Polonia, luci ed ombre della nuova era
di Pierluigi Mennitti
Alicja ammicca con
grande astuzia sotto una cascata di capelli biondi. Si sistema sulla sedia,
accavalla le gambe inguainate in un paio di jeans alla moda. Poi inclina la
testa da un lato, dispiega le labbra in un sorriso intrigante e lancia uno
sguardo irresistibile con due occhioni blu che ti inchiodano alla poltrona.
I bookmaker polacchi non hanno dubbi: spontanea, brillante, sensuale,
Alicja, 32 anni, sociologa e allegra mamma di una bambina sarà la sicura
vincitrice della prima edizione del Big Brother (Wielki Brat) che sta
monopolizzando le serate della rete privata Tvn. Benvenuti nella Polonia del
nuovo millennio, la nuova, orgogliosa Polonia che attende, con minore ansia
e crescente irritazione, che l'Unione Europea accenda una buona volta la
luce verde per il suo ingresso nell'alta società. Qui, ormai, si dicono
tutti pronti.
Dimenticate tutti i luoghi comuni sui paesi dell'Est: prezzi abbordabili,
città pericolose, gente sprovveduta, ragazze disponibili a tutto pur di
imbarcarsi in un'avventura che le porti a Occidente. Dimenticateli, perché
l'Occidente è qui, entrato prepotentemente negli usi e nei costumi di un
popolo che non vedeva l'ora di scrollarsi di dosso la patina del
postcomunismo e che oggi ha trovato una sua strada verso la stabilità
economica e politica. Il miracolo polacco è nelle cifre miliardarie degli
investimenti internazionali attratti dalla chiarezza di leggi create ad hoc
per velocizzare al massimo la transizione dell'economia socialista a quella
di mercato e dalle prospettive di un bacino di consumatori (40 milioni di
persone) che non aspettava altro che di trovarsi in tasca qualche zloty ben
guadagnato. E di spenderlo.
La Polonia, per una volta nella sua tormentata storia, non ha badato alle
sirene del compromesso. Non ha adottato un passaggio morbido, controllato,
al capitalismo. L'ha abbracciato in toto, pagandone subito le inevitabili
conseguenze in termini di produttività, di occupazione, di benessere. Ma
tanta era la determinazione a vincere questa nuova scommessa con la storia
che, piano piano, la Polonia ce l'ha fatta. È uscita dal cono d'ombra della
stagnazione e ha cominciato a correre, veloce, velocissima, quasi a
perdifiato, una volta che, assieme alla fiducia sono arrivati i soldi e gli
investimenti dall'estero. L'Occidente ha puntato sulla Polonia e questa
volta la Polonia ha ripagato. Germania, Svezia, Finlandia, Francia e in
parte Italia (ma qui sarebbe il caso di dire la Fiat) hanno spinto i loro
imprenditori a sfruttare le opportunità che si aprivano: distretti economici
speciali, molto più simili a quelli irlandesi che a quelli inventati nel Sud
d'Italia, un mercato del lavoro estremamente concorrenziale, una rete di
infrastrutture dignitosa se confrontata con quella degli altri paesi
dell'Est.
E di Est, infatti, non si parla più nella cittadella finanziaria di
Varsavia. Si preferisce il più congeniale termine di Europa Centrale per
identificare quel gruppo di paesi che ha ormai voltato le spalle al passato,
Ungheria, Repubblica Ceca, Estonia, e che la Polonia ora si candida a
guidare. Con l'occhio rivolto alla Germania e il portafoglio all'area
scandinava. Non è un caso che, secondo le statistiche degli ultimi anni,
siano proprio i distretti economici del Nord e del Sud a crescere
maggiormente. Danzica e Stettino da un lato, forti dei loro legami con
l'area del Baltico, e Katowice e Cracovia dall'altro, ben inserite nella
direttrice sud-ovest che collega Praga, Dresda Lipsia e Berlino, le aree più
dinamiche - appunto - dell'Europa Centrale.
La politica ha seguito e accompagnato la crescita economica, aiutando a
stabilizzarla. Attraverso uno sforzo di semplificazione del quadro politico
(la Polonia dei cento partiti è anch'essa un ricordo) e di profonda
trasformazione ideologica. Con tutto il rispetto, D'Alema pare un bolscevico
se messo a confronto con i leader dell'Lsd, il partito socialdemocratico
polacco, che pure vanta un duro passato comunista. Anche la politica ha
preso la sua via occidentale, diventando in qualche modo noiosa e scontata.
