Mazzini
e la forza morale della libertà
di Danilo Breschi
Ideazione
di marzo-aprile 2006
L’Italia,
l’Austria e il Papa
Giuseppe Mazzini
La
Bancarella Editrice, Piombino (LI), 2005
pp. 129, € 10
Tutto
iniziò con uno scandalo. Metternich, il Cancelliere dell’Impero
austriaco, teneva sott’occhio Giuseppe Mazzini sin dal 1834, dai
tempi della fondazione della Giovine Europa. Come ha scritto Zeffiro Ciuffoletti,
«il patriota italiano gli apparve come il vero motore della trama
rivoluzionaria a livello internazionale» e questo conferma tutta
l’importanza e il peso politico che il nostro ebbe nell’Europa
di metà Ottocento. Nei primi anni Quaranta Metternich premette
sul governo inglese e ottenne da Lord Aberdeen, ministro degli Esteri,
e da Sir James Graham, ministro degli Interni, che le lettere indirizzate
a Mazzini fossero intercettate e il loro contenuto trasmesso all’ambasciatore
austriaco a Londra. Il tutto avveniva ovviamente in segretezza, secondo
un’operazione di vero e proprio spionaggio. Dopo cinque mesi, Mazzini
cominciò a nutrire i primi sospetti avvalorati da una serie di
prove ottenute grazie anche all’aiuto di alcuni amici cartisti,
esponenti cioè di quel Chartist Movement che fu essenzialmente
un movimento democratico della classe operaia inglese, per il quale le
rivendicazioni dei diritti politico-civili e dei diritti sindacali costituivano
un unico obiettivo di lotta. Si ebbe così nel giugno 1844 una petizione
alla Camera dei Comuni che denunciò la gravità del fatto,
tanto maggiore dato il prestigio di alfiere e garante delle libertà
individuali di cui il governo inglese godeva presso l’opinione pubblica
democratica nell’Europa della Restaurazione. Il primo tentativo
del governo inglese fu invece quello di insabbiare la vicenda, ma, come
spesso accade, il sassolino lanciato da Mazzini e dai suoi sostenitori
fece venire giù una vera e propria valanga. Si scoprì, infatti,
che la violazione della posta era pratica quanto mai diffusa, estesa persino
alla corrispondenza dei parlamentari inglesi e ai dispacci degli ambasciatori
stranieri. Lo scandalo dilagò e la questione diventò di
pubblico dominio. D’altro canto, l’iniziale reazione scomposta
dei due membri del governo direttamente coinvolti favorì ulteriormente
l’immagine di Mazzini presso ampi settori di un’opinione pubblica,
quella inglese, particolarmente sensibile ai temi della tutela dei diritti
e della lotta per la libertà.
L’esule italiano colse l’occasione al volo. Decise di scrivere,
direttamente in inglese, una lettera aperta che dedicò al ministro
Graham, con il titolo Italy, Austria and the Pope, che vide la luce nel
maggio 1845. Al corposo opuscolo (ben 140 pagine nell’originale
inglese) seguì una divulgazione a puntate nell’estate successiva
di ampi brani del medesimo sulle colonne del settimanale democratico cartista
Northern Star, capace di tirare addirittura centomila copie. Indiscutibile
e significativa è dunque la risonanza del testo che, tradotto a
suo tempo per l’edizione nazionale degli scritti mazziniani, rivede
ora la luce come testo a sé, per la cura di Andrea Panerini e con
la prefazione di Zeffiro Ciuffoletti. Un’ottima iniziativa per contribuire
alle celebrazioni del bicentenario della nascita di Mazzini.
Il comportamento tenuto dal governo inglese offrì a Mazzini l’occasione
di perorare la causa italiana in terra inglese riscuotendo un’attenzione
ed un favore fino ad allora sconosciuti. Anzitutto, mise in luce le contraddizioni
fra l’immagine di campione della libertà che l’Inghilterra
aveva costruito all’epoca delle coalizioni antinapoleoniche, e di
cui ancora beneficiava, e la politica estera effettivamente condotta dopo
la Restaurazione. Tale politica si basava su una teoria del non-intervento,
su una posizione di assoluta neutralità che, nei fatti, era appoggio
all’impero austriaco e sostegno dello status quo internazionale.
Il 4 luglio 1844, in Parlamento, Wellington aveva dichiarato che la politica
dell’Inghilterra aveva come fine «non solamente di rimanere
in pace con tutti, ma di mantenere pace per ogni dove, e promuovere l’indipendenza,
la sicurezza e la prosperità d’ogni altra terra nel mondo».
