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Ma è proprio utile
un Polo laico nella
Casa delle libertà?

di Eugenia Roccella 

La Casa delle libertà, nelle intenzioni dichiarate del suo leader, vuole essere un luogo accogliente, ospitale, i cui membri sono pronti a dimenticare le divisioni e le fratture del passato per costruire una patria politica che unisca il maggior numero possibile di italiani. La scelta lessicale non è certo casuale, e il termine casa indica qualcosa di più di una semplice coabitazione, una comunità in cui ciascuno porti un contributo e rinunci eventualmente a una parte di sé a favore degli interessi comuni.

Ma cosa accomuna il cosiddetto Polo laico alle forze politiche che fanno parte della "casa"? L'area di appartenenza naturale di questo gruppo è, senza ombra di dubbio, il Partito radicale, una forza di estrema coerenza e riconoscibilità, con cui però è sempre stato difficile, per Berlusconi, stringere alleanze. Non soltanto per la ingombrante centralità della leadership pannelliana, ma per la distanza sempre più marcata che separa i partiti del Polo dalla rigidità ideologica dei radicali. Gli stessi problemi si porrebbero con il Polo laico, con l'aggravante (non da poco) che il consenso elettorale della minoranza "liberale liberista libertaria" è appannaggio (sacrosanto) di Pannella. Detto in altre parole, questi non spostano un voto. Loro stessi lo sanno bene, ed è proprio tale consapevolezza che li spinge a chiedere posti senza reticenze: se non glieli offre Berlusconi, nessuno del gruppo, tranne forse Sgarbi, è in grado di procurarseli autonomamente. 

Non sarebbe poi un gran male, e infatti il problema non è il seggio, che potrebbero ottenere rientrando alla spicciolata in Forza Italia, poichè Berlusconi appare sempre più simile, più che a un Grande Fratello, a una Grande Mamma incline all'indulgenza. Ma l'assoluta mancanza di elettorato di riferimento dovrebbe far riflettere questi amici non solo sulle proprie recenti e cocenti sconfitte (referendum e liste con An) e sui propri errori (voto in sostegno del governo) quanto sulla presunzione di rappresentare una garanzia di autonomia critica, una sorta di accreditato gruppo di verifica della coerenza laica e liberale del Polo. 

Se esiste un elemento unificante, nello schieramento di destra, è proprio il richiamo ai valori cristiani, quello che il polo laico definisce, con linguaggio mutuato dalla tradizione anglosassone protestante, "papismo". Ma la prospettiva da cui si considera con tanta liquidatoria supponenza la nuova capacità d'attrazione della Chiesa, appare molto datata: è un atteggiamento di perfetta cecità di fronte alla rivoluzione antropologica indotta dall'accelerazione scientifico-tecnologica, che richiede la ridefinizione dei diritti e delle libertà a salvaguardia dell'interezza dell'individuo. Da parte laica c'è un'impreparazione che può arrivare (come in questo caso) all'insensibilità, mentre la Chiesa è rimasta il deposito "naturale" di concetti e valori che hanno attraversato e superato la crisi della modernità. Se non si vuole la delega totale alla cultura cattolica, è urgente un'elaborazione teorica nuova a tutela dell'identità individuale, senza la quale il liberalismo classico diventa inapplicabile o inefficace. Nel Polo, su questi temi c'è notevole sintonia fra le diverse componenti, basti pensare all'attenzione ai problemi della famiglia naturale da parte della Lega. Se i nostri amici del Polo laico non solo non condividono queste posizioni, ma le rifiutano energicamente, bisogna essere chiari: come dicevano le mamme una volta, questa casa non è un albergo, dalla Casa delle libertà non si può entrare e uscire a piacimento.