Una serata con l'ex cancelliere
di Pierluigi Mennitti
[24 mag 07]


Quando entra nella sala conferenze della libreria Dussmann, l’avvolge l’applauso dei tanti accorsi ad ascoltarlo o a farsi autografare il libro. Gerhard Schröder, l’ex cancelliere passato alla corte di Gazprom, si concede per un’oretta buona, il tempo di presentare l’edizione tascabile delle sue memorie (“Decisioni. La mia vita nella politica”), arricchita di una postfazione rispetto all’edizione principale uscita un anno fa. E’ un pubblico in gran parte amico, quello della libreria Dussmann, qui a Berlino centro dell’intellettualità liberal, di sinistra: una casa multimediale della cultura bella e spaziosa, piena di libri, dvd, cd musicali, computer collegati ad internet e poltrone comode e numerose dove gli acquirenti sfogliano (e spesso leggono) i libri che acquisteranno. Una sorta di Feltrinelli, per intenderci, ma in dimensioni giganti. Schröder, però, appare un po’ ingessato. Ci mette un po’ a rilassarsi, fatica ad entrare nel ruolo del padre saggio che compete ad ogni politico che ha lasciato alle spalle gli anni più intensi, e che guarda alle cose che scorrono con compassato distacco.

E’ un uomo ancora giovane, che ha lasciato il proscenio politico suo malgrado, dopo un azzardo elettorale che gli stava quasi riuscendo. La sconfitta del 2005 non l’ha mandata giù, anche perché a rivedere il lungo film di quella campagna, può ben dire che si è trattato di una sconfitta vittoriosa. Una settimana ancora e ci sarebbe scappato il miracolo, e lui sarebbe ancora seduto lì, nelle stanze della Cancelleria sulle rive della Sprea. Invece ha ripiegato per il mondo degli affari, come un normale ex presidente americano, solo che ha ceduto il suo talento agli altri, ai russi, all’amico Vladimir, che deve essere un po’ amico di tutti e di nessuno, anche se poi sa scegliere bene le persone con cui stringere legami d’affari e consulenze dalle buste paga pesanti. L’ex cancelliere è guardato a vista dagli uomini della security. Sembrano un po’ tutti entrati nel ruolo, bodygards che non sfigurerebbero come comparse in un film sulla nuova aristocrazia moscovita. Ma forse siamo noi ad essere condizionati dai romanzi di spionaggio.

Vestito scuro, elegante ed azzimato, camicia bianca e cravatta regimental dai toni scuri, Schröder entra subito nei temi di politica estera, incalzato dall’intervistatrice, Evelyn Fischer, responsabile della redazione berlinese di Deutsche Welle. Il tema è – ovviamente – il rapporto tra l’Europa e la Russia e l’ex cancelliere non si scompone, offre alla platea un discorso razionale e diplomatico, nulla di particolarmente sorprendente: Mosca è sulla via della democratizzazione ma il percorso sarà lungo e accidentato. L’Europa deve assecondarlo, comprendendone anche alcune incertezze: se i contrasti commerciali sulla carne tra Russia e Polonia non sono una questione bilaterale ma europea, anche il progetto di installazione dei missili americani in Polonia deve diventare una questione europea e non un semplice interesse polacco. Il “problema Mosca”, dunque, deve essere gestito a livello di Unione europea, ascoltando le esigenze di tutti ma evitando che vecchi rancori possano interrompere i rapporti e il complesso viaggio della Russia verso la democrazia.

Lo Schröder di oggi appare assai distante dal politico passionale e coinvolgente di qualche anno fa. Più diplomatico, meno coinvolto nelle vicende quotidiane. Ha buone parole per Bush (“Abbiamo avuto contrasti forti ma è una persona con cui si discute amabilmente, posso assicurare che è davvero piacevole parlarci”) e dichiarazioni di buonsenso verso l’impegno delle forze armate tedesche in Afghanistan. E’ il giorno del rimpatrio delle salme dei tre soldati uccisi sabato scorso in un attentato e l’ex cancelliere non può sfuggire alla domanda su cosa abbia provato nell’apprendere la notizia della strage. “Dolore, ma riguardo alla decisione di andare in Afghanistan non posso avere rimpianti, sapevamo anche i rischi cui andavamo incontro”. Oggi non si tratta di ritirare i contingenti, semmai di dibattere nel Bundestag e con i nostri alleati le strategie migliori per combattere il terrorismo militarmente e politicamente: se non creeremo le condizioni per una crescita dell’intera società afgana, non potremo mai sconfiggere il terrorismo.

Difesa a spada tratta anche delle riforme interne. Schröder respinge al mittente le accuse di “conservatorismo”. “Le riforme economiche erano necessarie, anche quella delle pensioni così osteggiata dai cittadini. I risultati economici di oggi ci danno ragione, posso solo augurarmi che il governo attuale prosegua su questa strada”. E poi perfido: “Ne ho parlato a Müntefering”, il vice cancelliere in quota socialdemocratica. Per la Merkel, nessuna citazione: è in fondo l’unico sgarbo che si consente. L’ex cancelliere si scioglie solo quando si passa a questioni più personali. Lì ritrova la vecchia verve, scherza sul vino bevuto prima della tavola rotonda in tv poche ore dopo l’esito del voto del 2005, consegna ai giornalisti un ritratto della loro professione non proprio edificante (“Siete parziali perché i vostri giornali sono portatori di interessi parziali, quelli dei vostri editori”) e smentisce qualsiasi intenzione di rientrare da protagonista sulla scena politica. Lo dice in inglese, citando il titolo di un film di Ben Bolt: “Never come back, è un mio principio. Kurt Beck, l’attuale segretario dell’SPD, deve svolgere il suo ruolo tranquillamente, io sono sempre disponibile a dargli dei consigli ma il futuro del partito socialdemocratico è della nuova generazione ed è tempo che si creino le condizioni per il ricambio”. Si chiude il sipario. Restano gli autografi.

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