Con l’articolo del 18 giugno sul Corriere della Sera, “Il dialogo
finito con i cattolici”, Ernesto Galli della Loggia ha dichiarato
morto il cattocomunismo. È un’analisi che condividiamo pienamente.
Il terreno delle tematiche sociali, su cui sarebbe dovuto avvenire l’incontro
storico tra le due grandi culture popolari, la comunista e la cattolica,
si è progressivamente inaridito, riducendosi a una steppa disabitata
in cui vagano gruppi di superstiti confusi. Con la stessa spaventosa velocità
con cui nel dopoguerra è scomparsa la civiltà contadina, portandosi
via in un colpo la secolare questione della terra e della “roba”,
a partire dagli anni Ottanta si è andata liquefacendo la classe operaia,
e soprattutto si è conclusa l’epoca della sua centralità
politica. Il dibattito sulle possibili soluzioni per colmare le diseguaglianze,
sulla solidarietà e la concertazione, persino sulla sopravvivenza
dello Stato sociale, non impegna più gli intellettuali e non scalda
più il cuore del popolo di sinistra.
Sul numero di gennaio 2006 di Ideazione (“Radicali a sinistra e l’Unione
zapateriana”), avevamo analizzato il passaggio a sinistra del Partito
Radicale come una scelta obbligata, non più classificabile come una
delle tante fluttuazioni tra l’anima liberista (orientata a destra)
e quella libertaria (orientata a sinistra) dei pannelliani. L’ipotesi
che l’opzione prodiana fosse per loro ormai inevitabile, era collegata
proprio alla prevalenza nel dibattito politico dei temi etici, e al destino
di progressiva irrilevanza identitaria a cui sono consegnati quelli economici
e sociali. Non certo perché l’economia solleciti minore attenzione
da parte dell’elettorato, ma perché non è più
possibile avere, nei confronti delle scelte di politica economica, approcci
radicalmente diversi, che rimandino a posizioni immediatamente riconoscibili.
Nella notte della globalizzazione tutti i ministri del Tesoro tendono ad
essere grigi, e le decisioni si inseriscono in un ordine che non è
più quello nazionale, ma quello europeo, stabilito e negoziato a
Bruxelles.
Capita anche che le differenze tra i due schieramenti siano il contrario
di quelle che ci si aspetterebbe (come nel caso delle norme sul precariato:
la legge Biagi è più garantista nei confronti dei lavoratori
di quella varata dal centrosinistra). A conferma di quanto i tentativi di
trovare riconoscibilità nella politica economica siano vani basterebbe
ricordare il clamoroso fallimento di un obiettivo qualificante come le 35
ore in Francia, così come il sollievo dimostrato dalla gran parte
della sinistra in occasione del fallimento del referendum sull’articolo
18 promosso da Rifondazione. Persino l’antica e solida vocazione statalista
del centrosinistra fatica a trovare sbocchi ideologici coerenti, elaborazioni
nuove che convincano l’opinione pubblica, e rischia – si è
visto con chiarezza durante la campagna elettorale – di far identificare
l’Ulivo semplicemente come il partito delle tasse.
È difficile per tutti, ma in particolare per la sinistra, trovare
in un progetto economico e sociale una identità robusta, proprio
perché è lì che la vecchia identità comunista
è finita in pezzi, è lì che si possono contemplare
le rovine ideologiche e i fallimenti storici. Con la sostituzione della
sua base elettorale e sociale, la sinistra ha sostituito anche i suoi temi
forti, assumendo con rapidità sorprendente quelli tipici dei radicali.
Diritti individuali sempre più ingombranti ed estensivi, e totale
via libera all’odiato “edonismo reaganiano” (non c’è
nessuno esperto di buoni vini, buona cucina, buona qualità della
vita, come gli ex sessantottini), alla cultura della “libera scelta”,
alla distruzione della tradizione, alla manipolazione integrale del corpo
e della nascita.
Come collocare i cattolici all’interno di questo quadro? Molti insistono,
per radicata abitudine, a considerare la sinistra il proprio luogo naturale,
ma la vita per loro diventerà sempre più scomoda, come si
può intuire già dagli imbarazzati silenzi del cattolico adulto
Romano Prodi. D’altra parte è solo sui temi eticamente sensibili
che si può tenere unita l’eterogenea compagine della maggioranza,
perché in questo campo la sinistra estrema può essere accontentata
senza danno per i complicati equilibri tra poteri forti e governo. Ci sarà
dunque un interminabile balletto di dubbi e discussioni, annunci e controannunci,
avanzate e ritirate, su pacs, coppie di fatto, legge 40, eugenetica, eutanasia,
in cui verrà dato grande risalto pubblico alla presenza e ai tormenti
dei cattolici dell’Unione. Intanto, però, saranno rosicchiati
gli spazi reali di mediazione, finché la semplice linea difensiva
apparirà un compromesso accettabile, come è già accaduto
per il colpo di mano di Mussi in Europa. Le obiezioni di Binetti o Bobba
non si sono tradotte in iniziativa politica, e non hanno mai costituito
il minimo rischio per la maggioranza. Se non c’è rischio, perché
ascoltare quelle obiezioni? E perché la scelta del ministro della
Ricerca non è stata interpretata come una grave minaccia all’unità
della maggioranza e alla stabilità del governo (e quindi annullata),
mentre l’opposizione dei cattolici viene caricata di responsabilità?
