I Balcani verso Bruxelles
di Angela R. Punzi
A maggio
Bruxelles accoglierà i paesi dell’Europa dell’Est e le isole di Malta e
Cipro, mentre si posticipa al 2007 l’ingresso di Romania e Bulgaria e si
discute il caso Turchia. E i Balcani? L’allargamento in Europa riparte
dall’altra sponda dell’Adriatico con un progetto a favore dell’integrazione,
rapida e sostenibile, dei Balcani nell’Unione Europea. Si rilancia l’idea di
un’altra Europa, “l’Europa dal basso”, con l’adesione di Albania,
Bosnia-Erzegovina, Croazia, Serbia-Montenegro e Macedonia. L’esempio
dell’allargamento dei paesi vicini che diventeranno membri dell’Ue dopo un
processo di adeguamento e adattamento sarà un esempio contagioso da seguire,
che avrà un impatto positivo nell’area dei Balcani occidentali. In
particolare la Croazia è stata spronata non solo dall’ingresso della vicina
Ungheria e dell’ex-collega Slovenia, ma anche dall’anticipazione del
processo di allargamento di Bulgaria e Romania.
Dopo i risultati modesti in campo economico del 2002, un rapporto dell’Ue
del marzo 2003 constata un lieve progresso dei paesi balcanici
nell’ottenimento di una stabilità macroeconomica ed una minore inflazione
rispetto al 2001. Restano però da risolvere i problemi legati alla mancanza
di riforme strutturali, all’altissimo tasso di disoccupazione, all’ulteriore
allargamento della corruzione e della cosiddetta “economia grigia”. Inoltre
quasi tutti i paesi dell’ex-Jugoslavia dipendono ancora da sostegni
economici esteri; in Bosnia-Erzegovina, in particolare, la dipendenza
cronica dagli aiuti stranieri potrebbe ostacolare la creazione di uno
sviluppo autosufficiente e sostenibile nel caso – e nel giorno – in cui
questo sostegno venisse a mancare. A giugno del 2003, nell’Agenda di
Salonicco sono stati indicati ai cinque paesi balcanici i parametri
economici da raggiungere per ottenere il via libera all’ammissione. Ma a
loro è stato anche chiesto di dotarsi di leggi che rimuovano gli ostacoli al
completo ritorno dei profughi e di adottare specifici provvedimenti sul
fronte della criminalità organizzata e dell’immigrazione illegale.
All’inizio del 2002 il maggior impedimento all’integrazione di tutta la
regione dei Balcani occidentali era rappresentato dalla lentezza nello
sviluppo del processo democratico. Sul banco degli imputati c’era il lento
andamento delle riforme politiche e sociali necessarie per trasformare
questi paesi post-autoritari in paesi in transizione, che avessero una
struttura istituzionale democratica e un processo politico altrettanto
democratico. Purtroppo, finora è stato compiuto un modesto progresso in tal
senso, ancora insufficiente per far compiere con successo il grande balzo
avanti. Tra i fenomeni che non sono stati ancora del tutto superati c’è il
“nazionalismo estremista” che, afferma la Commissione europea, è alimentato
dai postumi della guerra e dalla mancanza di politiche energiche e coerenti
che superino i traumi bellici, tra i quali ci sono anche la mancata
persecuzione dei crimini di guerra ed il mancato ritorno dei profughi alle
loro case.
Sembra che mentre l’Unione Europea si è già fortemente impegnata per una
rapida adesione di tutti i paesi balcanici, ce ne sono alcuni, come ad
esempio la Croazia, che stanno prendendo tempo in attesa di testare la
consistenza politica della nascente Unione a 25. Tentennamenti che incidono
negativamente sul giudizio dei policy-makers dell’Ue che vorrebbero uno
sviluppo più lineare e deciso, senza quel senso di disagio che si avverte in
questa regione e che era stato provato già negli anni Novanta dagli Stati
Uniti, denominato proprio per questo “balkan fatigue”, la stanchezza dei
Balcani. Questi ultimi accusano ancora le difficoltà del dopo-guerra, perché
in questa regione la riappacificazione e la normalizzazione richiedono tempi
più lunghi rispetto ad altre società in transizione che hanno avuto la
fortuna di non dover conoscere il trauma della guerra e non hanno avuto
bisogno di un periodo di assestamento come gli abitanti della ex-Jugoslavia.
C’è ancora un altro ostacolo da superare. La cooperazione regionale è stata
definita dall’Ue un passo indispensabile per la normalizzazione nell’area e
per l’eliminazione di attriti e conflitti regionali. Ma sta emergendo
l’incapacità delle élites politiche di implementare i principi di tale
cooperazione nell’area. Da parte dei paesi meno avanzati, come la
Bosnia-Erzegovina, la Serbia e il Montenegro, c’è la volontà di instaurare
relazioni a livello regionale e non solo relazioni bilaterali, come fa ad
esempio la Croazia. Infatti, mentre l’opinione pubblica croata si mostra
fortemente europeista, il governo privilegia rapporti bilaterali e
praticamente esclude la propria partecipazione ad una zona di libero scambio
dell’area balcanica. Così l’obiettivo fissato al summit di Zagabria di
creare un’area di libero scambio non è stato ancora realizzato. Sembra
dunque che il progetto di integrazione in Europa dei Balcani dovrebbe
partire da un processo di integrazione nei Balcani.
(c)
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