Cipro. L'ultima cortina d'Europa
di Giuseppe Mancini
Fuochi
d’artificio, discorsi ufficiali, canti e balli. La Repubblica di Cipro, il
1°maggio, ha fatto il suo formale ingresso nell’Unione Europea; ma i
festeggiamenti di Nicosia, solenni e commoventi, hanno avuto il gusto
tiepido e dolce-amaro della conquista storica rovinata sul più bello. Perché
nonostante l’ingresso nell’Unione, Nicosia rimane l’ultima capitale divisa
d’Europa: luci e festeggiamenti da una parte, buio e desolazione dall’altra;
con una barriera di cemento, di filo spinato, di cavalli di frisia che
continua a dividere la capitale e l’intera isola di Afrodite in due. Da una
parte la Repubblica di Cipro, membro a pieno titolo dell’Unione Europea, in
cui vivono i ciprioti di etnia e cultura greca (e di religione ortodossa);
dall’altra la Repubblica turca di Cipro settentrionale, stato-fantoccio
riconosciuto solo dalla Turchia e dal Pakistan, di fatto occupato da 40.000
soldati turchi sin dall’invasione del 1974, in cui vivono i ciprioti di
etnia e cultura turca (e di religione islamica), più decine di migliaia di
coloni turchi.
Per faciloneria e incapacità diplomatica, tutti avevano scommesso
sull’ineluttabilità della riunificazione tra le due entità
politico-istituzionali: l’Unione Europea stessa, la Grecia, la Turchia, la
Gran Bretagna che a Cipro possiede due basi militari strategicamente
decisive, gli Stati Uniti che a Cipro hanno istallazioni militari con
finalità d’intelligence, le Nazioni Unite impegnate in modo diretto nel
facilitare il buon esito dei negoziati tra greco-ciprioti e turco-ciprioti.
Negoziati che, tra alti e bassi, sono andati avanti sin dal 1974, sin dal
colpo di Stato degli ultranazionalisti greci che puntavano all’unione con la
Grecia poi seguito dall’invasione della Turchia, con la conseguente
creazione di due entità territoriali etnicamente omogenee. Negoziati che, in
fin dei conti, avevano l’obiettivo di ricreare sull’isola quell’unità che ha
sempre prevalso nel corso dei secoli a Cipro, invasa da più parti e
governata da più dominatori nel proficuo mescolamento di razze e culture.
La riunificazione allora come unico possibile obiettivo, di cui si sperava
che l’Unione europea avrebbe costituito il catalizzatore e il collante. Sin
dal 1977, in effetti, la formula per la soluzione del conflitto è stata
individuata nella creazione di una federazione binazionale e bizonale,
composta da due entità politiche fortemente autonome in grado di preservare
le specificità culturali e i legami politici dei greco-ciprioti (con Atene)
e dei turco-ciprtioti (con Ankara). Ma a questa formula, valida in astratto,
non si è mai riusciti a dare un’applicazione concreta, nonostante il
coinvolgimento della comunità internazionale, degli stati e delle
istituzioni occidentali inorriditi dall’eventualità di un conflitto aperto
tra Grecia e Turchia, baluardi geopolitici contro l’Unione sovietica della
Guerra fredda. Ma la Guerra fredda è finita, Cipro è entrata nell’orbita
europea in vista dell’adesione alle istituzioni comunitarie, l’Onu ha
rinnovato il suo impegno: ma le prospettive di riunificazione sono sempre
state vanificate dalla posizione costantemente intransigente del leader
turco-cipriota Rauf Denktash, fermissimo nella richiesta del riconoscimento
internazionale per il suo autoproclamato Stato (nel 1983) e dell’effettiva
creazione, piuttosto che di una federazione, di una confederazione con
meccanismi di cooperazione molto formali e poco reali.
Ma nonostante queste difficoltà apparentemente insormontabili (la posizione
rigida di Denktash ha trovato il sistematico appoggio della Turchia), le
autorità europee hanno da un lato scommesso sulla riunificazione, dall’altro
nulla hanno fatto per renderla possibile, lasciando invece il ruolo di
mediatori all’Onu, agli Stati Uniti e in misura limitata alla Gran Bretagna,
con Grecia e Turchia sempre pronte a spalleggiare (politicamente,
economicamente e militarmente) i propri protetti. Da un lato l’Ue ha
accettato che Cipro avrebbe comunque fatto parte dell’allargamento anche se
non riunificata, dall’altro l’Onu ha intensificato gli sforzi proponendo un
piano che i leader, o in mancanza dell’assenso dei leader le popolazioni
attraverso consultazioni referendarie, avrebbero dovuto accettare come
soluzione definitiva della questione cipriota.
Com’era prevedibile, Rauf Denktash e il nuovo presidente greco-cipriota
Tassos Papadopoulos (quest’ultimo forte dell’ingresso di Cipro nell’Ue già
definito) non sono riusciti a raggiungere un accordo: a pronunciarsi, sono
state chiamate allora le due popolazioni, con referendum separati il 24
aprile. E mentre i turco-cirpioti hanno respinto l’intransigenza di Denktash
e votato per il futuro europeo attraverso la riunificazione (65% a favore),
i greco-ciprioti già sicuri dell’imminente futuro europeo hanno votato
massicciamente (76%) contro un piano che avrebbe portato a una
riunificazione solo di facciata. Contro un piano che, ignorando in modo
sconcertante la storia anche recente di Cipro, ripropone tutti i meccanismi
su base etnica che hanno portato al rapido fallimento della costituzione del
1960, inoltre negando a molti ciprioti quei diritti (di movimento e di
stabilimento) che l’Unione Europea dovrebbe garantire a tutti i suoi
cittadini.
Il futuro è allora colmo di incertezze. I negoziatori dell’Onu e le autorità
europee, soprattutto il commissario all’allargamento Verheugen, hanno
risposto con sdegno al fallimento del loro capolavoro di autoaccecamento
diplomatico; gli Stati Uniti e la Turchia hanno annunciato una ricompensa
per l’atteggiamento ragionevole e cooperativo dei turco-ciprioti; il
consiglio dei ministri degli ancora 15, a Dublino, ha offerto ai
turco-ciprioti un sostanzioso pacchetto di aiuti economici; lo stesso
presidente Papadopoulos ha dichiarato l’intenzione di favorire il più
possibile lo sviluppo economico e l’integrazione politica dei
turco-ciprioti. Ma il problema di fondo rimane: uno Stato membro dell’Ue è
occupato militarmente dalle truppe di uno Stato candidato all’ingresso
nell’Unione stessa, Nicosia è l’ultima capitale divisa d’Europa, nessuno
sembra avere un piano credibile per assicurare una riunificazione che non
sia foriera di ulteriori e distruttivi conflitti. Ci sarebbe bisogno di
immaginazione politica, di visioni intelligenti, di convincente concretezza:
merci sempre più rare sulla scena internazionale.
(c)
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