Il valzer di Kiev
di Pierluigi Mennitti
[29 mag 07]


Non è la prima volta che i duellanti di Kiev, il presidente della Repubblica Viktor Yushchenko e il capo del governo Viktor Yanukovich, si accordano su qualcosa. Adesso è la data delle elezioni anticipate, volute dal primo per mettere in difficoltà il secondo. Il termine è il 30 settembre. Tempo sufficiente per Yanukovich a rinsaldare le truppe e organizzare una campagna elettorale. Che, a detta degli esperti, sarà vincente. La drammatizzazione dell’ultimo scontro è stata probabilmente decisiva per riportare i distratti riflettori dei media internazionali dalle parti di Kiev. Il presidente che silura il procuratore generale, questi che resiste e si rinserra nel suo ufficio, reparti di polizia fedeli al ministro dell’Interno che proteggono la procura, il presidente che sfiducia il ministro dell’Interno e mette la polizia sotto il proprio controllo. Infine reparti fedeli al presidente che si muovono nella notte dalle caserme del circondario e puntano sul centro della capitale, fermandosi minacciosi alla periferia. I due Viktor, presunti rivali, chiusi fino a notte fonda nel palazzo presidenziale per decidere la data del voto, unica soluzione buona ad evitare – udite udite – una guerra civile. Poi l’accordo e il giorno dopo fianco a fianco nello stadio cittadino a gustarsi la finale di coppa fra Dinamo Kiev e Shakhtar Donetsk, derby tra due squadre, due mondi e due colori, blu e arancione, ma questa volta a parti invertite.

Non è la prima volta, non sarà l’ultima, ma se Kiev è divenuta una succursale del teatro dell’assurdo lo dobbiamo a due leader, e a un’intera classe politica, che è impossibile dividere tra buoni e cattivi. È’ da tempo che la maschera della rivoluzione è caduta nel ridicolo e ad averci creduto restano ormai solo i cittadini ucraini che spesero tempo ed energia per presenziare le piazze gelate dell’inverno di due anni fa. Quelle piazze, metaforicamente parlando, non sono scomparse. Semplicemente non vengono più attratte dai richiami della politica. Almeno quelle “arancioni”, perché i militanti “blu” li abbiamo visti in strada ancora qualche mese fa, facili come sono alla mobilitazione di partito. La rivoluzione arancione, tradita dalla politica, s’è riversata nella vita di tutti i giorni. Kiev è una città in ripresa, la vita scorre frenetica e non troppo dissimile da quella di altre capitali europee. La scena artistica e culturale è vivace, i giovani riempiono le strade d’estate e i caffè d’inverno, ci si diverte, i soldi girano un po’ più che in passato. La società ha creato i suoi spazi autonomi nei quali sperimentare una libertà ritrovata. E gli anticorpi verso il Palazzo.

La politica ha perso colore. Specie quella arancione. S’è sbiadita in lotte di potere, interessi particolari, nel migliore dei casi inesperienza amministrativa. Ci siamo andati a rivedere le biografie politiche dei protagonisti, e li abbiamo ritrovati nelle pagine politiche del passato, esponenti della nomenklatura più che eroi dei tempi nuovi. Non sorprende, dunque, il gioco a rimpiattino dei due Viktor, stampelle uno dell’altro. Se non verrà in mente qualche altro vantaggio da contrattare con una nuova azione di forza, alle elezioni di fine settembre si arriverà davvero. E i sondaggi dicono che vincerà il cosiddetto filo-russo, Yanukovich. Vincerà le elezioni ma poi verrà il bello perché dovrà governare. Sembra Roma ma è Kiev: organizzare un cartello elettorale non è impresa complessa, formare una coalizione di governo pare invece operazione proibitiva. E allora si ricomincerà da capo, altri litigi e altri dispetti, altre inutili prove di forza per guadagnare un po’ di tempo e restare aggrappati alle poltrone. E’ importante: gli Europei del 2012 fanno intravedere finanziamenti e soldi, guai a non assaggiare la torta. Gli analisti discettano sul fatto che Yanukovich potrà almeno affrancarsi dalla compagnia della sinistra più estrema e presentarsi all’Europa come partner più affidabile, capace di dialogare con Mosca e di aprirsi a Bruxelles. Nel valzer di Kiev, i giri di ballo sono all’ordine del giorno. E nessuno si scompone più.

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