Come nasce il luogo comune
di Marta Brachini

Ideazione di marzo-aprile 2006

La globalizzazione delle cattive idee.
Mafia, musica, mass media
Francesca Viscone

Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005
pp. 252, € 14

«Le cattive idee non sono certo una novità. Lo è però la loro capacità di diffondersi sempre più in fretta provocando così dei grossi danni». Sintesi efficace del fenomeno che Francesca Viscone vuole denunciare nel suo saggio La globalizzazione delle cattive idee. Ma l’oggetto della denuncia è probabilmente qualcosa che va oltre la “cattiva idea”, è quel sistema che si materializza e si radica così a fondo da trasformarsi in ideologia. È l’ideologia mafiosa da tempo oggetto d’interesse nazionale e internazionale, insieme alla spinta mediatica crescente che rende sempre più preoccupante la sovrapposizione e l’identificazione del fenomeno mafioso con una percezione dell’identità italiana e meridionale. E questa è in assoluto la cattiva idea. L’idea che la stratificazione dello stereotipo e del pregiudizio diventi così ingombrante da occultare ogni spiraglio di luce che possa far pensare ad almeno una possibilità di riscatto. Mafia, camorra, ’ndrangheta, sono le piaghe della criminalità organizzata che caratterizzano rispettivamente Sicilia, Campania e Calabria. Sono soprattutto realtà sociali che rimangono componenti ineliminabili del tessuto identitario di chi nasce e cresce al loro fianco, e alle quali non si può sfuggire neppure abbandonando fisicamente i luoghi d’origine, con l’illusione di una rinascita individuale pagata a suon di continue giustificazioni d’appartenenza. Così l’autrice rientra nella sua terra d’origine con una consapevolezza della sua identità rinforzata e rassegnata, muovendosi lungo «un crinale dove da una parte si rischia di cadere nella retorica dell’appartenenza, dall’altra in una sua negazione».
Ma la pur evidente personalizzazione del lavoro di Viscone, non toglie nulla all’originalità e al valore del saggio che indaga sull’ideologia mafiosa secondo una traccia articolata su tre livelli: mafia, musica e mass-media. Tutto comincia con l’uscita delle raccolte musicali Il canto di malavita. La musica della mafia (nel 2000) e Omertà, onuri e sangu. La musica della mafia (Vol. II nel 2002) a cura della casa discografica tedesca Pias Recording GmbH. Alle quali si è successivamente aggiunta la terza raccolta, Le canzoni dell’onorata società (2005). (I contenuti di questa trilogia sono ben visibili, e alcuni di essi ascoltabili, nel sito Internet www.malavita.com). La musica diventa materiale d’analisi nel libro come i testi di tali canti, i documenti scritti e gli audiovisivi, gli articoli della stampa italiana ed estera, e alcuni documentari riferiti ai “canti”. Tutto volto a smascherare le dinamiche attraverso cui si creano e si rafforzano gli stereotipi dell’uomo, o della donna, del Sud. Tutto a testimonianza della «sconfitta storica della cultura popolare». Effetti preoccupanti se si pensa all’enorme successo dei dischi, dopo il lancio pubblicitario dell’Ard Kulturreport sul primo canale tedesco, e l’eco di testate come Bild, Der Spiegel, Financial Times (Hamburgh), Frankfurter Allgemeine Zeitung, Focus, Massive, Le monde, Newsweek international, New York Times, Rolling Stones, Stern, Süddetushe Zeitung che hanno contribuito all’internazionalizzazione del fenomeno. Parlano anche i numeri delle copie vendute in Europa: ottantamila del primo disco e trentacinquemila del secondo; trentamila diffuse negli Stati Uniti e quindicimila in Canada.
Morte, onore, vendetta. Tarantella, omertà, donne. «Cosa è stato detto o scritto sulla ’ndrangheta? – si chiede l’autrice – Quale immagine della Calabria e dei calabresi è emersa in questa campagna stampa?». Lecito chiederselo di fronte a titoli come questi: “Sangue chiama sangue – e i vecchi calabresi cantano” (Frankfurter Rundschau – luglio 2000) o del tipo “Dio perdona, la mafia mai” (Der Spiegel n.24, 2000) accompagnato dall’inquietante sottotitolo “Il Sud d’Italia è patria e centro della ’ndrangheta, varietà calabrese della mafia. Affiliati della società segreta, organizzata secondo leggi secolari, ricattano e uccidono anche in Germania”. Ma è forse meno lecito stupirsi dell’ingigantimento e della spettacolarizzazione dei costumi, del linguaggio o dei codici d’onore malavitosi entrati da tempo nei luoghi comuni stereotipati dell’osservatore esterno soprattutto attraverso canali di fruizione di massa come il cinema. Si pensi solo alla popolarità di film come Il Padrino di Francis Ford Coppola del 1972, o di Good Fellas di Martin Scorsese del 1990 per la versione, o visione, americana della mafia. Preoccupa certo l’identificazione di queste immagini con l’identità italiana, sebbene sia difficile combattere l’ormai consolidato pregiudizio, soprattutto quando altrettanto inestirpabile sembra essere il fenomeno malavitoso nel Sud del nostro paese.
Forse gli unici che non si curano della propria immagine mediatica sono proprio i mafiosi stessi, che anzi approfittano delle occasioni pubbliche per mettersi al centro dell’attenzione. Ultimo caso: l’assassinio di Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale calabrese, davanti a uno dei seggi delle primarie di Locri lo scorso ottobre per mano della ’ndrangheta.


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