Lasciamo da
parte Bruno Buozzi, a cui è dedicato uno dei più bei viali di Roma.
Limitiamoci ai Di Vittorio, ai Lama, ai Cofferati: erano
sindacalisti autorevoli, usciti da una selezione severa perché
avevano grandi responsabilità e un introito sicuro derivante da
riscossioni automatiche. Ora i vantaggi ci sono ancora, la capacità
forse anche, ma l’autorevolezza è finita, perché è finita la
finzione che il sindacato rappresenti chi lavora. La maggior parte
dei suoi iscritti è in pensione, e il sindacato difende i propri
numeri chiedendo che si vada in pensione il più presto possibile e
si resti in pensione per decine di anni.
Il professor Giugni diede del sindacato la più metafisica e, al tempo stesso, la più abile delle giustificazioni. Non volendo farne un ente privato (perché non avrebbe potuto stipulare accordi validi erga omnes) e neppure un ente pubblico (perché avrebbe perso la sua autonomia) ne fece un ente profetico, col compito di indicare la politica da seguire nel cammino del paese verso il futuro. Su questa mistica del sindacato uno e trino oggi è calato l’agnosticismo.
Il sindacato ha tuttora una funzione privatistica, quando consiglia ai singoli la linea da seguire per essere meno tartassati dalla burocrazia statale. Ma la funzione principale che si arroga è di stipulare contratti collettivi di lavoro. In teoria meglio sarebbe se ogni lavoratore avesse un contratto individuale, con retribuzione commisurata al suo rendimento: ma sarebbe un lavoro immane per gli uffici personale delle aziende: che preferiscono, perciò, trattare coi sindacati.
Inoltre il sindacato sarebbe utilissimo a difendere i singoli in caso di contenzioso con l’impresa che altrimenti, dotata di mezzi ben maggiori, potrebbe prevaricare. Ma questo compito è svolto poco e di malavoglia dal sindacato e piuttosto se ne fa carico la magistratura del lavoro (che, per contro, dovrebbe essere imparziale). Di qui una crisi del sindacato, quand’anche non si voglia vedere i sindacalisti sotto la luce fosca in cui li vede Jean Giraudoux (“La folle de Chaillot”). Il rimedio sarebbe anche qui il solito: distinguere i compiti tra pubblico e privato.
(c)
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