Sul tavolo del G8 clima, Africa e missili
di Pierluigi Mennitti
[06 giu 07]


Otto grandi paesi che possono parlare di alcune cose, confrontarsi su altre, alla fine decidere su poco. Questo è ormai il vertice del G8 e quello che si apre oggi in Germania non sfuggirà alla regola. Nuovi grandi emergono proprio in conseguenza di quella globalizzazione di cui il G8 è divenuto involontario simbolo: Cina, India e Brasile. Sono paesi che pongono anche problemi politici (la Cina autoritaria, ad esempio) ma tenerli fuori dal circolo degli incontri non può che ridurre la portata delle decisioni prese. Più avanza la globalizzazione, più lo scenario mondiale si allarga all’Asia e all’America Latina (l’Africa resta amaramente continente non protagonista) e più il G8 sembra quasi regionalizzarsi: appunto, l’incontro di quelle che un tempo erano le uniche, grandi potenze industrializzate.

Ad Heiligendamm i temi in questione saranno sostanzialmente tre. Cambiamento climatico, Africa e Russia. Non necessariamente l’importanza sarà in quest’ordine. Sul clima e su una politica comune e concertata di riduzione delle emissioni inquinanti aveva puntato Angela Merkel. La sua ipotesi, forse la sua illusione, era quella di portare Bush sulla posizione europea, che pare condivisa anche da Nicolas Sarkozy. In Germania le preoccupazioni legate al clima sono il tema politico del momento, dibattuto in ogni spazio di discussione. Negli Stati Uniti, no. La Merkel sperava di sfruttare qualche debolezza d’immagine del presidente americano ma Bush l’ha spiazzata. Condoleezza Rice ha strapazzato il collega tedesco Steinmeier nel pre-vertice di Potsdam, ricordandogli che se l’obiettivo è quello di ridurre le emissioni di gas inquinati nell’atmosfera, allora non si comprende perché la Germania abbia rinunciato al suo programma nucleare che è una delle soluzioni del problema. Evidentemente, ha ribadito la Rice, al cambiamento climatico si può rispondere con politiche diverse e ogni paese ha il diritto di scegliere quella che ritiene più opportuna. E poi è intervenuto lo stesso Bush, che ha rilanciato la vecchia idea di un gruppo ristretto di Stati con i quali concordare politiche efficaci.

La carta del presidente americano è quella di coinvolgere Cina e India: inutile pensare di poter fare qualcosa senza questi due giganti emergenti. La svolta verde di Bush è stata accolta con composto scetticismo, tanto più che ieri la Cina, per mezzo del suo governo, s’è di fatto tirata fuori da ogni sacrificio di tipo industriale sul tema delle emissioni. A parole Pechino dichiara di voler dare il suo contributo agli sforzi della comunità internazionale, dall’altro lato ribadisce di considerarsi ancora un paese in via di sviluppo e quindi di privilegiare le politiche di crescita economica a quelle della salvaguardia dell’ambiente. In un paese industrialmente avanzato le due cose non vanno disgiunte. La passione per le questioni ambientali in Germania si collega anche a specifici interessi dell’industria tecnologica tedesca che negli ultimi anni ha raggiunto livelli di eccellenza proprio nel settore delle energie pulite. Brevetti e prodotti sono in gran parte “made in Germany” e un’accelerazione globale su questa strada non può che favorire gli interessi delle imprese tedesche oltre che quelle dell’ambiente. Ma il punto resta delicato e su questo terreno la Merkel giocherà gran parte delle sue credenziali diplomatiche, che sono molto alte.

Sull’Africa la questione è più semplice. Tutti i paesi sono concordi nel rafforzare il pacchetto degli aiuti, anche perché qualcosa si sta muovendo a livello istituzionale nel continente africano. Su questo tema però sono gli Stati Uniti ad avere le carte più in regola dopo la decisione del presidente Bush di sanzionare il Sudan per il continuo genocidio in Darfur. Non basta metter mano alla borsa per risolvere i drammi africani ma bisogna anche incidere politicamente per favorire i processi di sviluppo.

Infine la questione russa, che al momento sarà ricondotta al problema del sistema missilistico che gli Usa vogliono estendere in Europa orientale. Il confronto con Mosca ha raggiunto livelli verbali da guerra fredda ma l’impressione è che, dietro le accuse roboanti, le diplomazie americana e russa siano da tempo al lavoro per quadrare il cerchio. Non ci sorprenderemmo che, dopo aver minacciato di puntare missili a destra e a manca, i due presidenti si accordino per sviluppare un piano comune all’interno del rapporto Nato-Russia. Vedremo nei prossimi due giorni i risultati di questo vertice, al momento balzato in primo piano soprattutto per gli scontri tra autonomi e polizia nella vicina città di Rostock. Da segnalare, tra le curiosità, l’esordio del presidente francese Nicolas Sarkozy e il commiato del premier britannico Tony Blair. Se poi qualcuno ha notizie delle posizioni e delle idee che sostanzieranno il contributo del governo italiano al vertice, ci faccia sapere. Ancora ieri non era possibile rintracciare sui siti web ufficiali né comunicati, né dossier, né paper. Di Prodi, comunque, è assicurata la presenza ad Heiligendamm.

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