Una repubblica fondata su De Gaulle
di Rodolfo Bastianelli
 

La grave debolezza politica della “Quarta Repubblica”, condusse la Francia sul finire degli anni Cinquanta in una delle sue più profonde crisi istituzionali e sociali. Per far uscire il paese dal difficile stato in cui versava, vennero attribuiti al generale Charles De Gaulle i poteri necessari per attuare le indispensabili modifiche costituzionali portate a termine con la riforma in senso semipresidenziale dello Stato del 1958, anno di nascita della Quinta Repubblica francese.

Prima di descrivere le istituzioni della Quinta Repubblica, è necessaria una descrizione, seppur breve, delle due Costituzioni che l’hanno preceduta e che per la loro valenza politica costituiscono un importante punto di partenza per comprendere la storia costituzionale francese.

La Terza Repubblica ( 1875 – 1940 )
Nata sulle ceneri del “Secondo Impero” dissoltosi il 4 Settembre 1870 con la resa di Napoleone III a Sedan che sanciva la sconfitta francese nella guerra contro la Prussia, la “Terza Repubblica” nacque tra contrasti interni e tensioni. La scelta della forma di Stato repubblicana fu esclusivamente dovuta alle forti divisioni esistenti tra i parlamentari monarchici, detentori della maggioranza dei seggi all’Assemblea Nazionale dopo le elezioni del 1871, sulla scelta di chi avesse diritto di salire al trono al momento della restaurazione della monarchia nel paese. L’impossibilità di giungere ad un compromesso tra le due fazioni portò alla nascita di uno Stato repubblicano, la cui impronta però era fortemente conservatrice
[1]. La struttura della Terza Repubblica, definita da tre leggi costituzionali adottate nel 1875, era di tipo parlamentare, con un presidente della Repubblica eletto per sette anni dal Parlamento che disponeva sia dei classici poteri da capo di Stato che di alcune prerogative più importanti, quali il potere d’iniziativa legislativa in unione con le Camere e di dissoluzione dell’Assemblea Nazionale.

Composto dall’Assemblea Nazionale e dal Senato, il Parlamento aveva assunto una forma bicamerale principalmente per ragioni di ordine politico. Difatti mentre l’Assemblea Nazionale era eletta a suffragio universale per 4 anni, il Senato rimaneva in carica per 9 anni e la sua elezione avveniva in maniera indiretta nei diversi Dipartimenti per mano dei deputati e dei consiglieri dipartimentali e comunali. Questo sistema, vista la prevalenza dei rappresentanti della Francia agricola e provinciale, dava al Senato un orientamento conservatore che faceva da contrappeso all’Assemblea Nazionale, più progressista e liberale.

Le istituzioni della Terza Repubblica furono fin dall’inizio segnate dall’instabilità. La ragione principale risiedeva nell’esasperato parlamentarismo, che in settanta anni porterà la Francia a conoscere una moltitudine di gabinetti ministeriali – 101 per l’esattezza – che cadevano pur senza essere colpiti da una mozione di sfiducia. Essendo espressione di coalizioni, i governi erano soggetti alle volontà e ai condizionamenti dei diversi partiti i quali, inoltre, risultavano divisi e senza alcuna disciplina interna, tanto che alcuni osservatori arrivarono a coniare la definizione di “multipartitismo anarchico” per illustrare lo scenario esistente. Espressione di notabili e ricchi borghesi, le formazioni presenti in Parlamento erano prive di struttura e organi decisionali, cosa che rendeva il panorama politico francese assai diverso da quello inglese dove già esistevano dei partiti organizzati che si battevano per la conquista del potere. E sarà solo alla fine dell’Ottocento, con la nascita del Partito Socialista, che anche in Francia si potrà assistere alla costituzione di forze politiche regolarmente strutturate. A rendere ancora più fragili gli esecutivi contribuì poi anche il fatto che l’Assemblea Nazionale, pur non essendo in grado di esprimere maggioranze stabili, non veniva quasi mai dissolta anticipatamente. Il potere di scioglimento, formalmente nelle mani del presidente, non venne da questi più esercitato dopo la crisi del 1876, rendendo nullo quindi ogni elemento di pressione sul Parlamento. La vita pubblica del paese fu inoltre segnata da diversi scandali finanziari e politici come quello creato dal caso Dreyfus, che gettò non poco discredito sulle istituzioni militari dello Stato.  

