Memorie
di un diplomatico
di Alberto Indelicato
Ideazione
di luglio-agosto 2006
L’avventura
diplomatica.
Ricordi di carriera
Francesco Mezzalama
Rubbettino,
Soveria Mannelli (CZ),
2006, pp. 298, € 22
È
mezzo secolo di storia, non esclusivamente diplomatica, che scorre nelle
pagine delle memorie di Francesco Mezzalama. Dalle stanze di palazzo Chigi,
sede del ministero degli Affari Esteri sino alla fine degli anni Cinquanta,
a quelle del Quirinale, il diplomatico piemontese ha seguito le crisi
che hanno segnato il faticoso cammino dell’Italia nello scenario
internazionale: dalle vicende di Trieste, Territorio Libero mai nato con
un governatore inglese ostile alle aspirazioni italiane, a quella dell’Alto
Adige. Mezzalama annota le parole ed osserva le azioni dei politici italiani
presi tra le preoccupazioni di politica interna – l’opinione
pubblica, la stampa, i rispettivi partiti – e le esigenze della
politica internazionale. Il giovane diplomatico non giudica, anche se
presentando i suoi personaggi ne mette in luce i caratteri a volte con
un aneddoto significativo. Ecco Giuseppe Pella che, lasciando il ministero
al cambio di governo, restituisce con correttezza subalpina i passaporti
diplomatici suo e della moglie; Mario Scelba che, a proposito dell’atteggiamento
dei britannici e degli americani sulla questione di Trieste scoraggiato
esclama: «Non ci comprendono, non ci valutano. Ebbene andremo verso
il comunismo, ma son loro che ci spingono».
I ritratti riguardano principalmente personaggi stranieri, che Mezzalama
incontra nell’ufficio diplomatico del presidente della Repubblica
Giuseppe Saragat e del suo successore Giovanni Leone. Era ormai l’epoca
della distensione e tra gli innumerevoli ospiti che si succedono al Quirinale,
oltre ai presidenti usa Richard Nixon e Gerald Ford, agli ex nemici Hailé
Selassié e Josip Tito vi sono Mobuto Sese Seko, un Juan Peròn
al tramonto, ma che si accinge a iniziare la sua seconda breve presidenza,
ed un Nicolae Ceasescu «dall’aria perennemente imbronciata
a burbera».
La svolta nella carriera di un diplomatico avviene quando egli è
investito delle funzioni di ambasciatore: ormai non si deve più
limitare ad osservare ciò che fanno gli altri o riferire ciò
che essi dicono, ma ha la responsabilità di parlare a nome del
suo governo e di curare direttamente gli interessi del suo paese. Mezzalama
cominciò in Marocco, quando il governo di Roma aveva dei non nascosti
pregiudizi nei confronti di una «monarchia conservatrice e anacronistica
con un futuro incerto». I governi di centrosinistra raccomandavano
di non dare a Rabat la sensazione di eccessiva intimità. Il paese
magrebino a cui andavano le simpatie dei politici italiani dell’epoca
era invece quell’Algeria “progressista”, che non avrebbe
mancato di dare tante delusioni e tanti dispiaceri anche al nostro paese.
Sono queste le disavventure causate spesso da una diplomazia dettata dall’ideologia.
Le pagine più importanti dei ricordi di Mezzalama riguardano la
sua missione successiva: a Teheran, dove egli fu destinato subito dopo
la “rivoluzione khomeinista”, l’illegale occupazione
da parte dei pasdaran dell’ambasciata degli Stati Uniti e la cattività
dei 52 funzionari americani, che sarebbero rimasti quali ostaggi in potere
degli iraniani per ben quattordici mesi, sino al gennaio del 1981. Come
tutte le rappresentanze diplomatiche, anche quella italiana fu pesantemente
condizionata da quell’episodio: essa non sfuggiva alla diffidenza
dei rivoluzionari nei confronti degli occidentali. Ma quella diffidenza
era solo un aspetto della difficile posizione italiana nella caotica situazione
iraniana di quel periodo. Imperversava anche una guerriglia urbana, condotta
dai “muhajeddin del popolo”, che facevano delle improvvise
cruente apparizioni al centro di Teheran ed attaccavano talvolta anche
le ambasciate (compresa quella italiana). L’Italia aveva notevoli
interessi economici, specie a causa della progettata costruzione del porto
di Bandar Abbas, che a tutta prima i khomeinisti avevano considerato un
prodotto ed un simbolo della corruzione del regime del deposto Scià.
Come sempre i successori condannano tutto ciò che è fatto
o preparato dai predecessori, salvo rendersi conto in seguito dell’utilità
di ciò che avevano vituperato. Non è senza fascino, né
senza insegnamenti la narrazione del cambiamento repentino della politica
dei khomeinisti quando si resero conto dell’importanza di quell’opera,
specialmente a causa dell’intervenuta guerra con l’Iraq, che
sarebbe durata ben otto anni. Con qualche difficoltà la diplomazia
italiana riuscì a rioccupare altre posizioni economiche sconvolte
o messe in forse dalla turbolenti vicende di quel periodo. La missione
in Iran di Mezzalama terminò nel 1983, quando egli fu nominato
consigliere di Stato e incaricato anche di svolgere delle funzioni in
seno ad organismi delle Nazioni Unite. Fu a Ginevra infatti che egli terminò
la sua “avventura diplomatica”, ricca di interesse, incontri
ed esperienze e non priva di momenti di tensioni e di pericoli. La vita
del diplomatico non è, come ancora qualcuno crede, fatta di cocktail,
cacce alla volpe e note verbali che lasciano il tempo che trovano.
(c)
Ideazione.com (2006)
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