
 
        Interessi nazionali e politica estera
        di Daniele Sfregola
        
         Ideazione 
        di luglio-agosto 2006 
      
  
        
 Interessi 
        nazionali:
        metodologie di valutazione
        Carlo Jean, Fernando Napolitano (a cura di)
        Franco 
        Angeli Editore, 2005
        pp. 103, € 14
        
Cosa 
        sono gli interessi nazionali? E come possono essere definiti e valutati 
        ai fini di una concreta azione di politica estera? Il libro curato dal 
        generale Carlo Jean, docente di Studi Strategici alla luiss-Guido Carli 
        di Roma e presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica, e da Fernando 
        Napolitano, vicepresidente della Booz Allen & Hamilton, tenta di rispondere 
        a questi due non semplici quesiti. Pur nascendo come rapporto di ricerca, 
        il volume – che si avvale degli scritti dei curatori, a cui si aggiungono 
        quelli di Laris Gaiser e del professor Luciano Bozzo – ha il pregio 
        del taglio divulgativo-istituzionale, senza per questo perdere in rigore 
        scientifico.
        Esistono diversi criteri classificatori degli interessi nazionali: per 
        contenuto (economici, territoriali, politici), per priorità, a 
        breve o a lungo termine, diretti o indiretti, storici o contingenti. E, 
        elemento tanto fondamentale quanto più o meno inconsapevolmente 
        ignorato nel dibattito sui medesimi, gli interessi nazionali sono tali 
        solo quando si è in condizione di poterli conseguire. Altrimenti, 
        per dirla con Jean: «Non si tratta di interesse, ma di semplice 
        aspirazione». Per forza di cose, pertanto, l’interesse dipende 
        dalla capacità di potere di cui si dispone e dalla priorità 
        degli interessi che a questo sottendono. E questo potere è quello 
        dello Stato, attore centrale del sistema delle relazioni internazionali, 
        come insegna la geopolitica neoclassica (Brzezinski). Pericoloso, invece, 
        sarebbe affidarsi ad una visione idealista e cosmopolita. Questa pretenderebbe 
        di subordinare gli interessi particolari dei singoli attori a supposti 
        interessi generali, non riconoscendo, in siffatta maniera, il carattere 
        competitivo di questi e la possibilità di una loro scelta autonoma 
        in termini di collaborazione. Gli interessi nazionali, insomma, come gli 
        interessi individuali: un paniere di preferenze col vincolo di bilancio 
        (risorse, potenza, eccetera). Risulta quindi preferibile, per rimanere 
        col parallelo dell’economia di mercato, un sistema di “anarchia 
        internazionale” di hobbesiana memoria – il libero determinarsi 
        dell’equilibrio tra domanda ed offerta – ai governi mondiali 
        e continentali paventati da molti come soluzione capace di annullare gli 
        “egoismi nazionali” – l’interventismo dai propositi 
        altruistici e dai risultati distorcenti. 
        Lo studio esalta l’approccio glocal: «Pensare globalmente 
        per decidere localmente». Lo Stato moderno rimane geoeconomico: 
        nel mondo dell’economia e della comunicazione senza frontiere, l’obiettivo 
        di uno Stato è massimizzare l’efficienza, che necessariamente 
        significa capacità di attrarre flussi di capitale umano e finanziario, 
        sempre più volatili, in una strategia di medio-lungo periodo. Particolarmente 
        interessante, in tal senso, è il capitolo di Napolitano sul rapporto 
        tra interesse nazionale e catene di valore. La politica internazionale 
        non bilancia solo pesi politico-diplomatici e militari. Oggi più 
        che mai, risulta necessario affrontare con profondità analitica 
        la realtà della competizione economico-finanziaria multilevel su 
        scala mondiale. I poli d’attrazione decisivi per una politica industriale 
        capace di dare slancio all’Italia consistono nella presenza sul 
        territorio nazionale di industrie leading edge e degli headquarter delle 
        stesse – la parte alta della catena e i centri di comando e di progettazione 
        – col fine strategico di rafforzare la potenzialità attrattiva 
        del sistema-paese sia a livello esterno (investimenti diretti dall’estero 
        e così via) che sul piano interno (policentricità operativa: 
        università, centri di ricerca). 
        L’esempio di Singapore è a tal fine paradigmatico. Uno Stato 
        piccolo e privo di risorse naturali, ma con un governo dotato di capacità 
        strategica a medio-lunga scadenza, decide di lanciarsi nella sfida globale 
        per l’eccellenza nei settori degli armamenti e del farmaceutico, 
        partendo dal nulla (piccole imprese produttrici, rispettivamente, di pallottole 
        e pillole) e riuscendo a diventare, in un arco temporale relativamente 
        breve, uno dei massimi fornitori mondiali di armi hi-tech e uno dei più 
        innovativi e poliedrici centri internazionali di biomedica.
        Le riflessioni di Napolitano risultano confermate dall’analisi condotta 
        da Bozzo col metodo matriciale ahp (Analytic Hierarchy Process) per la 
        determinazione degli interessi nazionali italiani e per una loro classificazione 
        in termini di importanza. Il case study è davvero interessante: 
        con metodo il più possibile “scientifico”, si ottiene 
        una classifica – ordinata per rilevanza e in funzione di quattordici 
        aree geografiche e tre criteri: economico, socio-culturale e politico-militare 
        – degli interessi italiani nelle varie regioni del pianeta. L’esperimento 
        è assai utile per almeno due ordini di motivi. Innanzitutto, permette 
        di valutare gli interessi nazionali italiani in sé, pur con la 
        strutturale limitazione del carattere tendenziale dei dati così 
        ottenuti. In secondo luogo, il modello garantisce una certa equiparabilità 
        tra interessi perseguiti nella concreta azione di politica estera e risorse 
        destinate a tale azione, col risultato di poter quantomeno “quantificare” 
        l’impegno diplomatico del paese in una determinata area e per un 
        determinato movente in raffronto ai vantaggi conseguibili ed eventualmente 
        conseguiti. Se la razionalizzazione di un concetto per definizione legato 
        anche alle sensibilità politico-ideologiche della leadership, come 
        è quello dell’interesse nazionale, è di certo impossibile, 
        lo studio dimostra come invece possibile e oltretutto imprescindibile 
        è la sistematizzazione degli stessi, non fosse altro per la comprensione 
        in tempo reale dello “stato dell’azione diplomatica” 
        del paese.
        Il formarsi di un equilibrato vincolo tra patriottismo identitario e approntamento 
        strutturale delle capacità di appeal economico-finanziario e di 
        adeguati progetti di sicurezza militare, diventa il compito essenziale 
        dello Stato che voglia competere con successo sugli scacchieri internazionali. 
        Nonostante il tremendo ed apparentemente irrisolvibile deficit di cultura 
        strategica della classe politica del nostro paese – per non dire 
        del cieco opportunismo di taluni, che riesce utile al sottacere di un 
        franco dibattito sugli interessi nazionali dell’Italia – l’unica 
        via per difendere status, prestigio e capacità di azione a livello 
        internazionale passa per i sentieri tracciati da queste idee. 
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