Due posti di
responsabilità a due uomini di esperienza: Claude Guéant, 61 anni,
segretario generale dell’Eliseo; Jean David Levitte, 60 anni,
consigliere diplomatico. Per il resto, la squadra che affiancherà
Nicolas Sarkozy nella sua avventura presidenziale è fatta di giovani
certezze. Emmanuelle Mignon, 39 anni, direttrice del gabinetto:
studi all’Ena, grandi capacità di analisi e relazioni, direttrice
del centro studi dell’Ump, un contatto diretto con il nuovo primo
ministro Fillon. David Martinon, 36 anni, portavoce dell’Eliseo: è
consigliere diplomatico e ha guidato il gruppo di lavoro che ha
seguito Sarkozy in campagna elettorale, un passato di commis d’Etat
che ha lavorato con successo anche sotto i socialisti, propugnatore
di una politica estera filo-atlantica. Henri Guaino, 50 anni,
consigliere speciale: è l’uomo ombra del presidente, il consigliere
più amato, un outsider figlio di una donna delle pulizie che s’è
fatto da sé (laurea in scienze politiche), soprattutto snobbando
l’Ena. Georges-Marc Benamou, 50 anni, consigliere culturale:
giornalista nato in Algeria, editorialista, memorialista di François
Mitterrand (da un suo libro il film “Passeggiate al Campo di
Marte”), è stato direttore del mensile Globe e del settimanale
L’Evénement, polemista TV frequenta regolarmente la trasmissione
“Non abbiamo paura delle parole”. Un altro astro nascente
dell’entourage sarkoziano, Laurent Solly, 36 anni, capo di gabinetto
al ministero dell’Interno. è stato nominato all’interno del gruppo
industriale Bouygues, il colosso francese di costruzioni e mass
media, che spazia dalla telefonia mobile alla TV. E’ in corsa per la
direzione di Tf1, la TV di proprietà del gruppo Bouygues.
Uno staff giovane che affianca
un presidente cinquantaduenne offre l’immagine del cambio di
generazione avvenuto a Parigi. Uno studio certifica che
negli ultimi anni la classe dirigente europea ha subito un
ringiovanimento medio di dieci anni. Da Parigi a Berlino, la
musica non cambia. Anche in un paese “anziano” come la
Germania, fatevi un giro dalle parti dell’Adenauer Stiftung,
la fondazione politica legata ai conservatori della Cdu. Ai
colloqui con i responsabili dei diversi dipartimenti si
presenteranno una serie di giovanotti tra i trenta e i
quarant’anni che guidano i gruppi di teste d’uovo che
forniscono idee e strategie ad Angela Merkel. E se dalla Cdu
fate due passi fino alle fondazioni degli altri partiti, dai
liberali ai verdi, dai socialdemocratici alla Linke,
troverete altri giovani che stanno misurando sul terreno del
confronto ideale e politico le loro ambizioni future.
In Italia,
la politica presenta la faccia più vecchia dell’Europa. Sono
considerate giovani promesse facce che erano già grandicelle
quando quelli della mia generazione si affacciavano per la
prima volta nelle aule universitarie. Giovani-vecchi che
prenderanno in mano le leve del potere quando i loro
coetanei saranno ormai già da tempo in pensione. E dopo?
Dove sono e cosa fanno i giovani che si avvicinano alla
politica? Il problema è anche questo. Perché, con il tipo di
selezione della nuova classe dirigente che i partiti stanno
facendo, non è detto che il cambio generazionale sarà
benefico, se e quando avverrà. Poco spazio per i giovani nei
partiti e nelle strutture che li affiancano. Al confronto e
allo scontro, si preferisce l’unanimismo. Allo spirito
critico, il conformismo. All’eccentricità, la cieca
obbedienza. Con il rischio di uscire allo scoperto magari
giovani fuori ma già troppo vecchi dentro. Con il cambio
della guardia all’Eliseo, l’Europa si allontana, sempre di
più.
(c)
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