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  ITALIA TRA OLD E NEW ECONOMY

Austerity, inflazione.
Avanza lo spettro
degli anni Settanta

di Giuseppe Pennisi

Mentre il Presidente del Consiglio, Massimo D’Alema esalta “la fantasia, la leggerezza e l’intelligenza” della “new economy” del Ventunesimo secolo (dimenticando, però, la linearità e flessibilità del mondo di Internet e dintorni) si stende sull’Italia il triste ricordo degli anni Settanta: domeniche a piedi (oppure in bicicletta), anatemi contro gli sceicchi del petrolio (ed i loro alleati di casa nostra), il fantasma dell’inflazione (tra breve additato come nuovo colpevole di un ciclo economico italiano con una marcia in meno rispetto a quello del resto d’Europa, nonché almeno due se confrontato con quello americano).

Progressi sulla via della “new economy” se ne sono fatti anche in Italia. Raffrontando dati Censis e Assinform si tocca con mano il percorso già compiuto: da 1,3 milioni di “internauti” nel 1995 a 5 milioni stimati per il 1999 e 10 milioni previsti per quest’anno. La crescita del numero di “navigatori” non vuole dire, però, che l’“it” sia stato metabolizzato nel Dna delle imprese o della pubblica amministrazione. Dati dell’Unione Europea e dell’Ocse ammoniscono che l’Italia è, tra i paesi industriali, agli ultimi posti in termini di procedure burocratiche e di “tempi tecnici” per creare impresa ed tra i primi in termini di rigidità del mercato del lavoro. L’“it” richiede procedure lineari, semplici e veloci e flessibilità.

Proprio l’opposto di quello messo in atto o in cantiere: piccoli sgravi fiscali qua e là dal vago sapore particolaristico, qualche ritocco delle tariffe telefoniche, programmi speciali per riempire di computerini la pubblica amministrazione e  le scuole, nonché “incentivi selettivi” affidati alle mani dei burocrati. I 1300 miliardi in tre anni, stanziati nell’ultima legge finanziaria per la diffusione informatica nelle scuole e nelle imprese e gli altri 1300 attesi nella finanziaria 2001 potrebbero essere semi di sviluppo se piantati in un contesto fertile. Saranno buttati al vento se invece il terreno è stato coperto da sassi e vi si è iniettata eccessiva acidità. Ancora peggio, se seguendo i precetti della vecchia “very old politics”, le norme che riguardano gli incentivi sono zeppe di contraddizioni, mirate a dare l’impressione di fare avanzare il nuovo senza disturbare, però, quel vecchio Cipputi che, in fin dei conti, è sempre nel cuore di Governo e Parlamento. Si guardi al telelavoro, essenziale per la “new economy”. Si erigono scudi contro una proposta di referendum volta a liberalizzare il lavoro a domicilio, parte integrante del telelavoro. Si promette una normativa ad hoc per incoraggiarlo. Nelle pieghe della legge, si prevedono regole per far sì che allo scopo di “evitare che il telelavoratore si senta confinato” possa rientrare in fabbrica od in azienda più o meno se e quando vuole. In questo modo, anche il tram della “new economy” rischia di restare fermo al capolinea. Simbolo archeo-industriale dell’Italia delle domenica a piedi e delle grida contro gli untori che causano inflazione.

gi.pennisi@agora.stm.it

 

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