La nuova strategia delle mafie: divide et impera
di Vittorio Mathieu
[15 giu 07]


Spesso giungono notizie “tragiche” di guerre tra cosche, con decine di morti. Di una simile situazione non c’è da rallegrarsi, ma di questo suo esito specifico non c’è neppure ragione di dolersi. Ciò che non può e forse non vuole il potere pubblico lo fa il potere privato, divenuto malavita organizzata dopo esser nato in sostituzione di un potere pubblico carente. Le guerre intestine è verosimile che indeboliscano le cosche, come hanno indebolito l’Europa per secoli. Può darsi che non sia una politica corretta scatenarle a bella posta, ma quando scoppiano da sé possono considerarsi provvidenziali. Quand’anche, infatti, lo Stato riuscisse a imprigionare qualche decina di malavitosi (come avviene a volte, non senza resistenza delle popolazioni) è prevedibile che dopo pochi mesi, al più qualche anno, gli stessi siano di nuovo in libertà e ricomincino a delinquere.

In origine le mafie garantivano sicurezza ai benestanti in cambio di un “pizzo”, in territori dove la forza pubblica non era in grado di farlo: in particolare in territori sotto la sovranità di una Spagna lontana. Venuta meno (in gran parte) questa fonte di introiti, le mafie si dedicano purtroppo a proteggere attività criminali, come lo sfruttamento della prostituzione o lo spaccio di stupefacenti. Entrano a volte in contrasto tra loro perché i confini del territorio controllato sono incerti. Sia pure con le dovute cautele, è bene approfittarne. L’antica Roma, muovendo da un villaggio, giunse al dominio del mondo grazie al precetto “divide et impera”. Negli anni ’70 qualcosa di simile avveniva nel Medio Oriente: Iraq e Iran erano dominati da tiranni sanguinari, ma i loro armati si scannarono a lungo tra loro. Forse sarebbe utile ricordarsene.

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