Lui è la star incontrastata, un batuffolo bianco abbandonato dalla
madre e salvato da Thomas Dörflein,
il padre adottivo, umano, con una barba scura scura. Lui è
Knut, l’orsetto dello zoo di Berlino che ha conquistato il cuore di
piccoli e grandi e le prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
Una vera e propria macchina da soldi, che ha rivitalizzato le casse
dello Zoologischer Garten berlinese e riempito di gadget i negozi di
souvenir cittadini: i peluches originali della rinomata fabbrica
Steiff, quella con il bottone nell’orecchio e le migliaia di
repliche a poco prezzo delle bancarelle, i filmati in dvd in cui si
segue giorno per giorno la crescita del nostro eroe, i numeri
speciali delle riviste fotografiche, una sorta di fotoromanzo in
bianco. Fino ai libri disegnati dall’olandese Hans de Beer, Der
kleine Eisbär, appunto la saga di un orsetto bianco pre-Knut che
ovviamente ha saputo raccogliere l’onda della nuova passione.
Lui è lì, nel recinto dello
zoo, sbirciato, osservato, osannato da centinaia di fan al
giorno che attendono composti ma trepidanti che si conceda
per la passeggiata quotidiana, un po’ più fugace da quando
ha preso a fare un gran caldo. Knut cresce, da qualche
giorno ha superato i sei mesi d’età, ma cresce lentamente,
perché l’alimentazione artificiale lo ha salvato dalla morte
ma lo ha reso un po’ gracilino. Anche il suo papà, Thomas,
ha dovuto saggiare gli onori e gli oneri della fama, è
diventato suo malgrado un personaggio, fotografato,
intervistato, inseguito per il piacere dei lettori e dei
telespettatori che fanno salire vendite e audience ogni qual
volta che uno dei protagonisti della saga di Knut si
confessa al pubblico.
Lui resta lì, star
incontrastata e vincente. Ogni tanto si presenta qualche
sfidante, qualche pretendente al trono. I pubblicitari
provano a replicare il successo di Knut e a fare degli zoo
berlinesi una sorta di fattoria degli animali che attira
turisti e consumatori di emozioni e gadget. Ma la favola non
si ripete, a testimonianza che il merchandising può
sfruttare il successo e amplificarlo, non crearlo. Prima ci
ha provato lo Zoologischer Garten con un cucciolo di
leopardo. Lanciato in pista come l’anti-Knut, ha trascorso
le giornate della sfida triste e solo, senza un solo bambino
che lo degnasse di uno sguardo. Poi è stata la volta
dell’elefantino senza nome, nato nello zoo concorrente di
Tierpark, a Friedrichsfelde, nell’Est.
Una sfida
sul filo del passato, Knut contro l’elefante, il Nord artico
contro il Sud africano, ricchi contro poveri, Ovest contro
Est. E’ finita come diciotto anni fa, ha vinto Knut e i
berlinesi dell’Est si sono dovuti accontentare delle
briciole. Ora è la volta di un piccolo ippopotamo, nato
ancora una volta allo Zoologischer Garten, lo stesso di
Knut. Difficilmente riuscirà a scalzare l’orsetto bianco. Ma
è un dato di fatto che la fertilità degli zoo berlinesi è la
migliore testimonianza della cura con cui si tengono i
giardini zoologici.
(c)
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