Dopo aver superato anni di turbolenze e crisi politiche, la Terza Repubblica crollò nel 1940 in seguito alla disfatta francese nel secondo conflitto mondiale. Il 16 Giugno di quello stesso anno, ricevute le dimissioni del primo ministro Paul Reynaud, il presidente Albert Lebrun decise di affidare l’incarico di formare il governo al maresciallo Pétain che sei giorni dopo firmò l’armistizio con la Germania[2]

Il regime di Vichy (1940 – 1944)
Il 10 Luglio 1940, l’Assemblea Nazionale riunita a Vichy – una località termale della Francia centrale dove il governo si era installato dopo aver abbandonato Parigi – votò a maggioranza la fine della Terza Repubblica, mentre il giorno seguente una nuova deliberazione concesse al maresciallo Pètain tutti i poteri, attribuendogli anche l’autorità di redigere una nuova Costituzione che tuttavia non venne mai adottata. Il governo si limitò a varare tredici diversi atti costituzionali dal contenuto spesso contraddittorio. Formato sui due quinti del territorio francese non occupato dalla Germania l’état Française, come venne ufficialmente denominato il regime di Vichy, seguì due distinte fasi politiche: la prima, nel periodo tra il 1940 ed 1942, segnata da una dittatura personale di Pètain e la seconda, iniziata nell’Aprile del 1942 con il ritorno alla guida dell’esecutivo di Pierre Laval, contraddistinta invece da una divisione delle funzioni tra Pètain ed il primo ministro, responsabile solo davanti al capo dello Stato ed a cui era attribuito anche il potere legislativo. Va comunque ricordato come la legittimità del regime di Vichy venne contestata fin dall’inizio da Charles De Gaulle, già membro del gabinetto Reynaud e rifugiatosi a Londra poco prima dell’armistizio, il quale subito dopo la resa firmata da Pètain assunse la guida delle forze militari francesi intenzionate a continuare la guerra contro la Germania. Conquistato l’appoggio delle colonie dell’Africa equatoriale, De Gaulle nel Settembre 1941 costituì il Comitato nazionale francese  (Cnf) quale governo in esilio della Francia libera a cui nei due anni seguenti si unirono anche i territori coloniali situati nel Pacifico ed in America
[3]. La ritirata tedesca davanti all’avanzata alleata portò nel 1944 al crollo del regime collaborazionista di Vichy, i cui principali esponenti vennero arrestati e processati dopo la guerra con l’accusa di tradimento.

La Quarta Repubblica (1946 - 1958)
All’indomani della liberazione nell’estate 1944, si installò alla guida del paese un “Governo Provvisorio della Repubblica Francese” che nell’ottobre dell’anno seguente decise la convocazione di un referendum popolare per stabilire se ripristinare la Costituzione della Terza Repubblica oppure redigere un nuovo testo costituzionale. Il risultato vide una netta affermazione dei favorevoli alla stesura di una nuova Costituzione, che doveva essere elaborata dall’Assemblea Costituente eletta contemporaneamente con il referendum. Un primo testo varato con i voti socialisti e comunisti venne respinto dal corpo elettorale, mentre il secondo progetto, approvato anche con i voti dei democristiani del Mouvement républicain popoulaire di Schuman, ebbe stavolta il consenso degli elettori.

Composta di 106 articoli, la Costituzione che diede vita alla Quarta Repubblica era di tipo parlamentare e vedeva la netta preponderanza dell’Assemblea Nazionale, mentre il ruolo del Consiglio della Repubblica – la seconda Camera che aveva sostituito il Senato – era estremamente limitato. Il presidente della Repubblica veniva eletto dal Parlamento e aveva ancora meno poteri dei suoi predecessori della Terza Repubblica, non disponendo più del potere di scioglimento dell’Assemblea Nazionale. Questo poteva essere esercitato dal governo a condizione che si verificassero due crisi ministeriali nell’arco di diciotto mesi, escluso il primo anno e mezzo seguente alle elezioni. In misura maggiore che nella Terza Repubblica, la Francia della Quarta Repubblica era segnata da continue crisi ministeriali. I ventiquattro governi che si succedettero in dodici anni, tutti caduti a seguito di crisi extra-parlamentari, stanno a dimostrare come l’esasperato parlamentarismo e la proliferazione dei partiti rendessero praticamente impossibile la creazione di compagini ministeriali stabili. Eletta con il sistema proporzionale, l’Assemblea Nazionale era dominata da socialisti, comunisti e democristiani, a cui andavano aggiunti una dozzina di piccoli partiti, generalmente di centro, che divenivano il vero e proprio ago della bilancia di ogni possibile maggioranza. Il potere di scioglimento concentrato nelle mani del governo faceva poi il resto. È chiaro il significato politico di questa attribuzione. Essendo i governi fortemente instabili e quasi sempre fatti cadere dalla defezione dei partiti minori, non ci vuole molto a comprendere come nessuno all’interno del Consiglio dei ministri fosse intenzionato a ricorrere ad elezioni anticipate, che avrebbero significato con ogni probabilità la perdita di peso per i partiti governativi o addirittura la scomparsa per quelli più piccoli, che preferivano giocare un ruolo determinante in Parlamento invece di sottoporsi al giudizio degli elettori.

