Cari lettori, nei giorni in cui avrete tra le mani questo numero della rivista,
l’intera redazione di Ideazione sarà negli Stati Uniti per
un viaggio di studio. Dieci giorni densi di incontri e appuntamenti, con
l’obiettivo di studiare il fenomeno delle fondazioni americane, quei
think-tank che generano l’intenso dibattito culturale che da sempre
vivifica la vita e l’azione politica della più grande democrazia
del pianeta. Fondazioni che producono riviste di differente periodicità,
che attingono sostanza dai migliori cervelli delle università, che
gemmano commentatori e analisti capaci di disegnare gli scenari nazionali
e internazionali sui quotidiani più influenti (che non sono necessariamente
quelli più famosi all’estero), che organizzano convegni e seminari
per dibattere e rendere popolari i temi del momento e del futuro. Fondazioni,
infine, che intrattengono un rapporto forte e proficuo con i partiti politici
di riferimento: ne consigliano l’azione, ne discutono le linee, qualche
volta ne determinano le scelte. Sempre li accompagnano nel difficile compito
di capire gli interessi degli elettori in una società frammentata
e diversificata, come quella statunitense. Che, fatta qualche debita proporzione,
assomiglia molto alla nostra.
Quel che non assomiglia a noi, in apparenza, è proprio la fertilità
dell’ambiente culturale che dovrebbe sostanziare la natura dei partiti,
formarne la cultura politica, proiettarne l’azione verso l’incrocio
con gli interessi del paese e dei suoi elettori. Eppure, la nascita della
cosiddetta Seconda Repubblica aveva, tra le varie opportunità, lasciato
intravedere anche quella che i partiti abbandonassero l’elaborazione
culturale interna, viziata di propaganda e autoreferenzialità, per
affidarsi a una vagheggiata società civile del pensiero, capace di
leggere la realtà con occhi meno legati agli interessi particolari
della vita politica quotidiana. Fuori dalla routine (e dall’ansia)
del collegio elettorale, la cultura politica italiana ha conosciuto, a partire
dalla metà degli anni Novanta, la nascita di riviste, piccole case
editrici, associazioni, istituti, fondazioni che hanno scelto di operare
sul piano della cultura politica sposando la nuova impostazione bipolare
del quadro istituzionale: scegliendo cioè di stare o di qua o di
là dello schieramento politico.
La stessa nascita di Ideazione, nel 1994, è figlia di questa stagione,
partita sull’onda della novità realizzata, nel centrodestra,
da Forza Italia e poi sviluppatasi con il consolidamento di quell’area
che oggi si chiama Casa delle Libertà e che raccoglie tradizioni
come il liberalismo, il conservatorismo, il federalismo e il popolarismo,
con una punta di nazionalismo e di populismo. Ne ha interpretato l’ansia
di rinnovamento della scena politica, la voglia di riforme sul piano istituzionale
e su quello economico per modernizzare il paese e assicurargli un futuro
di crescita. Ha sviluppato una nuova idea dell’Italia e un dinamico
ruolo in politica estera che fosse interprete della fine della Guerra Fredda
e della vittoria strategica delle democrazie occidentali sul comunismo:
giocare da protagonisti la sfida dell’allargamento europeo e, dopo
l’11 settembre, affrontare a viso aperto la sfida del terrorismo islamista,
al fianco degli Stati Uniti e della coalizione dei volenterosi, nonostante
l’opposizione di una parte del paese e di alcuni partner europei.
Non tutto quello che abbiamo elaborato, con la rivista bimestrale, poi con
un’agile e pensosa casa editrice, poi con una fondazione, infine con
un sito Internet di successo, si è tradotto in politiche di governo.
Ma non è questo, certo, il rammarico più grosso: abbiamo sempre
valutato come prezioso dono da difendere quell’autonomia di pensiero
e di giudizio che ci ha permesso le critiche più feroci verso la
nostra parte politica quando abbiamo giudicato che essa sbagliasse. E sappiamo
che questa libertà, questa autonomia, comporta anche la reciproca
possibilità di essere mandati a quel paese, magari in nome di una
realpolitik che chi opera sul concreto terreno della politica è obbligato
a tenere in considerazione. È il sale del confronto.
Il problema è, semmai, che da parte dei partiti il legame con il
mondo delle idee e con i luoghi che queste idee elaborano, negli ultimi
tempi si è allentato. E questo non va bene. Più il legame
si affievolisce più i partiti si sclerotizzano nell’ordinaria
amministrazione. Più i partiti si chiudono all’interno di un
ghetto dorato, più tendono a privilegiare i percorsi viziosi del
già sperimentato. Più si ritraggono dal confronto con le novità
della società, più scambiano per interessi generali quelli
loro particolari. Per fare un esempio recente, può capitare a un
leader “rivoluzionario” come Silvio Berlusconi di scambiare
per prioritaria l’esigenza della stabilità di governo rispetto
a quella di una riforma decisiva (per l’Italia e per le sue stesse
sorti elettorali) come la riduzione fiscale. È accaduto per pochi
giorni, sino a quando la robusta protesta di commentatori, giornali, riviste,
siti online, blog vicini al centrodestra (assieme a qualche sondaggio) ha
fatto capire al premier che il taglio delle tasse era la ragione stessa
della vittoria elettorale del 2001, uno dei punti qualificanti del programma
di governo. Di più: l’atto che avrebbe simboleggiato i cinque
anni di Berlusconi a Palazzo Chigi. Mantenere in vita un governo record
solo nei giorni di durata invece che nelle riforme effettuate, non avrebbe
giovato molto alla prossima campagna elettorale. Sfilatosi dal “teatrino
della politica”, il Cavaliere ha ripreso in mano le forbici, ha agito
e ha rilanciato la sua immagine, l’azione del governo e l’onda
riformista, mettendo in difficoltà l’opposizione politica e
sindacale che si è ritrovata a sfilare in corteo contro il fatto
che i cittadini contassero qualche euro di più in tasca.
