Il diplomatico a Salò
di Aldo G. Ricci

Ideazione di gennaio-febbraio 2006

Mussolini e il diplomatico. La vita e i diari di Serafino Mazzolini, un monarchico a Salò
Gianni Scipione Rossi

Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005
pp. 570, € 26

In questi ultimi anni il “buco nero” che la nostra storiografia registrava rispetto alla rsi è in parte stato colmato per un insieme di fattori: l’attenuarsi dell’ostracismo ideologico; la pubblicazione di edizioni di fonti; l’attività crescente di istituti e fondazioni interessate, che hanno anche moltiplicato la raccolta di documentazione conservata presso privati. Infine, la pubblicazione di libri in controtendenza da parte di autori di successo, come quelli di Giampaolo Pansa.
Il recente volume di Gianni Scipione Rossi s’inserisce in questo mutamento di clima, affrontando un personaggio schivo e in parte defilato come il sottosegretario agli Esteri, che risulta tuttavia essenziale per capire passaggi cruciali e meccanismi interni di quel periodo.
La biografia di Mazzolini è quella di un nazionalista di provincia, marchigiano di nascita e umbro d’adozione, che insieme all’avvocatura e al giornalismo sceglie la politica e l’azione fin dalla giovinezza. Come per tanti altri della sua generazione (era nato nel 1890), l’interventismo costituisce il suo primo banco di prova impegnativo, che lo porta al fronte nella doppia veste di combattente e di inviato speciale. Poi è a Fiume al fianco di D’Annunzio, quindi la marcia su Roma alla guida dei nazionalisti di Ancona e l’amicizia con il leader nazionalista Luigi Federzoni. Deputato e poi segretario aggiunto del pnf con Farinacci, ma anche direttore del Corriere Adriatico, che lascia per entrare per nomina politica nella diplomazia nel 1928. Agli Esteri riesce a essere accettato dal diffidente mondo della diplomazia, e nelle sue missioni, dall’America Latina all’Egitto al Montenegro, riesce a coniugare la sua forte impronta politica con la difesa delle istituzioni tout court, conservando anche la fedeltà alla dinastia, che lo caratterizzava fin dagli esordi.
Nel 1943 Mazzolini viene infine destinato alla direzione del personale del ministero e in quella veste si trova a vivere il 25 luglio e la caduta del regime. Messo a disposizione, si ritira a Gubbio, dove si trova l’8 settembre, vivendo con disperazione e sconforto la tragedia di quella Patria che è sempre stata in cima ai suoi pensieri, al di là di qualsiasi divisione politica. L’annuncio dell’armistizio, l’allontanamento del re e del governo da Roma, il disfacimento dell’esercito non fanno che approfondire la piaga che quegli avvenimenti gli hanno scavato dentro. Il 10 settembre scrive: «Assistere all’agonia della Patria senza scoprire un raggio di sole che consoli. Meglio morire che vivere così». A tutto questo si aggiunga la personale delusione per il comportamento della corona, che induce il nostro ad aggiungere il 17 settembre: «Non so persuadermi che un Savoia possa essersi reso complice di così abominevole azione».
Il raggio di sole viene qualche giorno dopo con la notizia della liberazione di Mussolini e della costituzione di un governo da lui presieduto. Il 23 gli giunge la chiamata dal ministero a Roma e il giorno dopo la proposta di essere nominato Segretario generale, mentre altre voci lo vorrebbero Sottosegretario. Mazzolini subordina l’accettazione a un colloquio con Mussolini, che avviene finalmente il 28 settembre. È un colloquio decisivo. Il diplomatico esce soddisfatto, come scrive sul diario, e da quel momento si butta a capofitto nel lavoro, convinto, come scriverà un mese dopo, di aver ubbidito alla “legge della Patria” e di non avere nulla di cui pentirsi. Parole chiare che potrebbero essere attribuite a molti altri che seguirono quella strada. Nei suoi mesi di attività a Salò, prima come Segretario generale e poi, dall’8 marzo del 1944, come Sottosegretario, fino alla sua morte, il 23 febbraio del 1945, Mazzolini profonde tutte le sue energie in un’opera di mediazione con i tedeschi che porta dei sia pur minimi risultati, sia nei confronti della popolazione del Nord, sia, soprattutto, degli internati in Germania, che si vedono riconosciuto, almeno formalmente, lo status di lavoratori. La fortuna del Nostro è quella di morire due mesi prima della fine e di non aver verificato che quello che lui aveva creduto un dovere era ormai giudicato come un tradimento.


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