Ma, soprattutto, i governi della Quarta Repubblica si dimostrarono incapaci di risolvere i problemi del paese e di gestire il processo di decolonizzazione che, come dimostrava la guerra in Indocina e l’aggravarsi della situazione in Algeria, stava diventando uno dei temi più importanti e maggiormente avvertiti dall’opinione pubblica. E saranno proprio le vicende algerine a rivelarsi determinanti per la sua dissoluzione e la conseguente nascita della Quinta Repubblica. Cominciata in alcune province periferiche, la protesta condotta dal Fronte di Liberazione Nazionale (Fln) andò progressivamente allargandosi a tutta l’Algeria, trasformandosi alla fine degli anni Cinquanta in un’aperta insurrezione contro l’amministrazione francese. Il 13 maggio del 1958, a seguito dei disordini scoppiati ad Algeri tra la polizia e gli indipendentisti, il generale Massu decise di formare un Comitato di Salute Pubblica che esigeva la consegna dei poteri a De Gaulle al fine di risolvere la grave crisi politica ed istituzionale del paese.

Quindici giorni dopo il governo presieduto da Pfimlin si dimetteva ed il presidente Coty affidava l’incarico a De Gaulle, che sarà formalmente l’ultimo della Quarta Repubblica, a cui erano concessi i poteri di delega nel legislativo al fine di modificare la Costituzione. Da sempre fortemente critico con il parlamentarismo, De Gaulle vedeva nella figura di un presidente dotato di ampi poteri e indipendente nei riguardi del Parlamento la soluzione per ridare credibilità alle istituzioni. Nelle sue intenzioni il presidente doveva essere inoltre l’arbitro dei conflitti che si verificavano tra i vari poteri dello Stato e porsi al di sopra dei partiti per l’interesse superiore della nazione. Saranno questi i principi che ispireranno De Gaulle nella redazione della Costituzione della Quinta Repubblica.

La nascita della Quinta Repubblica e le sue caratteristiche istituzionali
In base a quanto dettato dalla legge del 3 giugno 1958, al governo presieduto da De Gaulle furono concessi i pieni poteri nel campo legislativo per la durata di sei mesi al fine di elaborare la nuova struttura istituzionale da dare al paese. Un gruppo di esperti, presieduto dall’allora ministro della Giustizia Debré, ebbe l’incarico di redigere il progetto della Costituzione da presentare ad un Comitato Interministeriale composto da diverse personalità e presieduto dallo stesso De Gaulle. Il testo preparato passò poi all’esame di un Comitato Costituzionale Consultivo, di cui facevano parte sedici deputati, dieci senatori e tredici membri di nomina governativa posti sotto la presidenza dell’ex premier Reynaud, che decise di approvarlo proponendo però alcune modifiche da sottoporre all’attenzione di un nuovo Comitato Interministeriale, il quale accettò le proposte avanzate inviando il progetto all’esame del Consiglio di Stato. Il nuovo testo costituzionale fu redatto definitivamente nel Consiglio dei ministri del 3 settembre 1958 e sottoposto pochi giorni dopo a referendum in tutta l’“Unione Francese” dove fu approvato in maniera schiacciante con l’85,1 per cento di voti favorevoli ed il 14,9 per cento di contrari, venendo respinto solo dalla Guinea che subito dopo decise di proclamare la sua indipendenza da Parigi
[4]. Il 4 ottobre il presidente Coty promulgava ufficialmente il testo della Costituzione che dava vita alla Quinta Repubblica francese.

Composto di 89 articoli, più un preambolo che riafferma l’adesione ai diritti dell’uomo ed ai principi della sovranità nazionale espressi nella Dichiarazione del 1789, il testo costituzionale della Quinta Repubblica ha il suo tratto saliente nel forte potere concesso alla figura del presidente. Gli ideali che stanno alla base dell’azione politica di De Gaulle, espressi durante il famoso discorso di Bayeux del 1946, prevedono in primo luogo la realizzazione di uno Stato forte e la rinascita nazionale della Francia. Perché questi ideali vengano realizzati è necessario che alla guida del paese vi sia un presidente autorevole, dotato di ampi poteri e posto al di sopra dei partiti e delle ideologie e poi che lo Stato riacquisti la sua autorità, in modo da unire tutti i cittadini intorno agli ideali nazionali. Tutto questo rappresentava però una rottura per il pensiero politico francese che considerava il Parlamento depositario dei poteri ritenendo opportuno ridurre al minimo le prerogative del capo dello Stato il cui ruolo, alla luce degli ideali seguiti alla Rivoluzione, era percepito come simile a quello del re e reputato quindi un potenziale pericolo per le libertà dei cittadini.

Ma se per i sostenitori del gaullismo questo sistema ha ridato prestigio e rispetto alla Francia e ricostituito delle istituzioni stabili dopo le turbolenze del passato, per i suoi detrattori altro non è che un misto di autoritarismo politico e paternalismo. Secondo quanto concepito da De Gaulle, il presidente era il vero motore dell’esecutivo, nonostante la Costituzione attribuisse non poche prerogative, tra cui quelle in campo economico e finanziario, al primo ministro. Il presidente, che stava alla base della struttura istituzionale concepita da De Gaulle, poteva fare pienamente uso dei poteri propri che gli spettavano e giocare un ruolo predominante su tutta quanta la politica nazionale, compresi anche quei settori di competenza del governo. In linea con quanto asserito, negli anni in cui De Gaulle fu presidente, il ruolo del primo ministro rimase nettamente subordinato, divenendo in sostanza nient’altro che l’esecutore delle linee della politica presidenziale. E questo senza contare che nelle mani del presidente era concentrato l’intero settore della politica estera e della difesa.