E anche questa è una conquista. Fra due settimane si vota per rinnovare il
parlamento. Ma la campagna elettorale scivola tranquilla, senza grande
evidenza. Discreti e non invadenti i manifesti elettorali, che seguono la
tradizione tedesca: issati su mobili supporti di compensato non invadono
tutti i muri. Non c'è neppure l'ombra di quegli orribili filari di tabelloni
che deturpano le nostre città ad ogni tornata elettorale. La propaganda è
invece massiccia nel fine settimana, più di tipo americano, con grandi
kermesse nelle piazze delle principali città del paese che coinvolgono però
soprattutto i simpatizzanti. Varsavia, domenica sera. Il candidato del
centrodestra nel collegio del centro si presenta agli elettori. Nella piazza
del castello un centinaio di attivisti si muove attorno agli stand che
espongono depliant e manifesti, salsicce e hot dog. Poco più avanti un
gruppo rock, reclutato dal candidato, si scatena di fronte a poche decine di
giovani. La gente passa, osserva distratta, commenta. Ma non pare troppo
coinvolta. I bambini conquistano il loro palloncino sponsorizzato e tutto il
centro si colora di palloncini con il nome del candidato. Ma secondo i
pronostici è ormai scontato che vincerà la sinistra (i sondaggi la
accreditano addirittura di un vantaggio di 30 punti) e per il nuovo governo
si prospetta un'alternanza che non mette paura a nessuno.
La sinistra al governo (già detiene la carica del capo dello Stato) dovrà
affrontare il problema di un rallentamento dell'economia. Segnali che negli
ultimi mesi si sono accentuati, seguendo anche in questo caso il trend
occidentale. È una crisi leggera, dicono gli operatori, che non mina la
fiducia nel miracolo polacco. Ma qualche ansia la crea, soprattutto perché,
per la prima volta dopo la grande corsa degli ultimi anni, le difficoltà si
riflettono sull'occupazione e dunque sul livello di vita dei cittadini.
Varsavia non è solo il centro e basta addentrarsi negli slums di periferia,
dove i casermoni dell'epoca socialista si susseguono neri e sudici uno dopo
l'altro, per osservare tutto un altro panorama. E raccontare tutta un'altra
storia. Per di più, i negoziati con Bruxelles in vista dell'ingresso nell'Ue
rischiano di modificare la natura di quei distretti economici speciali che
hanno rappresentato il volano per gli investimenti stranieri. L'Europa dice
che quella legislazione speciale, che contempera agevolazioni governative
per le imprese che investono, mina la corretta concorrenza all'interno della
Comunità. Gli industriali sono in subbuglio e lo scetticismo nei confronti
della fortezza di Bruxelles comincia a serpeggiare.
Nelle strade chic di Varsavia, quelle dello shopping infinito, dal lunedì
alla domenica, dalle nove di mattina alle otto di sera, la crisi ancora non
si avverte. È un piacere muoversi da un grande magazzino all'altro, da un
negozio di moda a una libreria multistore, dove decine di giovani assediano
le riviste di informatica e nuove tecnologie, il settore dei DVD, i CD
musicali. Lo shopping è la vera festa dei polacchi, un'orgia di consumismo a
lungo attesa e che essi onorano con un trasporto tutto speciale. Forse è a
loro che si riferisce il Papa nelle sue omelie preoccupate. Non c'è scaffale
che non venga assalito, rovistato, scandagliato. Vestiti, cosmetici, scarpe,
libri, riviste. I polacchi hanno fame di tutto e, se potessero,
comprerebbero tutto. Arriverà il tempo della quaresima, soprattutto se la
crisi che inquieta gli operatori dovesse mordere ancora più a fondo.
L'Europa è il grande obiettivo dei prossimi anni, un traguardo strategico,
geopolitico e soprattutto psicologico. Abbracciare l'Ue significa chiudere,
per sempre, con il Novecento, il secolo dei due totalitarismi che la Polonia
ha sperimentato, drammaticamente, sulla propria pelle. Ma per tutti i paesi
che sono passati per gli stretti parametri di Maastricht, quelli precedenti
sono stati anni di vacche magre. Un'altra prova di maturità dunque attende i
polacchi. Che potranno sempre consolarsi con il sorriso televisivo di
Alicja.
(c)
Ideazione.com (2006)
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