La guerra di Rania
di Pierluigi Mennitti
[30 mag 07]


La storia che raccontiamo oggi non ha direttamente nulla a che fare con le aree geografiche in genere protagoniste di questa rubrica. Non si svolge a Berlino, né in Germania, né nell’Europa orientale o in Scandinavia. E non è neppure inedita. La storia che raccontiamo oggi è quella di Rania al Baz, una bella donna saudita. E’ capitata sotto i riflettori di “Alexanderplatz” perché Rania è in questi giorni ospite a Berlino per presentare il suo libro-denuncia da poco tradotto in tedesco. S’intitola “Sfigurata” e racconta una storia di dolore, di ribellione e di riscossa nell’Arabia profonda: fu un caso imbarazzante anche in patria che agitò l’opinione pubblica per qualche tempo. E anche in Italia la storia è nota: il libro, con lo stesso titolo, è stato pubblicato nel 2006 da Sonzogno con buoni risultati di vendita.

E’ la narrazione di una vita spezzata in due parti. La prima la vede protagonista di una carriera di successo: moderatrice della televisione nazionale, bella e brava, capace di gestire situazioni difficili o divertenti, di offrire al pubblico televisivo momenti di riflessione o spensieratezza a seconda delle circostanze e degli ospiti. In video usa sempre il velo sul capo ma il volto è scoperto. Una donna in grado di sfidare i tabù di una società ricca ma maschilista, moderna solo nei consumi e nelle ricchezze dell’elite ma terribilmente arretrata nelle quattro mura di casa. Ed è proprio lì, in famiglia, che Rania deve combattere la sua battaglia più difficile. In quella di origine c’era riuscita. Nonostante le difficoltà, aveva potuto studiare, istruirsi e alla fine scegliere se dedicarsi alla medicina o al giornalismo. Aveva optato per la seconda professione. E al giornalismo televisivo aveva dedicato l’entusiasmo dei suoi vent’anni. “Sono sempre stata una ribelle – confessa l’autrice – per gli uomini ero come il fuoco, materia pericolosa da gestire, e ho sempre fatto quello che desideravo”. Non sempre, in realtà.

In un paese dove alle donne non è consentito votare, né guidare l’automobile e tantomeno dare sulla voce agli uomini, Rania non è riuscita a vincere la battaglia con l’uomo che amava e che aveva voluto sposare in seconde nozze, dopo una prima storia andata male. Lui era un cantante, di origine senegalese. Ma la gelosia per una professione di successo, per di più pubblica, ha inquinato la vita coniugale, fino alla banale sequela di vessazioni, litigi, percosse. La banalità della gelosia. E l’ipocrisia di un mondo al maschile. Fino al giorno che Rania ricorda con orrore nel suo libro, il giorno in cui il marito la percosse con tale brutalità da farla rimanere per ore a faccia in giù, con il viso stampato sul marmo del pavimento e il naso spiaccicato per sfigurarne quella bellezza che tanto fascino emanava dal video. “Prega”, le urlava il marito. Quel dio, Rania non lo ha riconosciuto. Anzi pensa che sia un alibi, che dietro il paravento della religione si nasconda nient’altro che una società arretrata e maschilista. Non ce l’ha con l’islam. Lei stessa è islamica e non lo rinnega.

Oggi la sua storia, che si aggiunge a tante altre vicende di donne maltrattate, è stampata sulle pagine dell’ennesimo libro denuncia. L’Arabia è lo specchio di tanti paesi dove i diritti delle donne (e degli uomini, degli individui insomma) non sono mai entrati nella grammatica della vita quotidiana. Ma è anche lo specchio di un mondo chiuso e tradizionale, che ritiene di potersi fondare su valori e costumi che nulla devono concedere alla libertà e alla dignità dell’individuo. E l’autrice sembra saperla lunga. Rifiuta di farsi strumentalizzare nella contrapposizione Occidente-Oriente che va tanto di moda in alcuni ambienti intellettuali europei. In questa caricatura intellettualistica, lei vede l’altra faccia della medaglia dell’integralismo che ha conosciuto in Arabia Saudita. Forse esagera, forse non è proprio la stessa cosa, ma al fondo resta l’impressione un po’ amara che si tratti di un gioco degli specchi e alla fine chi ne va di mezzo è gente come lei. Rania è fuggita dall’Arabia. Oggi vive con i suoi tre figli in Libano, su una verde collina da cui si vedono i tetti di Beirut. Ha ripreso a fare televisione, nonostante il suo naso sia un po’ meno perfetto di prima. Guida l’automobile. Non ha ancora pensato di risposarsi.

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