Sabato scorso è stato il giorno dell’inaugurazione. E come tutte le
“premiere”, festoni, palloncini, discorsi ufficiali e champagne (in
questo caso anche un po’ di sekt) fanno da contorno ai primi cigolii
sulle rotaie. Se non fossimo all’inizio del Ventunesimo secolo,
nell’era dei voli low cost che trasferiscono migliaia di persone al
giorno da un capo all’altro dell’Europa in poche ore, potremmo anche
immaginare le locomotive che sbuffano, lasciando le stazioni di
partenza, portandosi appresso il sogno del progresso e
dell’avvenire. E infatti di binari si tratta, di stazioni
ferroviarie, non di aeroporti e aereoplani. Ma, anche se il ricordo
di foto ingiallite richiama (e riconnette) al passato, sempre di
futuro si tratta, anzi di presente: e non di treni a vapore ma di
velocissimi treni ad alta velocità.
Da oggi il cuore dell’Europa è
ancora più irrorato. Di uomini, di merci, di idee che
viaggiano a tempo ridotto tra Parigi e Stoccarda e tra
Francoforte e Parigi. Ci sono voluti anni e dibattiti per
mettere d’accordo gli orgogli e i budget di due grandi
nazioni come la Francia e la Germania ma alla fine il
compromesso è stato trovato. È costato 3,6 miliardi di euro,
di cui 3 solo per la costruzione di nuove linee, il resto
per l’ammodernamento di quelle esistenti. Da Parigi a
Stoccarda (e viceversa) viaggia il Tgv francese, tre ore e
mezzo di sferragliamento sulla linea diritta come un
elastico tirato. Da Francoforte a Parigi (e viceversa)
viaggia l’Ice, la corrispondente versione tedesca, il treno
bianco con le strisce rosse: ci mette quattro ore ma il
percorso è un po’ più lungo. Tutti contenti e tutti più
vicini. La Vecchia Europa s’è messa due by-pass, non ha
voglia di invecchiare, di perdere la sfida con il domani e
si dota di una rete continentale in grado di competere con
quella aerea.
Questa rete continentale si
ferma alle Alpi. L’Italia ne resta fuori. Per mancanza di
lungimiranza e progettazione. Per la complessità delle
procedure burocratiche. Per la difficoltà di comporre
diversi interessi. E, soprattutto, perché questo modello di
sviluppo rapido viene contestato da una buona parte della
politica, quei partiti dell’estrema sinistra che tanto
contano nel governo di oggi e nell’opposizione di ieri. Si
dice che i costi non valgono la pena. Che è inutile fare in
tre ore quello che si può fare in cinque. Che è sbagliato
concentrare soldi e risorse su grandi progetti per lunghi
percorsi e invece bisogna pensare ai percorsi brevi e di
provincia dei pendolari. Un po’ di passatismo e un po’ di
demagogia mentre le battaglie ambientaliste, che in Val di
Susa bloccano una delle poche tratte che ci farebbe superare
la barriera naturale delle Alpi e allacciare al network
europeo, mirano più al blocco definitivo del progetto che
alla ricerca di soluzioni condivise.
Così quell’Europa che con
tanta compiacenza abbiamo raccontato stanca e affaticata,
s’è messa a correre di nuovo. Anche sul treno, che è stato
riscoperto come mezzo di trasporto paradossalmente anche
perché più ecologico. Ma il treno veloce s’è fermato a
Stoccarda. O a Lione. O a Barcellona e Madrid. E allunga le
sue mire verso il nuovo Est, la Polonia, il Baltico, la
Mitteleuropa dove si stanno costruendo oggi le nuove linee
che aggiungeranno nuovi by-pass domani. Linee che rischiano
di non passare dall’Italia: e questa volta a restare
tagliati fuori non saremo solo da Eboli in giù.
(c)
Ideazione.com (2006)
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