“Ich
finde in diesem Volk die lebhafteste und geistreichste Industrie,
nicht um reich zu werden, sondern um sorgenfrei zu leben“.
E ancora:
“Anche a me qui sembra di essere un altro. Dunque le cose sono due:
o ero pazzo prima di giungere qui, oppure lo sono adesso”. Queste
due frasi appartengono alla penna di Wolfgang Goethe, che riportava
con trasporto le sue impressioni del viaggio napoletano. Tanto si
era integrato nella realtà partenopea di fine Settecento, che il
grande scrittore tedesco confessava questa osmosi assoluta con il
modo di vivere e le passioni degli abitanti locali: e riconosceva di
essere un altro, forse un po’ pazzo. Il viaggio rappresenta uno dei
modi più affascinanti per entrare in contatto con un popolo, la sua
terra, i suoi costumi, la sua storia. Che ci si metta in marcia per
piacere, per cultura, per turismo o per affari, il viaggio resta il
modo migliore per conoscere l’altro, comprenderne i modi di vivere,
misurarne le passioni e le speranze, i pensieri e le paure. Il
viaggio aiuta a capire meglio le realtà lontane e a superare i
pregiudizi che inevitabilmente si formano a distanza,
cristallizzandosi in una visione del mondo chiusa e provinciale.
Italia
e Germania hanno sviluppato nel corso della loro storia
relazioni intense e di ogni tipo ma il legame rafforzatosi
attraverso i viaggi, e i racconti che ne sono seguiti, è
stato indagato soprattutto in una direzione, quella dei
grandi viaggiatori tedeschi, magari proprio sull’onda del
Viaggio in Italia di Wolfgang Goethe, inscritto nella moda
del Gran Tour, il viaggio d’istruzione e di formazione che
la borghesia illuminista, europea e poi americana del
Settecento e dell’Ottocento, faceva compiere ai propri figli
come completamento necessario della loro educazione.
L’Italia era la meta preferita, per il suo vasto patrimonio
artistico, per il fascino delle sue città d’arte e per la
magia selvaggia che suscitava il Mezzogiorno assolato,
capace di smussare e addolcire i rigidi precetti assorbiti
nelle austere aule universitarie: adattandosi all’uso di
mondo, i giovani europei e americani destinati alle carriere
politiche, artistiche o militari ampliavano così i propri
orizzonti e assorbivano quella mentalità cosmopolita che i
tempi nuovi richiedevano. Con ritardo di mezzo secolo
rispetto all’Europa più benestante, anche gli italiani hanno
però iniziato a viaggiare e a compiere il loro viaggio di
formazione invertendo la rotta tradizionale Nord-Sud e
riscoprendo le antiche virtù di esploratori che nei secoli
precedenti li avevano resi famosi. Molti di loro hanno
incontrato la Germania nelle loro rotte, fornendoci un
ritratto del paese fissato in diverse epoche storiche. In
questo breve saggio sfoglieremo dunque i racconti di viaggio
degli italiani che si sono avventurati in Germania, a
partire dagli ultimi anni del Diciannovesimo secolo. Sarà
necessariamente un percorso letterario parziale che lascerà
in ombra molti nomi e molti resoconti. L’augurio è che
questo articolo stimoli ulteriori ricerche e curiosità. Ma
ora, mettiamoci in viaggio.
L’Italia (o la sua antenata latina) può d’altronde vantare
una primogenitura in fatto di reportage di viaggio: lo
storico Cornelio Tacito scrisse intorno all’anno 98 d.C.
l’opera etnografica Germania, racconto ineguagliabile
degli usi e costumi nella Germania antica che ribaltò i
pregiudizi dei romani sui cosiddetti “barbari”, esaltandone
al contrario le virtù di lealtà, solidità, dirittura morale
che già a quei tempi caratterizzava questi uomini dagli
«occhi arroganti e azzurri, dalle chiome fulve, dai corpi
alti e muscolosi”. Prendiamo dalla traduzione fatta nel
primo Novecento dal poeta futurista Filippo Tommaso
Marinetti (non a caso un intellettuale affascinato dalla
modernità di Berlino), uno spaccato della società teutonica
del primo secolo che, pur nella distanza dei costumi del
tempo, anticipa alcune virtù che troveremo anche nei secoli
successivi: «Là i matrimoni sono severi, né potresti lodare
maggiormente nessun altro loro costume. Infatti, quasi soli
fra i barbari, si contentano di un’unica moglie, salvo
pochissimi, che non per libidine ma per gloria nobiliare,
vengono ricercati per più nozze. Non la moglie offre la dote
al marito, ma il marito alla moglie. Vi partecipano i
genitori e i parenti, i quali esaminano i doni, doni non
scelti per le delicatezze femminili e per la capigliatura
della sposa novella, ma buoi, un cavallo col freno, uno
scudo, una framea e una spada”. E alzi la mano chi non ha
mai ricevuto da un amico tedesco, magari come regalo di
Natale, un dono utile ad affrontare qualche accidente della
vita: una torcia per le emergenze o un trapano per i lavori
domestici, piuttosto che un oggetto futile, magari
voluttuario.
Per scrivere ad Alexanderplatz: pmennitti@hotmail.com
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