Cronaca di una svolta mancata
di Alessandro Marrone

Ideazione di marzo-aprile 2007

  

L'anno che doveva cambiare l'Italia
Claudio Velardi
Mondadori, Milano, 2006
pp. 225, € 17


Un libro che si legge come un thriller, ha l’originalità di un diario e dispensa chicche di comunicazione politica meglio di un master. Davvero un ottimo risultato letterario per Claudio Velardi, capo dello staff di D’Alema ai tempi del suo governo, ex editore de il Riformista, e grande esperto di marketing politico. L’anno che doveva cambiare l’Italia, raccontato mese per mese dall’autore, va dall’estate del 2005 a quella del 2006. Però il bello del libro finisce sostanzialmente il 10 aprile, e gli ultimi capitoli sono abbastanza noiosi e deludenti, forse perché lo è stata anche la politica italiana dopo la vittoria dell’Unione. Il volume ha un impatto radicalmente diverso in funzione della posizione di chi legge rispetto alla politica. Per un cittadino poco interessato esso si rivela un utile manuale per comprendere, tramite discorsi semplici e simpatici, eventi e processi che magari egli stesso ha recepito senza ben capire cosa significassero: dalle primarie dell’Unione all’ “attacco a tre punte” del centrodestra. Per un elettore di centrosinistra l’effetto è diverso in base alla fazione in cui milita: il riformista può sentirsi sotto esame, il radicale griderebbe al tradimento, il diessino troverebbe molto da recriminare, ad esempio sulla vicenda Unipol.

Per un elettore di centrodestra quello che rimane in mente, e soprattutto nello stomaco, è un messaggio semplice semplice: se Berlusconi avesse cominciato la campagna elettorale due mesi prima, la Casa delle Libertà avrebbe di certo vinto le elezioni del 9 aprile. Dice Velardi a proposito del gennaio 2006, vero inizio della rimonta del premier: finalmente Berlusconi «ha deciso di parlare, parlare, parlare. […] Non si arresta davanti a niente. È suadente, invadente, gentile, arrogante, affascinante, irrefrenabile». L’autore prosegue poi attraverso gli snodi cruciali della campagna elettorale: il tema dell’Islam e dei valori dell’Occidente, sul quale anche per Velardi la destra propone qualcosa alla gente mentre «la sinistra resta muta»; il discorso di Berlusconi al Congresso statunitense con standing ovation cui partecipa anche Hillary Clinton; lo show di Vicenza, con la strigliata del Cavaliere alla Confindustria di Della Valle e Montezemolo proprio davanti ad una platea di imprenditori che lo applaudono; la polemica sulla tassa di successione e il colpo di teatro dell’abolizione dell’ici, messo a segno al termine dell’ultimo confronto televisivo tra i due leader. Velardi ne approfitta anche per spiegare interessanti concetti di marketing politico come band-wagon, claim e underdog, e si diletta persino in un esame delle campagne comunicative dei singoli partiti, da Rifondazione ad an, senza però mai rinchiudersi nel linguaggio degli addetti ai lavori.

Con uno sguardo all’Unione e uno alla Casa delle Libertà, simpatici siparietti con la moglie che incarna le posizioni della sinistra radicale e arrabbiata, e gustosi paragoni-aneddoti con i tempi della sua giovinezza nel pci, Velardi conduce per mano il lettore fino alla notte del 10 aprile. La notte in cui, come egli stesso afferma, tutti i sondaggisti, gli esperti di comunicazione, i giornalisti, i politologi e gli opinion maker, avrebbero dovuto ammettere di non aver capito nulla dell’Italia: «tutti tranne Berlusconi, che da mesi diceva come stavano le cose».

Tra le spiegazioni fornite da Velardi dello scarto clamoroso tra sondaggi e urne, appare molto interessante la «spirale del silenzio». Essa consiste nell’elementare meccanismo psicologico per cui l’individuo preferisce stare in pace col suo microcosmo sociale, seguire apparentemente la massa: se in ufficio, al bar o in palestra, su dieci persone cinque parlano male di Berlusconi e le altre quattro stanno zitte, la decima persona anche se voterà Berlusconi pensa di essere in minoranza e non ha voglia di discutere da solo contro tutti, perciò tacerà. Ad un osservatore esterno sembrerà quindi che in quel campione non vi sia nessun sostenitore del centrodestra, mentre magari ve ne sono cinque. Tale meccanismo avrebbe trovato un terreno fertile nell’Italia degli ultimi anni, per due motivi: gli elettori di centrosinistra sono storicamente più propensi a parlare di politica di quelli di centrodestra, grazie anche ad un radicamento mediatico e sociale maggiore di quello dei moderati; e soprattutto, secondo l’autore, il governo ha praticamente smesso di fare comunicazione politica dal 2002 al 2005, mentre l’opposizione ripeteva ogni giorno quanto le cose andassero male. Insomma l’anno che doveva cambiare l’Italia alla fine forse non l’ha cambiata poi tanto, ma ha impartito a tutti lezioni che utili apprendere per chi abbia la voglia e gli strumenti per comprenderle. 

(c) Ideazione.com (2006)
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