La storia bella dell'immigrazione
di Pierluigi Mennitti
[06 lug 07]


Ieri l’Istat ha comunicato che gli italiani sono diventati di più. Gli abitanti hanno superato la cifra di 59 milioni. E questo grazie agli immigrati, i nuovi cittadini che si stanno integrando nel nostro paese, portando la loro voglia di lavorare, le loro famiglie e anche i loro costumi e le loro abitudini, che integrano e arricchiscono le nostre. Qui a Ideazione, una delle caratteristiche della rivista fin dalla sua origine nel 1994, è stata quella di avere un approccio positivo al tema dell’immigrazione. In questo abbiamo mantenuto un’ispirazione liberale, apertura dei confini e mescolanza delle genti, meticciato verrebbe da dire, per parafrasare una sfortunata uscita politica di qualche tempo fa. Pur sapendo che questa apertura non è priva di problemi, contrasti, anche rischi. Non siamo sordi verso le esperienze conflittuali di quei paesi che hanno vissuto questi processi prima di noi e siamo ben consci di non poter trattare questi temi con lo sguardo spensierato dell’idealismo. Ma abbiamo sempre scacciato come un fastidio insopportabile i rigurgiti di disprezzo verso l’altro, le facili scorciatoie che portano alla creazione di capri espiatori. Specie quando tali scorciatoie sono percorse da politici che fanno riferimento all’area nella quale anche Ideazione si riconosce. 

Il razzismo, perché in fondo di questo si tratta, non ha mai trovato casa qui da noi. Speriamo in una buona integrazione e crediamo che questa stia avvenendo in Italia, nonostante tutto. Nonostante, ad esempio, la scarsità di risorse e idee che vengono destinate a questo tipo di politiche. In Germania, da dove scriviamo questa rubrica, ben altro è stato l’impegno dello Stato in tal senso. Fin da quando, per citare un libro di successo di qualche anno fa, “gli albanesi eravamo noi”. Arrivavamo a frotte, negli anni Cinquanta, con i treni della speranza e le famose valige di cartone, per affrontare una nuova vita in una terra difficile e straniera. Fu proprio per venire incontro alle necessità della comunità italiana che, negli anni Cinquanta, la Bundesrepublik varò un primo piano di sostegno per i lavoratori stranieri. Eravamo i “Gastarbeiter”, i lavoratori ospiti. Abbiamo lavorato e poi in gran parte siamo rimasti, crescendo qui i nostri figli in un’Europa che si faceva più stretta e in una Germania che lentamente diventava anche un po’ più italiana. 

Le immagini più recenti legate all’immigrazione tendono a fornirci storie più drammatiche. Il terrorismo fa di ogni arabo un nemico, la fame crea l’odissea dei boat-people dall’Africa così come la povertà alimentava il commercio infame degli scafisti italiani e albanesi, da Durazzo alle coste della Puglia. Poi, con la crescita economica dell’Albania, innescata anche dalle rimesse degli albanesi che lavoravano in Italia, quel fiume di disperati s’è prosciugato, fino ad estinguersi completamente. Nelle nostre città, i figli della prima generazione di albanesi parlano la nostra lingua, appresa non più sugli schermi televisivi ma nelle nostre scuole, a contatto con la realtà vera dell’Italia e non con la sua controfigura caramellata. Molti di loro, come tanti rumeni, marocchini, bosniaci, tunisini, bulgari lavorano nelle piccole e medie aziende del Nordest, che sono di fatto la versione moderna del piano statale tedesco. Gli studi di settore rivelano che proprio questa macro-regione registra il livello di integrazione migliore. Non si capisce, dunque, di cosa parli la Lega. A volte è anche questione di quel che si vuol tirare fuori da un fenomeno: e come sempre le notizie peggiori fanno più audience di quelle migliori. Stavolta, invece, quelle migliori fanno almeno numero: c’è gente che pensa sia bello vivere in Italia. Siamo diventati di più e lo dobbiamo a loro.

Per scrivere ad Alexanderplatz: pmennitti@hotmail.com

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