Viaggiatori italiani in Germania / 1 - I barbari di Tacito
di Pierluigi Mennitti
[16 lug 07]


“Ich finde in diesem Volk die lebhafteste und geistreichste Industrie, nicht um reich zu werden, sondern um sorgenfrei zu leben“. E ancora: “Anche a me qui sembra di essere un altro. Dunque le cose sono due: o ero pazzo prima di giungere qui, oppure lo sono adesso”. Queste due frasi appartengono alla penna di Wolfgang Goethe, che riportava con trasporto le sue impressioni del viaggio napoletano. Tanto si era integrato nella realtà partenopea di fine Settecento, che il grande scrittore tedesco confessava questa osmosi assoluta con il modo di vivere e le passioni degli abitanti locali: e riconosceva di essere un altro, forse un po’ pazzo. Il viaggio rappresenta uno dei modi più affascinanti per entrare in contatto con un popolo, la sua terra, i suoi costumi, la sua storia. Che ci si metta in marcia per piacere, per cultura, per turismo o per affari, il viaggio resta il modo migliore per conoscere l’altro, comprenderne i modi di vivere, misurarne le passioni e le speranze, i pensieri e le paure. Il viaggio aiuta a capire meglio le realtà lontane e a superare i pregiudizi che inevitabilmente si formano a distanza, cristallizzandosi in una visione del mondo chiusa e provinciale.

Italia e Germania hanno sviluppato nel corso della loro storia relazioni intense e di ogni tipo ma il legame rafforzatosi attraverso i viaggi, e i racconti che ne sono seguiti, è stato indagato soprattutto in una direzione, quella dei grandi viaggiatori tedeschi, magari proprio sull’onda del Viaggio in Italia di Wolfgang Goethe, inscritto nella moda del Gran Tour, il viaggio d’istruzione e di formazione che la borghesia illuminista, europea e poi americana del Settecento e dell’Ottocento, faceva compiere ai propri figli come completamento necessario della loro educazione. L’Italia era la meta preferita, per il suo vasto patrimonio artistico, per il fascino delle sue città d’arte e per la magia selvaggia che suscitava il Mezzogiorno assolato, capace di smussare e addolcire i rigidi precetti assorbiti nelle austere aule universitarie: adattandosi all’uso di mondo, i giovani europei e americani destinati alle carriere politiche, artistiche o militari ampliavano così i propri orizzonti e assorbivano quella mentalità cosmopolita che i tempi nuovi richiedevano. Con ritardo di mezzo secolo rispetto all’Europa più benestante, anche gli italiani hanno però iniziato a viaggiare e a compiere il loro viaggio di formazione invertendo la rotta tradizionale Nord-Sud e riscoprendo le antiche virtù di esploratori che nei secoli precedenti li avevano resi famosi. Molti di loro hanno incontrato la Germania nelle loro rotte, fornendoci un ritratto del paese fissato in diverse epoche storiche. In questo breve saggio sfoglieremo dunque i racconti di viaggio degli italiani che si sono avventurati in Germania, a partire dagli ultimi anni del Diciannovesimo secolo. Sarà necessariamente un percorso letterario parziale che lascerà in ombra molti nomi e molti resoconti. L’augurio è che questo articolo stimoli ulteriori ricerche e curiosità. Ma ora, mettiamoci in viaggio.

L’Italia (o la sua antenata latina) può d’altronde vantare una primogenitura in fatto di reportage di viaggio: lo storico Cornelio Tacito scrisse intorno all’anno 98 d.C. l’opera etnografica Germania, racconto ineguagliabile degli usi e costumi nella Germania antica che ribaltò i pregiudizi dei romani sui cosiddetti “barbari”, esaltandone al contrario le virtù di lealtà, solidità, dirittura morale che già a quei tempi caratterizzava questi uomini dagli «occhi arroganti e azzurri, dalle chiome fulve, dai corpi alti e muscolosi”. Prendiamo dalla traduzione fatta nel primo Novecento dal poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti (non a caso un intellettuale affascinato dalla modernità di Berlino), uno spaccato della società teutonica del primo secolo che, pur nella distanza dei costumi del tempo, anticipa alcune virtù che troveremo anche nei secoli successivi: «Là i matrimoni sono severi, né potresti lodare maggiormente nessun altro loro costume. Infatti, quasi soli fra i barbari, si contentano di un’unica moglie, salvo pochissimi, che non per libidine ma per gloria nobiliare, vengono ricercati per più nozze. Non la moglie offre la dote al marito, ma il marito alla moglie. Vi partecipano i genitori e i parenti, i quali esaminano i doni, doni non scelti per le delicatezze femminili e per la capigliatura della sposa novella, ma buoi, un cavallo col freno, uno scudo, una framea e una spada”. E alzi la mano chi non ha mai ricevuto da un amico tedesco, magari come regalo di Natale, un dono utile ad affrontare qualche accidente della vita: una torcia per le emergenze o un trapano per i lavori domestici, piuttosto che un oggetto futile, magari voluttuario.

 

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