La concezione gaullista della presidenza non cambiò neanche con l’uscita di De Gaulle dalla scena politica, tanto che lo stesso Mitterrand, in principio duramente critico verso il sistema, non tardò ad adeguarvisi. Che la Quinta Repubblica segni un’effettiva svolta in senso presidenzialista è confermato da quanto enunciato riguardo all’irresponsabilità politica del capo dello Stato. Se nei precedenti regimi parlamentari ogni atto del presidente doveva essere controfirmato da un ministro, al contrario secondo la Costituzione del 1958, pur rimanendo valido il principio che il presidente non è responsabile se non per alto tradimento, viene stabilito invece che numerosi atti di primaria importanza, quali la dissoluzione dell’Assemblea Nazionale, la convocazione del referendum e la nomina del premier, siano sottratti alla controfirma governativa facendo emergere così tutto il loro carattere “presidenziale”. L’altra particolarità della Quinta Repubblica, a prima vista priva di grandi implicazioni politiche, è la grande libertà di comunicazione lasciata al presidente, che dispone di un’assoluta autonomia nella stesura dei messaggi da inviare al Parlamento ed in quelli radiotelevisivi da rivolgere al paese. Questo forte contatto diretto con i cittadini serve al presidente per rivolgere critiche ed apprezzamenti al governo, facendo così del capo dello Stato un vero e proprio arbitro della situazione che usa il suo potere di comunicazione per dimostrare la sua funzione di controllo sulla politica nazionale – sulla quale può intervenire in qualsiasi momento – e su qualunque situazione. L’elezione popolare ha poi ulteriormente amplificato queste tendenze, investendo il presidente di una vera e propria responsabilità politica diretta che si determina principalmente verso il paese e gli elettori i quali diventano gli unici che possono revocare o confermare la fiducia al capo dello Stato.

Ma altre prerogative contribuiscono a rafforzare ulteriormente il ruolo presidenziale. La convocazione dei referendum, sui quali è decisiva l’influenza dell’Eliseo, rappresenta uno strumento per far esprimere all’elettorato un voto di fiducia sulla sua politica, come furono quelli indetti da De Gaulle nel 1962 e nel 1969 sulle riforme istituzionali. Allo stesso modo, il potere di dissolvere anticipatamente l’Assemblea Nazionale, indipendentemente dal fatto che il governo goda della fiducia parlamentare, rende il presidente il vero leader della maggioranza. L’atto di dissoluzione non viene deciso dall’Eliseo per l’impossibilità di formare un esecutivo, ma esercitato o in momenti di particolare gravità, come lo scioglimento deciso da De Gaulle nel mezzo della protesta del maggio 1968, oppure per rafforzare il “suo” primo ministro con un nuovo mandato degli elettori alla vigilia di importanti scelte politiche.

E qui entriamo nel punto più significativo della Quinta Repubblica, ovvero la doppia dipendenza politica del primo ministro dal Presidente e dall’Assemblea Nazionale. Questo rapporto può però assumere due forme diverse nel caso che il premier provenga dalla stessa maggioranza del presidente o se questa invece sia di colore opposto a quella presidenziale, dando luogo così alla “coabitazione”, circostanza verificatasi tre volte nel corso della Quinta Repubblica. Se nella prima ipotesi il rapporto viene a delinearsi principalmente con il presidente, facendo del premier l’esecutore del programma elaborato dall’Eliseo, nel caso in cui il presidente ed il premier siano invece di segno opposto il ruolo del governo cesserebbe di essere subordinato all’azione presidenziale riacquistando interamente la sua autonomia.

Il presidente della Repubblica: il sistema di elezione e le sue prerogative
Il presidente della Repubblica costituisce la personalità più importante tra quelle della Quinta Repubblica. Questo, in base alla Costituzione del 1958, veniva eletto per sette anni in maniera indiretta da un collegio di ottantamila Grandi Elettori composto dai membri del Parlamento, dei Consigli Generali dei Dipartimenti, dei Consigli comunali e delle assemblee dei Territori d’Oltremare
[5]. Le implicazioni di questo particolare sistema elettorale erano assai rilevanti dal punto di vista politico.

In primo luogo il presidente veniva sottratto all’influenza dei partiti cercando, come era nelle intenzioni gaulliste, di porlo esclusivamente al servizio della nazione, mentre la composizione del collegio, quasi del tutto simile a quello per l’elezione del Senato, rafforzava ulteriormente il legame tra il presidente e la Camera Alta del Parlamento andando a discapito dell’Assemblea Nazionale, il cui peso doveva essere ridimensionato, sia per la freddezza di De Gaulle verso il parlamentarismo, sia perché questa poteva esprimere una maggioranza ostile al presidente. Non a caso c’è chi, in riferimento al sistema elettorale adottato (che fu tuttavia utilizzato solo per la prima elezione presidenziale del dicembre 1958), ha fatto notare come a proposito della Francia si potesse parlare di una Repubblica senatoriale, in cui si delineava un’alleanza tra la massima carica dello Stato e il Senato. Inoltre, essendo in maggioranza al suo interno i delegati delle municipalità rurali, il collegio veniva ad assumere una posizione tendenzialmente conservatrice.

