Roma è rinata
nel tardo Rinascimento come città atta ad accogliere circa
duecentomila abitanti, di cui molti non sposati. Oggi i romani di
Roma sono all’incirca lo stesso numero: alcuni aristocratici con
spose straniere e gli ebrei sfuggiti alla “soluzione finale”. Però
gli abitanti sono divenuti quattro milioni, a cui si aggiungono due
milioni di pendolari e qualche centinaio di migliaia di turisti. Di
conseguenza lo spazio si è fatto stretto. La città tradizionale non
è più adatta ad accogliere neppure quel milione e più di abitanti
che la popolavano in epoca romana. Il territorio del Comune ha
assorbito la “campagna”, grande quanto una provincia, e in piccola
parte rimasta campagna. Ma insediamenti satellitari – chiamati
impropriamente “Roma”, ma ciascuno con un suo nome proprio –
soffocano il centro creando problemi, in particolare, di
circolazione. Sia i privati, sia le autorità municipali ricorrono ai
ripari.
I marciapiedi sono stretti, perciò i proprietari limitano la servitù pubblica di passaggio con ostacoli di ogni genere, spesso con vasi di fiori. I guidatori, all’opposto, interpretano quella servitù in senso lato, andando sui marciapiedi in bicicletta, in motocicletta, in auto e anche in camioncino (i latini distinguevano le servitù di passaggio in “iter”, “actus”, “via”; ma ora tutto è stradale). I pedoni, in compenso, non marciano in fila indiana come nella foresta amazzonica, bensì affiancati a quattro o cinque, o almeno a due, se fidanzati in vena di espansioni. Chiunque telefoni con un portatile allarga i gomiti e non bada più a nient’altro, come se gli stesse parlando l’arcangelo Gabriele. I turisti vanno in gruppo, come le legioni di Varo nella foresta di Teutoburgo, quando non formino testuggini come la falange macedone.
Rimane lo spazio di proprietà pubblica: strade, corsi, vie, alcune lunghe e dritte ma strette, tracciate dai papi. E piazze, piazzali, rotonde, qualcuna grande come uno stadio. Qui per evitare i previsti abusi le autorità municipali pongono speciali divieti, addolciti da vasi di fiori e fontane. Lasciano le auto, che effettivamente deturpano, ma le mescolano ai pedoni. Si veda piazza di Spagna, dove di bello rimangono solo i cavalli, anche se è stato tolto il cartello (da me fatto fotografare) che riservava parte della piazza a “sei autovetture ippotrainate”. Nelle vie storiche più strette passano le auto, anche non ippotrainate, ma devono alternarsi ai pedoni, perché ci sono i dehors dei locali di ristoro. I turisti pagano lo spazio con la consumazione, i proprietari con la tassa per l’occupazione del suolo pubblico. Più la relativa “tangente”.(c)
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