La sezione di apertura di questo numero, con il suo titolo “italo-americano”
The Right (Italian) Nation, racconta proprio l’emergere di questa
nazione giusta e destra che è nata, o rinata, ad Occidente. La sezione
è divisa in due parti. La prima è la parte americana: si analizza
come la cultura conservatrice sia riuscita, in un quarantennale percorso
culturale e politico avviato da Berry Goldwater (al quale abbiamo voluto
dedicare la copertina), sviluppato da Ronald Reagan e consolidato da George
W. Bush, a bilanciare l’egemonia culturale liberal che aveva dominato
la scena statunitense negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta del Novecento.
È un percorso intrecciato del lavorìo di case editrici, riviste
di cultura politica, periodici di battaglia, quotidiani popolari e locali,
talk-radio, poi siti Internet, fino al successo di una tv all-news alternativa
alla Cnn come la Fox-News e, novità dell’ultima campagna elettorale,
l’esplosione del fenomeno dei blog. C’è stato bisogno
di molto denaro e di grandi investimenti finanziari per realizzare tutto
questo. La seconda parte è quella italiana: si tratta di capire come
la vicenda americana possa essere d’esempio a quella italiana. Data
per scontata l’impossibilità di replicare qui da noi il modello-Usa
(non fosse altro per la scarsa dimestichezza dell’imprenditoria e
della borghesia italiana a finanziare organizzazioni culturali), si deve
riconoscere che quel lungo percorso non è stato solo foderato di
dollari, ma anche di idee, fantasia, relazioni, determinazione, connessioni,
volontà, consapevolezza culturale e politica. Tutti elementi che
hanno costruito la Right Nation, magistralmente descritta dai due giornalisti
britannici dell’Economist, John Micklethwait e Adrian Wooldridge.
In Italia, nell’ultimo decennio, tante sono le realtà culturali
nate sul versante del centrodestra. La mappa che tracciamo proprio nella
parte italiana della sezione, certamente parziale come capita ad ogni prima
volta, racconta di una vivacità sorprendente, non sempre conosciuta,
non sempre evidente. Esistono riviste di approfondimento, fondazioni che
studiano ed elaborano strategie, giornali quotidiani con politiche editoriali
differenti che si rivolgono a lettori diversi, istituti magari meno riconducibili
a una definita area politica ma certamente legati a battaglie culturali
comuni a quelle della Casa delle Libertà. C’è chi segue
il filone liberal-conservatore e chi insegue le mille autonomie nel nome
del federalismo; chi si richiama alla tradizione popolare e democristiana
e chi lavora per il rinnovamento della destra ex-missina; chi riannoda le
fila di un socialismo liberale e riformista, chi quello della gloriosa tradizione
lib-lab, fino a chi insegue (la definizione è del Foglio) il trotskismo
di destra sognando un’alternativa sociale al capitalismo, ovviamente
“selvaggio”.
Insomma, il panorama è tutt’altro che desertico, e l’arcipelago
che tanto s’invoca, a guardarlo bene, c’è già.
Magari si tratta di monadi spesso isolate che dialogano poco tra di loro:
ci si attarda nel vittimismo, non si pratica con la necessaria disinvoltura
l’arte della comunicazione, indugiando talvolta su vecchi strumenti
non più adeguati alla dispersione ricettiva della nostra società,
e non si riesce a combattere davvero ad armi pari contro quel grande e invasivo
progetto culturale transnazionale che è il politically correct. E
tuttavia è questo il salto di qualità che dobbiamo impegnarci
a compiere. Avviare un grande processo di integrazione dell’arcipelago,
questo sì sul modello dell’esperienza statunitense, con la
consapevolezza e l’orgoglio di rappresentare non una minoranza dell’ambìto
salotto culturale del paese ma una solida maggioranza nei cuori e nelle
menti della popolazione italiana. Le elezioni politiche dell’ultimo
decennio, anche quella che nel 1996 portò al governo Romano Prodi,
dimostrano che il centrodestra è in maggioranza. Oseremmo dire, addirittura
più nelle idee che nelle urne. A chi nutre ancora ansie di legittimità,
ricordiamo la sconsolata ammissione di Massimo D’Alema che tempo fa
osservava come «l’Italia resti un paese sostanzialmente conservatore».
A noi dunque il compito di rendere questa Right Nation italiana visibile
e paritaria anche nel mondo dell’editoria, dell’informazione,
dei media, dell’entertainment, delle arti e della cultura in generale.
Servono entusiasmo e sfrontatezza ma anche qualità ed esperienza
che si ottengono con il lavoro, l’umiltà e la pazienza. Serve
un network di relazioni che metta in connessione i vari punti dell’arcipelago.
Serve anche che qualcuno s’impegni mettendo mano al portafoglio, perché
alla storia dei volontari crede solo l’ipocrisia statalista di Romano
Prodi: e se alla borghesia italiana ritorna il gusto di qualche missione
che aiuti il paese a guardare un po’ più lontano, allora chissà
che questo viaggio negli Usa che ci apprestiamo a compiere non sia solo
l’inizio di una grande avventura.
Pierluigi Mennitti,
direttore di Ideazione.
(c)
Ideazione.com (2006)
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