Un procedimento elettorale indiretto mal si conciliava però con quanto dichiarato da De Gaulle, secondo cui il suo successore doveva avere un mandato popolare non potendo contare sulla forte personalità e sul suo grande prestigio personale. Nel 1962 fu quindi convocato da De Gaulle un referendum per approvare la modifica costituzionale che consentiva l’elezione diretta del capo dello Stato. Con questa riforma si introduceva l’elezione popolare del presidente, il cui mandato rimaneva fissato in sette anni e poteva essere rinnovato per una seconda volta[6]. Come per il procedimento di elezione indiretta anche quello adottato nel 1962 si presta a numerose considerazioni. Con questo sistema, i poteri attribuiti al presidente vengono ad essere ulteriormente rafforzati vista l’autorità che gli viene impressa dall’elezione diretta, senza contare che con l’investitura a suffragio popolare il capo dello Stato diviene un rappresentante del popolo francese al pari dei membri dell’Assemblea Nazionale, ma con la differenza che mentre la rappresentatività dei deputati per effetto della legge elettorale tende a dividersi in numerosi collegi, quella presidenziale assume invece un valore nettamente più forte in quanto risulta espressione dell’intero territorio nazionale[7].

La Francia presenta un “esecutivo bicefalo” in cui il potere compete sia al presidente che al primo ministro. Tuttavia, come è stato sottolineato da tutti gli osservatori, la preponderanza del presidente è netta. All’Eliseo spettano infatti una serie di poteri “propri” esercitabili senza la controfirma ministeriale, tra i quali rientrano atti di notevole rilevanza politica come la nomina del primo ministro, lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, la convocazione del referendum e l’assunzione dei poteri eccezionali. Nella designazione del premier, l’Eliseo dispone di un’ampia autonomia nella scelta della personalità che dovrà guidare il governo, non essendovi automaticità nella designazione a primo ministro del leader del partito che vince le elezioni e potendo inoltre il presidente designare alla guida dell’esecutivo una personalità non parlamentare. Ma la prerogativa che più fa emergere il fortissimo ruolo assegnato al presidente nella Quinta Repubblica è la possibilità che questo possa far ricorso ai poteri eccezionali. In base alla Costituzione egli può assumerli, senza alcun limite di tempo, quando siano minacciate l’indipendenza della nazione o la sua integrità, le istituzioni del paese, il regolare funzionamento degli organi costituzionali e, addirittura, nel caso di mancata esecuzione degli obblighi e dei trattati internazionali. Le ragioni che spinsero a concedere al capo dello Stato un potere di così vasta portata sono da ricondursi alla memoria dei drammatici eventi del giugno 1940 che portarono alla resa della Francia. Come ebbe a dire De Gaulle, «in mancanza di una tale prerogativa, invece di trasferirsi con il governo ad Algeri, il presidente Lebrun fu costretto a conferire l’incarico a Pétain aprendo così la strada alla capitolazione». Due condizioni giustificano l’assunzione dei poteri eccezionali presidenziali, l’esistenza di una minaccia «grave ed immediata» contro le istituzioni della Repubblica e l’indipendenza nazionale e l’impossibilità da parte dei poteri costituzionali di funzionare regolarmente.

Per adottare queste misure – che nei fatti consegnano al capo dello Stato dei poteri “dittatoriali” – è necessario per il presidente il parere obbligatorio ma non vincolante del primo ministro, del presidente dell’Assemblea Nazionale, del presidente del Senato e del Consiglio Costituzionale, mentre la stessa presidenza ne dà successivamente comunicazione al paese con un semplice messaggio radiotelevisivo. Durante l’esercizio dei poteri straordinari il presidente non solo viene a disporre di tutti i mezzi necessari per far fronte alle circostanze, ma assume nelle sue mani il potere legislativo e regolamentare, potendo arrivare a sostituirsi ai tribunali ordinari ed a sospendere le libertà costituzionali, come fece De Gaulle durante il suo esercizio dei poteri straordinari quando con due decreti sospese prima le libertà pubbliche e poi l’inamovibilità dei magistrati di stanza in Algeria. Gli unici limiti che incontra sono quello di non poter dar luogo a procedimenti di revisione costituzionale e di non potere procedere alla dissoluzione dell’Assemblea Nazionale. In una sola circostanza, fino ad oggi, il Capo dello Stato ha deciso di assumere i poteri eccezionali: accadde il 23 aprile del 1961 quando De Gaulle decise di ricorrere ai poteri straordinari per porre fine al tentativo di colpo di Stato operato da un gruppo di alti ufficiali in Algeria contrari alla sua politica verso la colonia francese[8].

