuovo Ordine Economico Mondiale sono esaminate dettagliatamente in Karl Brunner (a cura di), The First World and the Third World, Rochester, University of Rochester Press 1978. Si vedano in particolare i saggi di Karl Brunner, Harry G. Johnson, Peter T. Bauer e Basil S. Yamey.
12. Un articolo pubblicato sull’Observer del 22 luglio 1979 era intitolato “The boat people ‘brain drain’ punishes Vietnam” (“La fuga dei cervelli dei boat people colpisce il Vietnam”). L’articolo accusava i profughi vietnamiti di essere egoisti e privi d’amor di patria, che lasciavano il paese spinti dalla prospettiva di guadagnare di più altrove e perché non erano disposti ad accettare il nuovo ordine socialista. Inoltre si avanzava l’ipotesi che la fuga di cervelli privasse il paese di specializzazioni importanti, particolarmente in campo medico. L’articolo utilizzava i termini “fuga di cervelli”, “esodo” e “perdita” per indicare quello che in realtà era un ben documentato esempio di espulsione di massa: un uso della lingua quanto mai eloquente.
13. Tale distinzione, che vale in più di un contesto, è pertinente anche nella valutazione dei mutamenti delle ragioni di scambio di un paese. Come già osservato, le variazioni delle ragioni di scambio non corrispondono necessariamente alla capacità della popolazione di acquistare beni di importazione.
14. A livello statale, può sussistere un effetto di dimostrazione internazionale nocivo, consistente nel finanziare con fondi pubblici faraonici progetti di prestigio e l’adozione di tecnologie inadatte alle condizioni del paese. Ma questo effetto non è quello solitamente considerato dai sostenitori della tesa presa in esame. Né sarebbe corretto incolpare l’Occidente perché alcuni governi del Terzo Mondo adottano modelli inadatti alla loro situazione.
15. Citato in Daniel P. Moynihan, “The United States in Opposition”, Commentary , marzo 1975.
16. L’articolo, scritto da Ngugi wa Tiang, apriva una rassegna speciale di articoli sul Kenya.

(Questo saggio, comparso originariamente nel numero del gennaio 1976 di Commentary, è stato tratto dal libro From Subsistence to Exchange and other essays di prossima uscita in Italia, con prefazione di Amartya Sen e introduzione di Alberto Mingardi e Galeazzo Scarampi. Si ringrazia l’Istituto Bruno Leoni per i diritti di pubblicazione).

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