Storie di calcio, tecnica e passione
di Pierluigi Mennitti

Ideazione di gennaio-febbraio 2007

Doppio passo.
Storie allo specchio
 di nove coppie del pallone
   Beppe Di Corrado
  Limina, Arezzo, 2006
  pp. 180, € 14

Se siete alla ricerca di qualcosa che vi faccia tornare la passione per il calcio dopo mesi di inchieste, veleni, penalizzazioni, scandali emersi e scandali insabbiati, calciatori gonfiati e starlette televisive, retrocessioni e scudetti a tavolino, acquisti milionari (miliardari prima dell’euro) e vivai abbandonati, allora non fatevi scappare il primo libro di Beppe Di Corrado, un giovane giornalista-scrittore che con questo pseudonimo nutre ogni settimana sul Foglio la nostra passione per il football e per la bella scrittura. Il meglio di questi racconti è stato preso, rivisto, aggiornato ed elaborato per farne un libro.

Siamo stati abituati a ricorrere agli scrittori sudamericani per farci affabulare sulla pelota condita da sabbia, genio e passione. O a quelli inglesi per gustare il sapore della rudezza accompagnata da birra e sganassoni.

Qui si gioca in casa, invece, e il gusto che se ne ricava è, finalmente, tutto italiano. Garantiamo noi: era dai tempi di un altro Beppe, questa volta vero e non uno pseudonimo, un tale Beppe Viola, che non leggevamo un libro così bello. Secco e poetico allo stesso tempo. Il titolo è Doppio passo e suggerisce un gioco a due: sono nove coppie del pallone, ora calciatori, ora allenatori, che si rimbalzano storie ed emozioni, tramonti e rinascite, esperienze e cialtronerie. Geni compresi e incompresi. Uomini, loro malgrado, interpreti del tempo e della storia.

Memorabile la prima coppia finita sotto il gioco della scrittura di Di Corrado: il portiere sovietico Rinat Dasaev e l’attaccante olandese Marco Van Basten. Il loro incontro è racchiuso in una palombella folgorante che il centravanti arancione scagliò contro il mito che veniva dal freddo, un pomeriggio del 25 giugno 1988. Di lì a poco il mondo di Dasaev se ne sarebbe venuto giù, assieme ai lastroni di cemento del Muro di Berlino. Però quella palombella fu qualcosa in più di una premonizione: in realtà il comunismo morì in quel momento. Di Corrado lo racconta così: «La parabola: la luce che divora il grigiore, il bello che umilia il brutto, l’Ovest che si mangia l’Est, il sole che illumina l’occidente e lascia nel buio l’oriente. Lì ha capito che il giorno era finito, che il tramonto se ne stava andando per lasciare spazio alla notte. La sua, dei suoi compagni, del suo paese».

Il libro scivola così, tra calcio e vita. Di Corrado disegna i personaggi che abbiamo visto in tv, per i quali abbiamo gioito e pianto negli anni della nostra esistenza calcistica. Li accarezza, li coccola, li insegue nelle loro follie, non li giudica mai. Quando qualcuno non gli va tanto a genio, Di Corrado non gli sbatte la porta in faccia. Ne segue le pieghe, raccontando con pulizia d’animo le contraddizioni più insopportabili. Così non sembra andargli troppo a genio Socrates, il filosofo brasiliano che giocava alla rivoluzione. Ma proprio quando non ce la fa più a sopportarne i capricci, l’autore si ricorda di aver anche giocato al calcio, scarta di lato e passa all’antagonista, in questo caso Kakà, l’alter ego di Socrates, il borghese divenuto anche lui artista del pallone che strappa il cliché del diseredato delle favelas che trova nel football il riscatto per sé e l’illusione per la propria gente.

La galleria di personaggi è gustosa e per nulla scontata. Ci sono gli eroi dei decenni passati, dal morbido Cerezo all’esagerato Best, dall’iracondo Cantona al gitano Stojkovic, e quelli di oggi, dal pubertoso Cassano al simbolo triste Raul. E poi gli allenatori, una manciata di pazzi giramondo, da Zeman a Milutinovic, da Domenech a Capello, eterni vincenti ed eterni perdenti fino al punto finale, una specie di dolce in fondo che riaggancia storie che sembrano di altri tempi, il calcio sotto casa, il cuore al quale non si comanda, le bandiere di Ziola a Cagliari e di Shearer al Newcastle. Un modo per dire, senza retorica, che i lieti fine esistono ancora. Basta cercarli e saperli raccontare. 

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