L’altro settore dove risulta più preminente l’azione del presidente è quello della difesa. Secondo il dettato costituzionale, mentre il presidente presiede i consigli ed i comitati superiori della difesa ed è il capo delle forze armate (art. 15) il primo ministro dispone del loro utilizzo per le operazioni (art. 20), cosa che accrediterebbe la tesi di chi sostiene come la responsabilità della difesa sia una prerogativa governativa e non presidenziale. A partire dagli anni Sessanta però, dopo la decisione presa autonomamente da De Gaulle di creare una Force de Frappe nucleare e di uscire dalla struttura militare della nato, il ruolo dell’Eliseo in questo campo è andato aumentando tanto che oggi lo si intende come un suo dominio riservato. La prevalenza presidenziale è stata inoltre ribadita in occasione della partecipazione francese alla Guerra del Golfo del 1991, quando Mitterrand riaffermò le sue prerogative relative all’impiego delle forze armate ed alla fissazione degli obiettivi strategici, mentre il Primo ministro si interessò esclusivamente degli aspetti non militari della missione, e successivamente dalla scelta effettuata da Chirac di riprendere nell’estate del 1995 gli esperimenti nucleari nella Polinesia francese. Va poi ricordato come l’Eliseo dispone di un peso rilevante nella designazione dei ministri della Difesa e degli Esteri e che è sempre di esclusiva competenza presidenziale il potere di decidere l’eventuale utilizzo della forza di dissuasione nucleare del paese. Solo durante la coabitazione la situazione tende a riequilibrarsi rendendosi necessario per le operazioni il consenso governativo, anche se pure in questa circostanza le prerogative del presidente rimangono considerevoli.

Un identico discorso si può fare anche per le competenze in materia di politica estera, campo in cui al presidente spettano numerose funzioni in merito alla ratifica ed alla negoziazione dei trattati conclusi dalla Francia, nonché la prerogativa di tracciare le direttive per l’azione diplomatica di Parigi. Il ruolo preminente del capo dello Stato in campo internazionale trova inoltre ulteriore conferma nel fatto che questo accompagna, in ogni visita ufficiale all’estero, sia il primo ministro che il ministro degli Esteri, cosa che dimostra come le sue prerogative non si riducono neanche in periodo di coabitazione.

Il Parlamento e gli enti locali
Di tipo bicamerale, il parlamento francese è composto dall’Assemblea Nazionale, posta in posizione preminente, e dal Senato, il cui ruolo risulta più defilato. L’Assemblea Nazionale si compone di 577 membri eletti per 5 anni a suffragio universale con il sistema maggioritario a doppio turno[9]. La legge elettorale in vigore prevede che per essere eletto al primo turno un candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti espressi e conseguire un numero di suffragi pari ad un quarto degli elettori iscritti, altrimenti si rende necessario un ballottaggio a cui sono ammessi tutti quei candidati che hanno avuto almeno il 12,5% dei voti degli aventi diritto. Al secondo turno per venire eletti è sufficiente conquistare la sola maggioranza relativa. Le materie in cui l’Assemblea Nazionale può legiferare sono, caso unico, stabilite dalla Costituzione stessa (art. 34), mentre un’ulteriore limitazione alle sue prerogative viene dal fatto che in alcuni settori può delegare la competenza legislativa all’esecutivo che agisce poi varando delle apposite ordinanze. Decisamente ridimensionata rispetto al passato, l’Assemblea Nazionale nella Quinta Repubblica non occupa che la terza posizione nella gerarchia delle istituzioni repubblicane, un ruolo subordinato che riflette bene i voleri di De Gaulle, convinto che proprio il parlamentarismo esasperato fosse stato la causa principale dell’instabilità della Quarta Repubblica.

Lo stesso esercizio del potere presidenziale di scioglimento anticipato, esercitato quasi esclusivamente per ragioni politiche e non per l’impossibilità di dar vita ad un nuovo governo, sta a significare come il ruolo dell’Assemblea Nazionale nelle intenzioni dell’Eliseo sia esclusivamente quello di sostenere l’azione politica del primo ministro, rendendo di fatto il presidente il vero leader della maggioranza.

