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  POLITICA: VOTA ANTONIO, VOTA ANTONIO

Il grande freddo.
La politica
non interessa più

di Alessandro Bezzi

Il 27 marzo “la Repubblica” ha lanciato l’allarme: la politica non tira più. Le ultime trasformazioni sociali esprimono una situazione per la quale la politica e la società appaiono del tutto separate. “La prima – scrive nel fondo Paul Ginsborg – non conosce l’altra, non ne capisce più le tendenze di fondo, la guarda (se la guarda) a volte con stupore e altre con paura. Nulla qui è garantito, come lo era una volta”. Due gli aspetti interessanti dell’analisi. Il primo riguarda il declino della partecipazione e della militanza nei tradizionali bacini “rossi” della penisola. Il secondo è che non si tratta di considerazioni moralistiche ma del risultato di una dettagliata ricerca “sul campo”. L’articolo del quotidiano di piazza Indipendenza fa infatti riferimento ad una recente ricerca – “Un’Italia minore. Famiglia, istruzione e tradizioni civiche in Valdelsa”, edita da Giunti – elaborata da un gruppo di studiosi, tra i quali il sociologo Francesco Ramella. “Ciò che risulta più sconcertante – rileva Gingsborg a proposito di questi dati – è la crescita di un un significativo gruppo sociale, oltre un terzo della popolazione: quello che li caratterizza è la loro distanza da qualsiasi forma di nuovo o vecchio associazionismo locale, e anche da tutte le istituzioni nazionali. Non si sentono più rappresentati da nessuno”. E qual è il loro stile di vita? “Guardano molto la televisione (sei ore al giorno durante il week end), vanno pochissimo in chiesa – il 43 per cento del gruppo rifiuta di definirsi, anche solo genericamente, cattolico – consumano molto e sono fortemente individualisti”.

Si tratta di rilevamenti che fanno il paio con i risultati di precisi sondaggi, diffusi qualche settimana fa, secondo i quali soltanto il 15 per cento dei lettori di un quotidiano legge le pagine dedicate alla politica. Insomma: l’astensionismo delle ultime tornate elettorali non è soltanto il sintomo di un sistema istituzionale bloccato o di una mancata legge elettorale, ma è l’espressione più evidente dello scarso “appeal” della politica nei confronti degli individui reali. E non è un caso che le uniche occasioni – patologiche o, forse, sintomatologiche? – di interesse alla dimensione del politico siano legate a toni e temi più o meno larvatamente populisti. Il “diffuso scetticismo” verso la sfera pubblica e verso gli appuntamenti elettorali non è soltanto qualunquismo. Ma è anche il segnale del fatto che la politica deve forse adeguarsi alla società (e non viceversa). E che se la vecchia militanza non può più essere tenuta in vita con operazioni di cosmesi, occorre ripensare categorie e forme di una possibile nuova partecipazione politica.

Nella scena che abbiamo di fronte, nonostante i tanti manifesti e i faccioni sui muri, i “vota Antonio, vota Antonio” e i talk show televisivi, l’impressione generale è spesso solo quella di un teatrino, dove le parti e i partiti appaiono poco più che postazioni tattiche, prive di fondamento e di forza rappresentativa. E la soluzione non può certo stare nell’ingegneria costituzionale o nelle neo-giacobine utopie istituzionaliste, come se un sistema elettorale avesse in sé la forza di creare una politica. E’ il caso di pensarci in questo clima di fredda campagna elettorale.

 

L’ARTICOLO
DI GINSBORG

(dalla Repubblica
del 27 marzo)

www.repubblica.it/
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RAPPORTO
EURISPES

(gli italiani
e la politica)

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