L'Italia
dei Comuni
alla base del
nuovo federalismo
di
Giuliana Olcese
Anche
in previsione della ripresa alla Camera dei deputati della discussione del
nuovo testo sul federalismo, che poi dovrà tornare al Senato, la revisione
in corso della seconda parte della Costituzione impone di affrontare il
fondamentale tema della “forma di Stato”. Il nodo cruciale, in corso di
dibattito, è: si vuole un “regionalismo forte”, impropriamente chiamato
federalismo? Oppure un federalismo autentico, in cui la centralità
appartenga al cittadino e alla istituzione a lui più vicina: il Comune?
L’Italia dei Comuni ha una tradizione storica profonda ed è su questa
radice che va costruito il federalismo. Il Comune è la culla della
democrazia. E’ qui che il cittadino sente il rapporto diretto con le sue
istituzioni, (vedi la legge in vigore dell’elezione diretta dei Sindaci,
unica riforma istituzionale varata finora che ha dato risultati di governi
stabili) ed è qui che il cittadino deve percepire lo Stato come garante che
tutti tutela, come domus spirituale. Il centralismo nazionale e regionale,
al contrario, è vissuto dalle cittadinanze come strumento di persecuzione e
oppressione: dalla burocrazia, che taglia le gambe e scoraggia le iniziative
private (da cui la improrogabilità dell’istituzione e introduzione del
principio di sussidiarietà) al cattivo funzionamento delle strutture
pubbliche di cui risparmiamo al lettore, che ne ha esperienza diretta, il
lungo e amaro rosario.
La
burocrazia, quintessenza del centralismo e del potere di governo piramidale,
ingessato, e non circolare come lo si vorrebbe, è un Moloch impietoso che
tutti schiaccia con la sua lentezza ed inefficienza. E’ per questo che il
federalismo a base municipale, nel rispetto del principio della sussidiarietà,
può rifondare, ricreare, uno Stato moderno e funzionale. A misura del
cittadino, dell’utente. La vicinanza fisica, l’accessibilità
all’amministrazione pubblica consente trasparenza, permette al
contribuente di conoscere la destinazione dei suoi soldi e di pretendere
servizi migliori in cambio delle tasse che paga. Vedi il secondo principio
da introdurre in Costituzituzione: il federalismo fiscale. Le Regioni hanno
decretato il loro fallimento, con il diventare centri di potere e di spesa
pubblica incontrollata. La loro funzione dovrebbe consistere in un
coordinamento legislativo e di programmazione del territorio: non di
competenza amministrativa. Occorre riequilibrare questa mastodontica
struttura nemica della libertà del cittadino, dello sviluppo economico, del
consenso allo Stato che, però, deve ricrearsi ma con un coraggioso cambio
delle regole, del rapporto tra istituzioni, centrali e periferiche, tra loro
e tra queste e il cittadino sempre più disamorato alla partecipazione,
salutare per la politica, alla res publica, alla costruzione comune del bene
pubblico.
Va
tenuto anche conto che attribuire maggiori poteri alle Regioni significa
dare maggiori strumenti che possono facilitare eventuali spinte centrifughe,
come la secessione o, dato il termine caduto in disuso, generare fenomeni
similari, in quelle vaste e produttivissime aree del Nordest e del Nordovest
che, pur se ora “sonnecchianti” come le ha definite ultimamente, sul
Sole24Ore e Gazzettino, il sociologo ed esperto di federalismo Ilvo
Diamanti, tengono comunque aperto costantemente un "laboratorio"
di ricerca, di protesta, ma comunque programmatico, da tenere ben presente e
da non sottovalutare nonostante il momentaneo “letargo”. Fondamentale è
anche l'aspetto cooperativo del federalismo come misura di promozione, tra
economie differenti, di uno sviluppo equilibrato e armonico di tutto il
Paese. Siamo convinti che i Sindaci d'Italia possono essere, con ancora
forte credibilità, il motore necessario, riconoscibile, funzionante, di
questo processo in ritardo, rispetto al salto di qualità che ha fatto la
società reale, ma unico anello-ponte operativo e punto di riferimento,
valido e popolare, funzionante di cui oggi disponiamo.
coalizione@iol.it
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