Ma qui Mazzini obietta che senza libertà e democrazia, intesa come
«armonia tra i governanti e i governati», non si dà
alcuna pace degna di questo nome. La formula che il governo inglese oramai
seguiva era – questa l’accusa di Mazzini – «libertà
per noi, tirannide per gli altri», e risultava davvero offensivo
per le centinaia di patrioti italiani morti e imprigionati in quasi trent’anni
di governo asburgico restaurato dopo il 1815 sostenere, sempre da parte
inglese, che l’Austria esprimeva sul suolo italiano un governo paterno
e comprensivo. Anche questa azzardata affermazione di Graham consentiva
a Mazzini di rendere edotta l’opinione pubblica inglese della reale
situazione italiana, ignorata e trascurata dai più: «Il nostro
governo è un giogo straniero, il quale ci priva di ciò che
al mondo è più prezioso per un uomo, l’Indipendenza,
l’Iniziativa, la Libertà». Oltre all’occupazione
del Lombardo-Veneto, l’Austria esercitava un controllo indiretto
sugli altri governi dispotici presenti nella penisola, costituendone il
braccio armato nei momenti di pericolo. Momenti che, da episodi isolati,
sempre più si erano fatti reiterazione frequente di un malcontento
diffuso e crescente, sovente spontaneo. All’Austria, come allo Stato
Pontificio, cominciavano ad apparire chiare una progressiva mancanza di
consenso da parte della popolazione e una crescente insofferenza. Scriveva
Mazzini con un’immagine efficace: «L’Austria sa bene
di essere accampata temporaneamente in Italia; essa non ha altre intenzioni
se non di prolungare per quanto è possibile questo periodo indefinito
e di sfruttare al massimo grado il territorio che oggi detiene».
Che l’Inghilterra si rendesse complice di una simile ingiustizia
era cosa inammissibile, e le pagine di Mazzini fanno leva proprio sull’autorappresentazione
e autopercezione tradizionalmente coltivata dal mondo inglese della cultura
e della politica. Egli si faceva così portavoce di un vero e proprio
appello all’interventismo democratico, all’ingerenza di un
governo democratico nella politica interna di un governo straniero quando
quest’ultimo violava palesemente i principi della libertà
e della democrazia. Un’ingerenza che, nel caso specifico, avrebbe
dovuto tradursi nel pieno sostegno alla causa dell’unificazione
politica dell’Italia, nazione omogenea per lingua e tradizioni al
pari della Francia e della stessa Inghilterra. Farsi paese di ospitalità
dei rifugiati politici era poca cosa, quando consapevolmente si lasciava
che l’ingiustizia e l’oppressione regnassero sotto governi
alleati. Così l’Inghilterra con l’Austria. E non era
argomento fondato nemmeno quello secondo cui l’amministrazione asburgica
favoriva benessere materiale. La Lombardia e il Veneto erano floridi nonostante
la presenza straniera, grazie solo all’ingegno e alle virtù
operose della popolazione autoctona. Ma, alla lunga, benessere e libertà
non possono procedere disgiunte. E alla amministrazione ingiusta segue
presto l’amministrazione inefficiente e corrotta, come mostravano
del resto i settori dell’istruzione e della giustizia, descritti
nella lettera con dovizia di esempi. Da segnalare la definizione che Mazzini
dà della struttura istituzionale dello Stato Pontificio: una anarchia
organizzata, essendo fondata su una giustapposizione di poteri transitori
e temporanei, arbitrari e conflittuali, a cominciare dal vertice; ogni
nuovo Papa era solito ribaltare gerarchie e normative introdotte dal suo
predecessore, quasi sempre eletto da cardinali di una fazione avversa.
L’Austria era più linearmente un dispotismo centrale.
Ancora un’ultima considerazione Mazzini la riservava all’Inghilterra,
più precisamente al suo popolo. Ai governati inglesi si appellava
nelle pagine finali della sua appassionata lettera di denuncia, chiedendo
loro di cancellare il disonore gettato dai loro governanti sul prestigio
della nazione. Era un invito a sfiduciare il governo in carica, e a sostenerne
uno capace di rispecchiare quel senso morale che il popolo inglese pareva
avere temporaneamente rimosso. La moral force di cui parla Mazzini è
cosa ben diversa dalla violenza. È la coscienza che tra ogni affermazione
di principio (giusto e condiviso) e la sua applicazione deve esserci sempre
una stretta connessione. Occorre avere il coraggio di applicare con coerenza
quel che si afferma come valore politico universale: se si condanna la
schiavitù dei neri, e se ne chiede l’abolizione, scriveva
Mazzini, come si fa poi a tollerare quella dei bianchi? La neutralità
sui principi di libertà e democrazia, e dunque l’indifferenza
e la passività politica di fronte alle tirannie, denunciano un
cattivo stato di salute di una nazione, perché solo «un popolo
morale trova sempre un governo degno di sé». D’altro
canto, Mazzini era convinto che in tempi brevi si sarebbe assistito al
sorgere di nuove nazionalità compiute sotto forma di Stati liberi
e indipendenti. Se l’Inghilterra non avesse recuperato la propria
forza morale, mostrandosi coerente tra il suo dire e il suo fare politica
estera, avrebbe perso i sentimenti di gratitudine e simpatia in passato
nutriti dalle nuove nazionalità emergenti e il suo primato di potenza
mondiale avrebbe potuto risentirne gravemente. Come a dire che virtù
e interesse, idealismo e realismo non sono necessariamente termini antitetici,
non almeno nelle relazioni e controversie internazionali.
(c)
Ideazione.com (2006)
Home
Page
Rivista | In
edicola | Arretrati
| Editoriali
| Feuilleton
| La biblioteca
di Babele | Ideazione
Daily
Emporion | Ultimo
numero | Arretrati
Fondazione | Home
Page | Osservatorio
sul Mezzogiorno | Osservatorio
sull'Energia | Convegni
| Libri
Network | Italiano
| Internazionale
Redazione | Chi
siamo | Contatti
| Abbonamenti|
L'archivio
di Ideazione.com 2001-2006