Ieri
l’Istat ha comunicato che gli italiani sono diventati di più. Gli
abitanti hanno superato la cifra di 59 milioni. E questo grazie agli
immigrati, i nuovi cittadini che si stanno integrando nel nostro
paese, portando la loro voglia di lavorare, le loro famiglie e anche
i loro costumi e le loro abitudini, che integrano e arricchiscono le
nostre. Qui a Ideazione, una delle caratteristiche della rivista fin
dalla sua origine nel 1994, è stata quella di avere un approccio
positivo al tema dell’immigrazione. In questo abbiamo mantenuto
un’ispirazione liberale, apertura dei confini e mescolanza delle
genti, meticciato verrebbe da dire, per parafrasare una sfortunata
uscita politica di qualche tempo fa. Pur sapendo che questa apertura
non è priva di problemi, contrasti, anche rischi. Non siamo sordi
verso le esperienze conflittuali di quei paesi che hanno vissuto
questi processi prima di noi e siamo ben consci di non poter
trattare questi temi con lo sguardo spensierato dell’idealismo. Ma
abbiamo sempre scacciato come un fastidio insopportabile i rigurgiti
di disprezzo verso l’altro, le facili scorciatoie che portano alla
creazione di capri espiatori. Specie quando tali scorciatoie sono
percorse da politici che fanno riferimento all’area nella quale
anche Ideazione si riconosce.
Il
razzismo, perché in fondo di questo si tratta, non ha mai
trovato casa qui da noi. Speriamo in una buona integrazione
e crediamo che questa stia avvenendo in Italia, nonostante
tutto. Nonostante, ad esempio, la scarsità di risorse e idee
che vengono destinate a questo tipo di politiche. In
Germania, da dove scriviamo questa rubrica, ben altro è
stato l’impegno dello Stato in tal senso. Fin da quando, per
citare un libro di successo di qualche anno fa, “gli
albanesi eravamo noi”. Arrivavamo a frotte, negli anni
Cinquanta, con i treni della speranza e le famose valige di
cartone, per affrontare una nuova vita in una terra
difficile e straniera. Fu proprio per venire incontro alle
necessità della comunità italiana che, negli anni Cinquanta,
la Bundesrepublik varò un primo piano di sostegno per i
lavoratori stranieri. Eravamo i “Gastarbeiter”, i lavoratori
ospiti. Abbiamo lavorato e poi in gran parte siamo rimasti,
crescendo qui i nostri figli in un’Europa che si faceva più
stretta e in una Germania che lentamente diventava anche un
po’ più italiana.
Le
immagini più recenti legate all’immigrazione tendono a
fornirci storie più drammatiche. Il terrorismo fa di ogni
arabo un nemico, la fame crea l’odissea dei boat-people
dall’Africa così come la povertà alimentava il commercio
infame degli scafisti italiani e albanesi, da Durazzo alle
coste della Puglia. Poi, con la crescita economica
dell’Albania, innescata anche dalle rimesse degli albanesi
che lavoravano in Italia, quel fiume di disperati s’è
prosciugato, fino ad estinguersi completamente. Nelle nostre
città, i figli della prima generazione di albanesi parlano
la nostra lingua, appresa non più sugli schermi televisivi
ma nelle nostre scuole, a contatto con la realtà vera
dell’Italia e non con la sua controfigura caramellata. Molti
di loro, come tanti rumeni, marocchini, bosniaci, tunisini,
bulgari lavorano nelle piccole e medie aziende del Nordest,
che sono di fatto la versione moderna del piano statale
tedesco. Gli studi di settore rivelano che proprio questa
macro-regione registra il livello di integrazione migliore.
Non si capisce, dunque, di cosa parli la Lega. A volte è
anche questione di quel che si vuol tirare fuori da un
fenomeno: e come sempre le notizie peggiori fanno più
audience di quelle migliori. Stavolta, invece, quelle
migliori fanno almeno numero: c’è gente che pensa sia bello
vivere in Italia. Siamo diventati di più e lo dobbiamo a
loro.
Per scrivere ad Alexanderplatz: pmennitti@hotmail.com
(c)
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