Carnevale e penitenza, riti collettivi in disuso
di Vittorio Mathieu
[06 feb 08]


Il martedì grasso giravo per Roma a causa di un funerale e ho notato che il Carnevale era molto più spento di qualche anno fa. Forse a causa della crisi economica; ma forse anche a causa di una stanchezza delle feste tradizionali. Perfino a Rio, dove fa caldo, si è omesso di comunicare la lieta notizia delle decine di morti a causa del Carnevale.

Ufficialmente a partire dall’Epifania e con durata variabile a seconda che la Pasqua sia alta o sia bassa, il Carnevale precede i quaranta giorni di Quaresima, che vanno sotto un segno opposto di penitenza. A metà Quaresima, però, era tradizionale tenere un ballo. Non so se a metà del ballo ci fosse anche la consuetudine di un’ora di meditazione e di preghiera. Forse il semidigiuno quaresimale aveva una funzione disintossicante, ma l’usanza di divertirsi tutti insieme contemporaneamente e poi di far penitenza di nuovo tutti contemporaneamente mi pare che renda piuttosto convenzionale il divertimento e tutta meccanica la penitenza.

Pascal – che dopo la conversione era un po’ lugubre, ma conosceva il mondo – sostiene che ci divertiamo per non pensare a noi stessi e alla nostra situazione. Nel divertimento disperdiamo l’io che, lui dice, “è detestabile”, e poi ce ne pentiamo. Ma io troverei preferibile concentrare l’io anziché disperderlo e fare il possibile per sopportarlo.

 

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