Capire il miracolo economico cinese
di Domenico Naso

Ideazione di gennaio-febbraio 2007

    Chi ha paura della Cina
   Francesco Sisci
      Ponte alle Grazie, Milano, 2006
  pp. 259, € 13,50

Da qualche anno la Cina è più vicina che mai. Il boom economico del gigante dell’Estremo Oriente fa discutere (e preoccupare) l’Occidente. Tra proposte di dazi doganali, diffidenze, richieste di democrazia, Pechino si appresta ormai a diventare il centro del nuovo mondo globale che si sta facendo largo.

Ma le paure dell’Occidente sono fondate? Bisogna davvero temere l’avanzata impetuosa dell’economia del Dragone? Tenta di dare una risposta in maniera esaustiva il giornalista Francesco Sisci, corrispondente da Pechino della Stampa di Torino. Non è il solito libro sulla Cina come ne abbiamo letti tanti negli ultimi tempi. Sisci in Cina ci vive, è sposato con una cinese, ha diretto dal 2003 al 2005 l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino ed è l’unico consulente straniero della prestigiosa rivista cinese Zhanglue yu guanli (Strategia e gestione). E Sisci non smentisce l’autorevolezza del suo curriculum con un saggio completo, pieno di analisi, spunti di riflessione e ritratti di prima mano di un paese che cambia.

Larga parte del libro è dedicata ai rapporti economici tra Italia e Cina. Sisci, da profondo conoscitore delle dinamiche locali, mette in guardia il nostro paese e il nostro sistema economico. L’approccio italiano al miracolo cinese è, fino ad oggi, piuttosto fallimentare. È la mentalità che va cambiata, per riuscire a comprendere i meccanismi interni di una nazione storicamente e culturalmente diversa da noi. Ma il giornalista non si limita a ripercorrere i momenti salienti del boom economico e della nascita di quello strano ed antitetico ibrido che è il comunismo capitalista. Sisci va oltre e ci mostra la Cina moderna, stretta com’è tra tradizioni antiche di origine confuciana e smanie tutte contemporanee di ricchezza e successo. Cambiano gli stili di vita, dunque, ma non cambia l’impostazione meritocratica della società cinese. Dai mandarini della Cina imperiale ai capitani d’azienda della Shangai dei grattacieli, l’impostazione morale ed etica rimane sempre quella. È il merito che porta al successo. Insieme ad una giusta dose di umiltà e di assenza di voglia di protagonismo. Ecco la differenza tra l’Occidente da prima pagina e la Cina che lavora in silenzio.

Chi ha paura della Cina non è, tuttavia, un libro totalmente apologetico nei confronti del colosso asiatico. Sisci fa il giornalista fino in fondo e si sofferma anche sulle contraddizioni, sui problemi, sulle incognite politiche, il tutto sempre giocato sul parallelo passato/presente, fil rouge di questo libro. La domanda chiave, a un certo punto del libro, diventa la seguente: come può diventare più democratico il sistema politico cinese senza ricadere nell’anarchia e nelle lotte intestine del primo Novecento? Sembra essere questa la preoccupazione maggiore della nomenclatura pechinese. Ma la risposta a questo quesito non è all’ordine del giorno. Per adesso si pensa a godere i vantaggi del boom economico.

La conclusione è decisamente pessimista ma non nei confronti della Cina. Chi esce con le ossa rotte sembra essere proprio l’Italia che, come scrive lo stesso Sisci, «ha smesso di pensare al mondo, e quindi ha smesso di pensare a se stessa». Manca un progetto a lunga scadenza, mancano la forza e il coraggio di confrontarsi con un nuovo sistema economico che si sta dimostrando vincente. Lo stesso errore non lo stanno compiendo, invece, altri grandi paesi come gli Stati Uniti o la Germania, ormai da anni inseritisi con successo nel ciclo produttivo cinese. Chi ha paura della Cina, dunque? Secondo Sisci, ahinoi, l’Italia.

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