Lo scioglimento viene deciso o per rafforzare l’esecutivo, come avvenne nel 1968, quando nel mezzo della protesta studentesca il rinnovo dell’Assemblea Nazionale portò ad una netta affermazione delle forze gaulliste e al conseguente termine delle proteste popolari, oppure per sostituire un’assemblea espressione di una diversa maggioranza con una dello stesso colore di quella del capo dello Stato. Questa decisione viene di solito adottata dall’Eliseo dopo le elezioni presidenziali, come fece Mitterrand nel 1981 quando sciolse l’Assemblea Nazionale a maggioranza di centrodestra eletta nel 1978, ed al momento della sua riconferma nel 1988, allorché sciolse l’Assemblea eletta nel 1986 che lo aveva costretto per due anni alla coabitazione con il gaullista Jacques Chirac. A limitare l’azione ed il ruolo dell’Assemblea Nazionale contribuisce, inoltre, una caratteristica tipica del mondo politico francese, quella del localismo. Creata negli anni della Terza Repubblica, la tradizione del députémairie consente ad un membro dell’Assemblea Nazionale di mantenere oltre al suo mandato di parlamentare nazionale un incarico politico a livello cittadino o regionale, creando così una situazione che comporta delle implicazioni politiche rilevanti per il ruolo stesso del Parlamento[10]. In Francia il ruolo del deputato è visto più come un portatore degli interessi degli enti locali nei riguardi del potere centrale che non come rappresentante impegnato a livello nazionale nella discussione di problemi di interesse generale, risultando quindi per un parlamentare più importante svolgere il compito di portavoce presso le istituzioni statali dei diritti della sua comunità rispetto alla funzione di controllore della politica governativa. E in un sistema come quello della Quinta Repubblica, dove il peso dell’esecutivo è già forte di per se, questa maggiore attenzione dei deputati verso i problemi politici locali finisce per rafforzare ulteriormente il governo, che non viene più a trovare nell’Assemblea Nazionale un efficace organo di controllo del suo operato.

Il Senato si compone invece di 331 membri, di cui 12 designati dai francesi residenti all’estero, eletti per 6 anni e rinnovabili per metà ogni 3 anni[11].  L’elezione dei senatori avviene in maniera indiretta in ogni Dipartimento per mezzo di un collegio elettorale costituito dai deputati dipartimentali presenti all’Assemblea Nazionale, dai consiglieri regionali, dai consiglieri generali di Dipartimento e dai delegati dei consigli comunali. Data la prevalenza dei rappresentanti delle municipalità rurali, la maggioranza espressa dal Senato é quasi sempre di tendenza conservatrice, visto che in tutti gli anni della Quinta Repubblica le forze di sinistra non sono mai riuscite ad assumere il controllo della Camera alta. Ricostituito con l’avvento della Quinta Repubblica, il Senato nelle intenzioni di De Gaulle doveva essere un’ulteriore limitazione al peso dell’Assemblea Nazionale ostacolandone l’azione qualora questa fosse stata di una maggioranza opposta a quella presidenziale. La posizione del Senato rimane comunque più defilata rispetto a quella dell’Assemblea Nazionale in quanto spetta solo a quest’ultima la prerogativa di concedere o meno la fiducia al governo, avendo il voto della Camera alta un valore non vincolante.

Pur non permettendo lo spazio a disposizione una più attenta analisi, va comunque accennato all’organizzazione delle autonomie locali francesi. Amministrativamente, la Francia è divisa in 22 regioni metropolitane – tra le quali la Corsica gode di uno statuto particolare – e 96 Dipartimenti, assimilabili alle province italiane. A questi vanno poi aggiunti quattro Dipartimenti d’Oltremare, che costituiscono altrettante regioni monodipartimentali, e quattro Collettività d’Oltremare, mentre dispone di un ordinamento speciale la Nuova Caledonia[12]. La storica politica centralista francese ha subito una svolta con la riforma decisa dal governo socialista nel 1982, con la quale si sono istituite le regioni e si è stabilito che le competenze prima attribuite ai prefetti fossero accordate ai sindaci ed ai presidenti dei consigli generali dei Dipartimenti, che in tal modo non devono più sottoporre le loro deliberazioni al giudizio dell’autorità prefettizia.


 

 

Note

1.        Tra i monarchici, la fazione dei “legittimisti” sosteneva che il trono spettasse al Conte di Chambord mentre quella degli “orleanisti” appoggiava invece il Conte di Parigi. 2.        Sulla struttura della “Terza Repubblica” e le istituzioni della “Quarta Repubblica” vedi Crouzatier, La III et la IV République, in AA.VV., Institutions et vie politique, La Documentation Française, Parigi 1991, pagg. 13 – 16
3.        Nel regime di Vichy il motto nazionale francese “
Liberté, Egalité, Fraternité” venne sostituito dalle parole “Travail, Famille, Patrie”,  più rispondenti agli ideali con cui Pètain intendeva edificare il nuovo Stato. Il governo e le forze militari della “Francia libera” adottarono invece come bandiera il tricolore francese sul quale compariva la croce di Lorena, mentre la “capitale” dal 1940 al 1943 venne simbolicamente posta a Brazzaville, nel Congo.

4.        Secondo la Costituzione della Quarta Repubblica, l’“Unione Francese” comprendeva la “Repubblica Francese” – divisa in Francia metropolitana, Dipartimenti d’Oltremare e colonie – , i “Territori Associati” attribuiti dalle Nazioni Unite in amministrazione fiduciaria alla Francia e gli “Stati Associati” che includevano gli ex protettorati dell’Africa settentrionale e dell’Indocina con i quali Parigi avrebbe dovuto sottoscrivere degli accordi per regolare la loro posizione.
5.       Sulla presidenza di De Gaulle e le istituzioni della Quinta Repubblica vedi Le Mong Nguyen, La Constitution de la Cinquième République.
Théorie et pratique de Charles De Gaulle à François Mitterrand, Editions des Sciences et Techniques Humaines, Parigi, 1983, pagg. 62-172.
6.       Una nuova modifica costituzionale approvata nel 2001 ha ridotto il mandato presidenziale da 7 a 5 anni, facendolo coincidere con quello dell’Assemblea Nazionale. Sul ruolo del presidente e del primo ministro nella Quinta Repubblica vedi Massot, Chef de l’Etat et chef du Gouvernement, La Documentation Française, Parigi, 1993, pagg. 45-136.

