Viaggiatori italiani in Germania / 4 - Macerie naziste
di Pierluigi Mennitti
[19 lug 07]


La Germania di Hitler, alleata sul piano geopolitico e militare, diventa la casa di tutte le virtù. Come si evince dalla penna pur brillante del giornalista di guerra Enrico Mandillo che nel suo Fronti. Attraverso l’Europa in guerra (1942), così descrive la fede cieca del popolo tedesco nella vittoria militare: “A quattro anni di distanza, ho rivisto la Porta di Brandeburgo e il viale dei Tigli. I festoni, le bandiere, le gale che decoravano allora le strade di Berlino in occasione delle Olimpiadi non ci sono più. Ma nell’aria di questo mitissimo morir d’ottobre è l’attesa della selva di svastiche e di tricolori dei giorni della vittoria”. Non sarà un buon profeta, Mandillo: “La stessa attesa è nei volti. Nessuna gioia scomposta, nessun fragore di peana, nessuna di quelle scritte che inghirlandavano le mura delle caserme londinesi quattro mesi fa (“Direzione: Berlino”, “La Germania è moribonda”, “Arriveremo noi, tommies del tale o talaltro reggimento, a dare a Hitler il colpo di grazia”, “Andremo a stendere i panni sulla linea di Sigfrido”, ecc.). Ma la folla che accalca i ritrovi pubblici o va frettolosamente verso il lavoro o la casa, ha negli occhi gravi, ma sereni, l’attesa, certa, della vittoria. Nei discorsi con l’uomo della strada è la stessa certezza”. La narrazione si fa marziale, la punteggiatura esorta alla fede, anche questo serve a raccontare un paese ingabbiato nelle maglie dell’ideologia. E bisognerà attendere la tragica fine del secondo conflitto mondiale per ritrovare racconti di un paese più reale, purtroppo sepolto dalle macerie.

Della Germania post-bellica abbiamo memoria per le tante foto ingiallite che ritraggono città distrutte, scomparse sotto cumuli di detriti. Il giornalista (e scrittore e pittore) Virgilio Lilli si aggira per conto del Corriere della Sera, alla fine degli anni Quaranta, in una Colonia spettrale che ritrae nel suo libro di viaggi Penna vagabonda (1952): “Colonia quando ci arrivai era la regina delle città fracassate dalla guerra. Io ho visto Hiroshima, ho vissuto fra le rovine di Hiroshima un mese. Ebbene, al paragone di Colonia, Hiroshima era una città intatta. Povera Colonia!”. Dal ritmo marziale di Mandillo si passa alla crudezza neorealista di Lilli: “Di salvo, a Colonia, non c’era che il fiume, il Reno. Ma la sola acqua, intendiamoci. I ponti erano spezzati in due o come strappati a morsi, gli argini, le rive, i lungofiumi apparivano maciullati. La città era una prateria di mozziconi di case, una aratura di detriti, un marasma di rottami. Povera Colonia!”. E ancora: “La rovina di Colonia aveva perfino una sua opulenza, tanto era ricca. Dire sfasciata è niente; dire smascellata è niente; dire sventrata è niente; flagellata, massacrata, macellata, niente, niente. C’è una sola parola tedesca, dura come un colpo di cannone o di mazza: Kaput. Solo a Colonia si poteva capire il significato di questo massiccio e cupo vocabolo: Kaput. Povera Colonia!”.

 

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