Il
tramonto dei poteri forti
di Giuseppe Pennisi
Ideazione
di marzo-aprile 2006
Poteri Deboli. La nuova mappa del
capitalismo nell’Italia in declino
Giancarlo Galli
Mondadori,
Milano, 2006
pp. 298, € 18
Ci
sono due modi differenti per leggere l’ultimo saggio di Giancarlo
Galli, giornalista e saggista, nonché editorialista di Avvenire.
Un modo è quello di considerarlo una chronique da parte di un chroniqueur
che conosce a fondo la Milano-che-può e che dopo circa cinquant’anni
di militanza nel mondo dell’informazione e dell’economia riordina
i propri taccuini di appunti per dare un’interpretazione socio-economica
del cambiamento delle “reti” (termine tecnico internazionale
per indicare quello che da noi viene chiamato capitalismo di relazione).
Una chronique – ricordiamolo – non è una cronaca ma
una riflessione su un insieme di fatti e notizie; un chroniqueur non è
un cronista ma colui che analizza fatti e notizie utilizzando le cassette
degli attrezzi di più di una disciplina (nel caso specifico dell’economia
e della socio-politologia). In questo modo, gli incontri e gli scambi
di vedute con uomini che di volta in volta hanno interpretato il potere
fanno da apriscatole alla lettura di alcune delle cause di quel vero o
presunto declino dell’Italia su cui si è sviluppata una saggistica
ormai vastissima e di diseguale spessore. Un altro modo è quello
di accostarsi al libro ed alle sue varie sfaccettature – alcune
basate su analisi approfondite ed altre invece costituite poco più
che da aneddoti ben raccontati – come ad un saggio sulla classe
dirigente che non c’è o che, se c’è, non si
fa vedere e non si fa ascoltare.
In quest’ultimo libro di Giancarlo Galli la chronique e lo studio
della classe dirigente si intrecciano più che in altri. Ciò
avviene a ragione della natura dell’argomento: non un tema specifico
ma il crepuscolo di quelli che un tempo erano considerati “i poteri
forti” (la Fiat, Mediobanca, la Banca d’Italia), unitamente
al sorgere di una frammentazione di “poteri deboli” che non
fanno una forza e, dunque, non risolvono ma forse aggravano i problemi
dell’economia reale e della finanza pubblica dell’Italia.
La nuova mappa del capitalismo italiano – sia esso soltanto un “capitalismo
di relazioni”, e, quindi, “senza capitali” – non
emerge proprio perché i poteri deboli si disperdono in una palude
i cui canneti hanno le forme e le caratteristiche di un labirinto. Cosa
c’è all’origine del tramonto dei poteri forti e delle
difficoltà che i poteri deboli hanno ad irrobustire i muscoli?
Ci sono due aspetti poco trattati nel saggio di Galli. I poteri forti
d’antan sono stati spazzati non tanto dalla ventata giacobina all’inizio
degli anni Novanta ma da un processo di integrazione economica internazionale
che nelle loro sacche protette non avevano concepito. I poteri piccoli
restano tali perché, rimpiazzati quelli forti, si illudono di poter
crescere dietro protezionismi e tutele analoghi a quelli che, per alcuni
decenni, hanno fatto la fortuna dei primi. Un saggio di Daniel Gros, scritto
in occasione del quarantesimo anniversario della creazione dell’Istituto
Affari Internazionali, raffronta le posizioni relative di Italia e Germania
dal 1992 (decisione di procedere verso l’unione monetaria) ad oggi;
la seconda ha aperto e ristrutturato la propria economia (e società)
mentre la prima si è limitata, spesso a malincuore, a soddisfare
gli adempimenti essenziali. L’altro aspetto è quello dell’invecchiamento
preterintenzionale. Due settantenni sono scesi in campo per contendersi
il governo dell’Italia dal 2006 al 2011. Mentre dal censimento del
1951 la fascia di età sino ai 29 anni comprendeva il 56 per cento
della popolazione, al censimento 2001 ne includeva il 34 e, nel contempo,
le persone di oltre 45 anni sono aumentate dal 25 al 43 per cento, portando
a 42 anni l’età mediana degli italiani (52 anni nel 2050
secondo le stime onu) rispetto a 37 anni (41 nel 2050) per gli americani.
Il 55 per cento degli italiani “che contano” (e che vengono
menzionati nel Who’s who) ha superato i 60 anni, l’età
media di coloro che nell’estate 2005 hanno firmato editoriali sul
quotidiano la Repubblica (ormai sul solco di diventare lettura per le
case di riposo) è 68 anni circa; l’età media dei componenti
del governo (pur se abbassata da alcuni ministri) supera i 65 anni –
ossia la soglia che dovrebbe essere la barriera inossidabile per andare
in pensione “di vecchiaia”; i cosiddetti “giovani industriali”
non solamente non sono tali sotto il profilo dell’anagrafe ma di
norma hanno ereditato imprese (create tra fine Ottocento e gli anni Cinquanta),
non le hanno create con la loro iniziativa, imprenditorialità,
senso delle opportunità e del rischio, nonché sudore della
fronte. L’invecchiamento preterintenzionale è più
insidioso di quello meramente anagrafico. In una fase di grande trasformazione
(l’integrazione economica e la digitalizzazione internazionale)
esso rende difficile assimilare i nuovi paradigmi sia della tecnologia
e dell’economia sia della politica. Peter Drucker (il grande esperto
di management recentemente scomparso) amava dire che la fascia di età
tra i 35 ed i 50 anni è quella d’oro per avere risultati
positivi come imprenditore e come politico: in quei tre lustri si coniugano,
meglio che in altri, esperienza, energia e visione. Nelle imprese usa
intorno ai 60 anni si lasciano compiti di linea e si diventa advisor.
In Cina, si è deciso che non si può essere preside di Facoltà
dopo i 45 anni e rettore dopo i 50.
In Italia c’è, almeno in potenza, una nuova classe dirigente
di uomini e donne nell’età anagrafica indicata da Drucker;
nel 1994 e nel 2001 hanno assicurato il successo di Silvio Berlusconi
che interpretavano come loro espressione. Lo faranno anche nel 2006 o
si considereranno delusi? Ci sono 400.000 italiani in università,
centri di alta formazione, istituti di ricerca stranieri, imprese estere
ed internazionali. Le grandi metropoli del mondo pullulano di italiani
in posizioni chiave e nella fascia di età pertinente (uno di loro
è direttore generale del ministero dell’Impiego di Sua Maestà
Britannica). Torneranno a rendere forti i poteri adesso deboli?
(c)
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