7.       Per essere eletti è necessario conseguire la maggioranza assoluta dei voti e nel caso nessuno la ottenga dopo due settimane viene effettuato un ballottaggio tra i due candidati più votati al primo turno. Sul sistema di elezione del presidente ed i poteri presidenziali vedi Bigaut, Le Président de la Cinquième République, La Documentation Française, Documents D’Études No. 1.06, Parigi, 1995, pagg. 9-34.

8.       Vanno ricordati alcuni episodi che aiutano a inquadrare le vicende dell’aprile 1961. Dal 1955 nel territorio algerino erano iniziati gli attentati del “Fronte di Liberazione Nazionale”, che in poco tempo si estesero a tutta la colonia costringendo il governo di Parigi all’invio di un contingente militare incaricato di porre fine all’insurrezione. Arrivato alla presidenza, De Gaulle prese l’iniziativa di avviare dei colloqui con i rappresentanti del fln nel tentativo di trovare una soluzione soddisfacente per entrambe le parti. I negoziati furono però osteggiati dai coloni francesi che si rivoltarono contro il loro stesso governo. Nacque così nel gennaio del 1961 l’oas (Organisation Armée Secrèt), una formazione di estrema destra che si proponeva di difendere gli interessi francesi in Algeria. In questo scenario ebbe luogo il 20 aprile 1961 l’insurrezione messa in atto da quattro generali dell’esercito francese – Challe, Jouhaud, Zeller e Salan – il cui tentativo fallì dopo pochi giorni. Gli attentati dell’oas ed i disordini continuarono comunque fino al 1962, anno in cui all’Algeria fu concessa l’indipendenza. Sui poteri eccezionali del presidente vedi Mortati, Le forme di Governo, cedam, Padova, 1973, pagg. 254-255.
 

9.        In una sola occasione, nel 1986, l’Assemblea Nazionale è stata eletta con il sistema proporzionale per effetto della legge di modifica varata l’anno prima dai socialisti. Sempre nel 1986  la maggioranza di centro – destra uscita dalle urne ripristinò però il sistema elettorale maggioritario a doppio turno. Sul ruolo del Parlamento vedi Frears, French Parliament: loyal workhouse, poor watchdog, in Norton (a cura di), Parliaments in western Europe, Cass, Londra / Portland 1990, pagg. 44 – 47
10.        Proprio per limitare gli incarichi politici, in base ad una legge del 1985 è stato stabilito il cumulo di due soli mandati elettivi divisi tra uno a livello nazionale, (deputato, senatore o parlamentare europeo) ed uno locale (consigliere regionale, consigliere provinciale o comunale, consigliere di Parigi, sindaco di una città con più di 20.000 abitanti che non sia Parigi).

11.        Prima della riforma costituzionale introdotta nel 2003, i senatori rimanevano in carica per 9 anni e la Camera Alta si rinnovava per un terzo dei suoi membri ogni 3 anni. Dal 2004 inoltre il numero dei senatori è passato da 321 a 331 ed andrà progressivamente aumentando fino ad arrivare a 348 nel 2011.
12.        La struttura amministrativa francese è stata modificata dopo la riforma costituzionale introdotta nel 2003. In precedenza, oltre ai quattro “Dipartimenti d’Oltremare” della Guiana, della Martinica, della Guadalupe e di Rèunion, esistevano tre “Territori d’Oltremare” – Nuova Caledonia, Wallis et Futuna e Polinesia Francese – e le due “Collettività Territoriali” di Mayotte e dell’arcipelago di Saint–Pierre et Miquelon. Ora invece queste ultime, insieme ai due “Territori d’Oltremare” di Wallis et Futuna e della Polinesia Francese, sono state incluse nelle nuove “Collettività d’Oltremare”, mentre per la Nuova Caledonia, che dopo gli accordi di Noumea del 1998 dispone di uno status particolare, è stato stabilito che tra il 2014 ed il 2019 dovrà tenere un referendum per decidere se diventare una “Collettività d’Oltremare” o proclamarsi indipendente. Va poi ricordato come all’inizio di quest’anno le isole di Saint–Martin e di Saint–Barthélemy sono state riconosciute come “Collettività d’Oltremare” dopo che nel 2003 i loro abitanti avevano votato il distacco dalla Guadalupe. Tutti i dipartimenti e le collettività d’oltremare dispongono di propri rappresentanti all’Assemblea Nazionale ed al Senato. Costituiscono infine un “Territorio d’Oltremare” i territori antartici ed australi francesi.

 




Rodolfo Bastianelli, esperto di relazioni internazionali, collabora con lo Stato Maggiore della Difesa.

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