Diritto alla vita e diritto alla morte
di Marta Brachini
Ideazione
di gennaio-febbraio 2007
Morire
ad occhi aperti
Marie de Hennezel
Lindau, Torino, 2006
pp. 132, € 12
Vita e
morte. I misteri più profondi che l’uomo abbia mai indagato nel corso
dei secoli non sono mai stati al centro del dibattito politico-sociale
come oggi. Nel Ventunesimo secolo i progressi della medicina e della
scienza hanno finito per invadere la sfera etica e morale della
riflessione filosofica sulla vita umana. Ed è evidente il contrasto che
questo sconfinamento provoca. In Italia il dibattito è stato molto
acceso. Aborto, fecondazione assistita, clonazione terapeutica, cellule
staminali. E adesso eutanasia. Diritto alla vita prima, e diritto alla
morte adesso. Con il caso Welby, co-presidente dell’associazione Luca
Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, in primo piano le
discussioni sulla dignità della morte e i limiti della medicina hanno
sollevato molti interrogativi. E la riflessione che vogliamo portare
all’attenzione del lettore è quella di Marie de Hennezel, autrice del
libro Morire ad occhi aperti (Lindau 2006 p. 132 – euro 13). «Come
morire? Come mantenere la nostra dignità fino alla fine? L’eutanasia è
il solo modo per morire dignitosamente? Decidere di morire è un atto di
coraggio? Significa prendere in mano il nostro destino?». La psicologa e
psicoterapeuta francese, che si occupa da tempo di cure palliative,
cerca di rispondere ai grandi interrogativi della morte attraverso un
caso specifico, allo stesso tempo uguale e contrario a quello di Welby,
da lei seguito e raccontato in tutti i suoi aspetti. È quello di Yvan
Amar, un uomo «semplice, vero, profondamente attaccato alla realtà», la
cui morte viene descritta come la «morte di un saggio», che sembra
andare nella direzione contraria a quella «cercata dalla nostra società,
improvvisa, non cosciente, talvolta addirittura pianificata». A Yvan
Amar, malato di insufficienza respiratoria dall’età di ventidue anni, è
stato reso omaggio attraverso questo libro, testimonianza del suo
personale percorso filosofico e religioso arricchito dagli insegnamenti
della religione induista e dai suoi maestri. L’éffort et la grâce è il
suo maggiore contributo scritto da cui l’autrice del libro trae la linfa
narrativa rafforzandone la tesi centrale: «È la relazione con gli altri
che ci fa crescere». È proprio la riflessione sul rapporto con gli
altri, quelli che restano in vita, che spinge l’autrice a rifiutare la
morte programmata definita come «un sinistro conto alla rovescia, che
terrorizza, che paralizza la vita e le relazioni. Una tristezza
infinita». Un pensiero apparentemente in contrasto col desiderio
espresso da Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare, nella
lettera che ha rivolto al presidente della Repubblica, dove invoca
l’eutanasia per sé e la libertà di scegliere la propria morte come
diritto garantito per legge per chi resterà in vita. C’è infatti un
elemento in comune che avvicina chi è contrario alla morte programmata a
chi invece è a favore. È la volontà di non perdere mai la dignità,
neanche di fronte all’ultimo attimo di vita. La dignità che consiste
«nell’essere lucidi, responsabili, coscienti» nell’accettazione della
morte, scrive Marie de Hennezel.
(c)
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