Il primo atto di questo governo, una vendetta contro il voto referendario
sulla procreazione assistita, ha ben chiarito i limiti del compito che si
vorrebbe affidare ai cattolici: un ruolo del tutto inessenziale e decorativo,
utile solo per esibire un dibattito che non c’è.
Nell’articolo che abbiamo citato, Galli della Loggia conclude che
quella cattolica sui temi etici è «una battaglia disperata,
ma nobile e importante come sono spesso le battaglie delle minoranze contro
le opinioni, e l’inevitabile conformismo, delle maggioranze».
Su questo punto non siamo d’accordo: la resistenza sui temi etici
non è né disperata, né inesorabilmente minoritaria.
L’irruzione della biopolitica nella quotidianità, la pressione
disgregativa a cui viene sottoposta la famiglia, i dilemmi sulla vita e
la morte posti dalla tecnoscienza, hanno creato una inedita e vincente alleanza
tra laici e cattolici, che in Italia ha dato origine all’astensione
di massa sul referendum del giugno 2005. L’ intransigente difesa della
vita umana è stata a lungo un tratto distintivo dei cattolici, quasi
un’esclusiva, e negli anni Settanta sembrava una posizione indifendibile,
una cittadella assediata dalla rivoluzione antropologica postmoderna, destinata
prima o poi a cadere. Invece, l’area di consenso intorno al nucleo
duro della tutela della vita e della sua dignità si è allargata,
superando anche la divisione tra laici e cattolici, e non solo in Italia.
In tutto il mondo ormai nascono strane alleanze tra soggetti che hanno radici
culturali e ideologiche assai distanti (ambientalisti, cyberfemministe,
movimenti no-global), che trovano nella fermezza delle posizioni cattoliche
un punto di riferimento. Da noi, il referendum sulla procreazione assistita
ha creato uno schieramento trasversale che ha portato a casa una vittoria
di proporzioni schiaccianti e inaspettate; ma inaspettato è stato
anche il voto europeo sui limiti etici alla ricerca sugli embrioni. Lo scarto
tra maggioranza e minoranza, infatti, è stato minimo, e tutti i gruppi
parlamentari sono usciti dal voto lacerati. Sul piano internazionale cresce
la consapevolezza sull’impatto disgregativo che alcuni “diritti”
potrebbero avere sulla comunità, e cresce il rifiuto etico nei confronti
di pratiche manipolative che sfociano nella selezione genetica e nell’indifferenza
per la vita umana.
In questo nuovo panorama fitto di segnali in controtendenza, l’Italia
ha un’importanza centrale. Quella che è stata definita l’anomalia
italiana, diventa l’occasione per esercitare un ruolo di avanguardia
e di traino nei confronti della crescente ostilità all’ondata
relativista che rischia di sommergerci. Chi sembra non accorgersi della
nuova situazione è una parte del clero cattolico, tenacemente legato
a vecchi moduli interpretativi. Nell’intervista rilasciata dal cardinale
Martini al chirurgo e deputato ds Ignazio Marino sull’Espresso, per
esempio, si legge in filigrana l’idea di una Chiesa sempre in ritardo
e in affanno rispetto al progresso e alla scienza, una Chiesa a cui si chiede
con impazienza uno sforzo di aggiornamento e di apertura. C’è
dietro l’idea dello “scisma sommerso”, di una drammatica
divaricazione tra i comportamenti concreti dei fedeli e gli imperativi morali
troppo rigidi difesi dalle gerarchie ecclesiastiche. E c’è
l’idea di una storia che cammina verso una direzione di miglioramento,
e di un radioso futuro a cui l’evoluzione scientifica dà un
contributo essenziale. Il cardinale fornisce risposte prudenti, ma postula
come terreno di incontro possibile l’esistenza di una “zona
grigia”, in cui le certezze etiche si appannano, e i principi non
negoziabili di Ratzinger sfumano in una cauta negoziabilità. È
questo il salvagente inadeguato a cui si attaccano i cattolici di sinistra,
accettando, consapevolmente o meno, una posizione di subalternità
culturale.
La irrinunciabilità di quei principi, l’esistenza di limiti
certi e invalicabili sono, invece, la vera forza del mondo cattolico, e
il motivo della sua rinnovata capacità di attrazione e di leadership.
I cattolici che vogliono stare a sinistra, devono verificare i margini di
compatibilità con la politica dell’Unione sui temi etici, e
farlo subito, prima di scoprire che si trovano più vicini a Fabio
Mussi che al Papa.
Eugenia Roccella,
giornalista e saggista, fa parte del comitato di redazione di Ideazione
(c)
Ideazione.com (2006)
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