Medicinali che uccidono
di Paola Liberace

Ideazione di gennaio-febbraio 2007

   Concidence or Crisis?
Prescription medicine counterfeiting
 
     Peter J. Pitts (a cura di)
     The Stockholm Network, London, 2006
   pp. XXVIII - 121,
£ 10,00

 
Uno dei maggiori dilemmi dell’economia della conoscenza riguarda la protezione dei marchi: tracce tangibili di un contenuto di qualità e di lavoro che contraddistingue il prodotto d’ingegno attraverso  quale autore, produttore e distributore vantano il proprio diritto. È sempre possibile discutere sulla necessità, sulle forme e sui limiti di questa rivendicazione: ad esempio, sul dubbio se essa sia ugualmente sostenibile sia quando il marchio viene associato a un prodotto con un contenuto di qualità e lavoro inferiore, che lede perciò stesso il buon nome del brand (è il caso della contraffazione di abbigliamento e accessori), sia quando il prodotto, al contrario, resta sostanzialmente identico, ma viene replicato e distribuito senza le necessarie autorizzazioni e immesso su un mercato parallelo. In questo caso il valore del brand è leso soprattutto economicamente, poiché degli introiti non beneficiano i suoi detentori; ma il concetto stesso di contraffazione è inadeguato, reso obsoleto dalla tecnologia - come nel caso dei contenuti digitali, musica, video o testi. Se nel secondo caso sarebbe quindi più opportuno parlare di furto, nel primo caso la protesta dei detentori del diritto eccede a ragione il terreno economico, per trasferirsi su quello più sostanziale dell’identità del prodotto. In questo ambito, esistono poi casi in cui la salvaguardia della proprietà intellettuale cessa di rappresentare una sfida legale, economica e politica, per diventare una questione di vita o di morte. Nella fattispecie del commercio internazionale di farmaci contraffatti, non si tratta “soltanto” della falsificazione di un marchio, ma dello spaccio di sostanze potenzialmente nocive a scopo di lucro, a discapito di fruitori strutturalmente indifesi perché ignari e perché malati.

Stavolta i consumatori non sono di fatto compratori coscienti in cerca di affari facili, ma pazienti trasformati a loro insaputa in cavie; sulla loro pelle vive un mercato criminale che, secondo i dati diffusi dalla Organizzazione mondiale della sanità, coinvolge circa il 10 per cento dei medicinali immessi globalmente in commercio. E pazienza se ci scappa il morto: come in Nigeria dove, nel 1996,  sono morte 2500 persone per un caso di contraffazione di un vaccino antimeningite. È solo uno degli allarmanti dati riportati nel volume Coincidence or crisis? nel quale professionisti e studiosi del settore, così come esperti di politiche regolatorie e di mercato, lanciano un appello quanto mai urgente. Di farmaci contraffatti si muore, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove la percentuale di farmaci contraffatti, come spiegano Julian Morris e Philip Stevens, si attesta intorno al 25 per cento (ma può crescere fino al 50 per cento della Nigeria e del Pakistan, o persino all’85 per cento della “rampante” Cina). Eppure, il rischio che un simile appello venga minimizzato, o addirittura osteggiato in nome di una fuorviata concezione del libero mercato, è alto: a due anni dalla pubblicazione del suo libro A Sick Business – Counterfeit medicines and organized crime, Graham Satchwell torna  a mettere in guardia verso la possibilità di sottovalutare il problema, ed elenca una serie di “miti” dai quali guardarsi.

Come la falsa convinzione che la lotta alla contraffazione farmaceutica sia guidata dalle grandi multinazionali del farmaco a puro scopo di lucro; o come l’altra per la quale assumendo solo medicinali comprati in farmacia o ottenuti in ospedale, anziché ordinati su Internet, si sarebbe al sicuro. Il problema delle medicine false è invece tanto più insidioso in quanto assolutamente pervasivo: questo significa da un lato che anche l’occhio più esperto potrebbe essere tratto in inganno; dall’altro, che non esiste una tipologia di farmaco esente dal rischio. Alla lista di falsi miti si aggiunge quindi la comune opinione che solo i consumatori di integratori per il fitness o di stimolanti sessuali siano interessati dal problema: i dati presentati da Jonathan Harper parlano di un fenomeno che interessa altrettanto medicinali come il Tamiflu che vaccini e rimedi contro l’impotenza, come il Viagra. Una realtà difficile da ignorare, che induce alla conclusione che la parola “contraffazione” vada maneggiata con cautela ai fini di valutare l’entità del reato che essa implica: all’interno del fenomeno generale è necessario almeno distinguere tra l’utilizzo abusivo di marchi legati a generi più o meno voluttuari e quello di brand destinati invece a garantire l’affidabilità e la sicurezza di prodotti che influiscono direttamente sulla vita e la salute umane.

(c) Ideazione.com (2006)
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