Un
Papa amuleto
nel labirinto
del Medio Oriente
di
Vittorio Mathieu
Tutti
si avvicinano al Papa, quasi cercano di toccarlo, come se fosse un amuleto,
non importa a quale confessione religiosa appartengano. E si spiega. Per un
re, il Papa è un sovrano assoluto: senza un regno, ma senza congiure
ufficiali di palazzo. Per un presidente della Repubblica è un capo dello
Stato elettivo, la cui carica dura per tutta la vita. Per un patriarca è la
guida di una Chiesa che si professa di istituzione divina e rivendica una
giurisdizione universale. Per un semplice fedele, il Papa è un uomo
ammirato, ascoltato da tutti, venerato da molti, assalito con le armi solo
da qualche squilibrato.
Al
posto del Papa, mi fiderei solo di quest’ultima categoria di persone. E,
senza pretendere di entrare nella sua mente, credo che anche lui la pensi
così. Chi ha una carica, o una funzione ufficiale (o anche soltanto suppone
di averla), nell’avvicinarsi al Papa è interessato. Ne trae prestigio. Se
anche lo attaccasse ne trarrebbe notorietà, ma se lo esalta viene
applaudito. Il semplice fedele, dall’accostarsi al Papa, trae solo qualche
consolazione. In una terra politicamente sismica come il medio Oriente, non
si può neppur dire, credo, qualche speranza. Giovanni Paolo II spera
tuttavia di infonderla anche lì, la sua (peraltro pessimistica) speranza;
ma è impossibile che non si renda conto delle difficoltà. Appunto perché
affascina tutti, la Palestina non può soddisfare nessuno, comunque si
supponga di sistemarla politicamente e religiosamente. Non si tratta solo di
dare spazio ai fedeli di tre religioni: si tratta di far convivere i seguaci
di innumerevoli correnti, chiese o chiesette particolari. Eppure progressi
se ne potranno fare, qualora la religione sia lasciata alle coscienze, e la
politica migliori le condizioni materiali di vita per tutte le etnie. Da
questo punto di vista, un Israele alieno dai fanatismi può essere di aiuto
anche ai non israeliani.
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