Anche i ricchi piangano
di Cristina Missiroli

Ideazione di novembre-dicembre 2006

 L'invidia e la società
 Helmut Schoeck
    Macerata, Liberi libri, 2006
 pp. 380, € 17

È la solita storia italiana di un libro sotterrato perché politicamente scorretto. È l’ennesimo merito di Liberi Libri, tignoso editore di Macerata, che lo ristampa e gli regala un’altra opportunità.

Questa volta si tratta del saggio di Helmut Schoeck, L’invidia e la società. Scritto nel 1966, al ritorno da un lungo periodo di studi e insegnamento in America, tradotto per la prima volta in italiano alla metà degli anni Settanta, seppellito da un non originale miscuglio di arrogante indifferenza e critiche ignoranti, era ormai quasi introvabile anche nelle biblioteche.

Liberi Libri l’ha riportato in vita. E ha chiesto a Quirino Principe, che lo scoprì per Rusconi, un’introduzione. Principe racconta come L’invidia e la società sia diventato, con il passare degli anni, un classico della sociologia. Tradotto in tutte le lingue, persino in giapponese. Testo rilevante nelle università di mezzo mondo. In mezzo mondo, ma non in Italia. Perché quest’ostracismo? Fondamentalmente per “ottusità ideologica”. Scomodo per i marxisti, troppo indipendente per i cattolici, troppo poco apertamente anticomunista per i liberali analfabeti.

Il saggio di Schoeck dimostra fondamentalmente due cose. Primo: l’invidia è molto più universale di quanto finora si sia in genere ammesso. Anzi è propriamente l’elemento imprescindibile di ogni convivenza sociale. Secondo: l’invidia, essendo il perno sottinteso o confessato della politica sociale, rappresenta un elemento di distruzione molto più efficace di quanto non siano disposti ad ammettere coloro che hanno tessuto la propria filosofia sociale ed economica prescindendo da essa. Il sociologo (austriaco come Mises e Hayek) spiega piuttosto bene come molte delle politiche sociali che hanno fatto l’Europa del Novecento siano, in effetti, basate sull’invidia. L’ambizione stessa alla giustizia sociale è basata sull’invidia. Non solo ai tempi in cui Schoeck scriveva, ma anche ai giorni nostri. L’invidia trasuda nei programmi fiscali della sinistra italiana. E non solo in quelli fiscali. È il connotato antropologico fondamentale sul quale s’innesta la filosofia stessa che sta alla base degli slogan con cui Romano Prodi ha chiesto di essere eletto.

In fondo la caratteristica principale degli invidiosi è che, per loro stessa ammissione, si sentono appagati molto più dalla disfatta dell’invidiato che dall’effettivo raggiungere l’oggetto della propria invidia. Sempre sull’invidia si basa anche la nefasta idea della progressività delle imposte, che riduce ampiamente sia la ricchezza individuale sia quella collettiva. Ma soddisfa gli invidiosi.

La caratteristica più singolare è che il comportamento dell’invidioso è, in sé, assolutamente razionale. L’azione razionale – spiegava Mises – è volta a diminuire un disagio. Per l’invidioso il male altrui corrisponde a una diminuzione di un disagio proprio e dunque, il suo agire volto a danneggiare chi suscita in lui sentimenti ostili di invidia è, sulla base dell’individualismo metodologico, un agire razionale.

L’opera di Schoeck non parla certo dell’ultima finanziaria di Romano Prodi. Ma è fondamentale nel descrivere il meccanismo mentale del più forte agente distruttore di ogni società. Spiega come ciò che è razionale individualmente finisce, nel caso dell’invidia, per essere devastante a livello sociale. Ma alla fine, conclude Schoeck nelle ultime battute del suo saggio, «comportarsi come se l’invidioso dovesse dettar legge alla politica economica e sociale equivarrebbe a un suicidio». Qualcuno – per favore – lo spieghi a Prodi, Padoa Schioppa e Visco.

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