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  BERLUSCONI VS. RUTELLI

La linea d'ombra
che divide
i due contendenti

di Giovanni Orsina

Berlusconi può davvero essere contento. Sia per chi il centro-sinistra ha scelto di candidare a premier, sia per come lo ha scelto. E non perché Rutelli abbia meno chances di Amato di vincere le elezioni - anzi, stando ai sondaggi, ne avrebbe di più. Ma perché l'attuale sindaco di Roma è il più berlusconiano fra tutti i candidati ai quali la sinistra si sarebbe potuta affidare; e berlusconiana è stata anche la maniera nella quale è giunta la sua designazione. E se poi del Cavaliere accettiamo l'immagine polemica e caricaturale che ne danno i suoi avversari, allora ci toccherà riconoscere che Rutelli è perfino più berlusconiano di Berlusconi in persona.

Nel 1994, l'ormai proverbiale "discesa in campo" incontrò la violenta opposizione e le feroci critiche degli antiberlusconiani soprattutto per la sua presunta evanescenza politica. Osservata più da vicino, quest'evanescenza sembrava scaturire soprattutto da due degli elementi che caratterizzavano l'iniziativa del leader di Arcore. In primo luogo, l'assenza di radici storiche, la mancanza di un legame politico - non personale - con il passato dell'Italia repubblicana: una mancanza resa particolarmente evidente dal fatto che quell'iniziativa non si appoggiava ad alcun partito preesistente, ma se n'era anzi creato uno nuovo per l'occasione. Insomma, l'essere Berlusconi a tutti gli effetti un autocandidato, costruito al di fuori dei circuiti partitici nei quali, per tradizione, era sempre stata reclutata l'élite repubblicana. In secondo luogo, e proprio perché priva di uno spessore storico e partitico, l'iniziativa del Cavaliere era considerata una mera operazione di immagine: una scatola vuota, ma splendidamente incartata, e promossa da un venditore straordinario (oltre che dal proprietario di tre televisioni). E' davvero paradossale, anche se forse non del tutto inatteso, che nell'investire il suo candidato per il 2001 il centro-sinistra abbia finito oggi per compiere un'operazione non del tutto dissimile da quella per la quale, sei anni fa, attaccò Berlusconi con tanta violenza. Pur avendo una storia politica personale indubbiamente ricca, infatti, Rutelli non è in questo momento l'esponente di alcun partito; la sua, per molti versi, è stata un'autocandidatura, per quanto certamente assai attenta agli equilibri politici del momento; infine, la sua immagine di giovanotto belloccio e pulito, e il consenso che quell'immagine raccoglierebbe secondo i sondaggi, hanno avuto nella sua designazione un peso senz'altro considerevole. Il fatto che il sindaco di Roma abbia ricevuto la sua consacrazione definitiva nel corso di un programma televisivo non fa che completare sul piano simbolico il carattere berlusconiano della sua "discesa in campo".

E però, detto tutto questo, tra il fenomeno-Berlusconi e il fenomeno-Rutelli continua a passare una differenza enorme. Una differenza che, in realtà, ha un nome e un cognome: democratici di sinistra. Nel 1994 il Cavaliere è diventato il leader non di un movimento politico, ma di uno spazio elettorale. Di quello spazio, Berlusconi è stato non soltanto il punto di riferimento simbolico e mediatico, ma anche il rappresentante programmatico. Il leader di Arcore, in altre parole, è certamente un grande venditore, ma le scatole che vende sono tutt'altro che vuote. E, di quelle scatole, tutto - la produzione e la gestione, e poi la presentazione, il marketing e la vendita, tanto sul piano elettorale quanto su quello politico ed eventualmente di governo - è affidato alle mani, e alla responsabilità, di Silvio Berlusconi. Rutelli, al contrario, non ha trovato davanti a sé uno spazio orfano e libero, che possa occupare in autonomia. Per quanto valore elettorale e politico egli possa personalmente aggiungere al centro-sinistra, rimarrà sempre il rappresentante "esterno" di una coalizione - peraltro ipertrofica, eterogenea e rissosa - e in particolare dell'azionista di maggioranza di quella coalizione: i Ds. Berlusconi, insomma, è l'uomo di se stesso; Rutelli, l'uomo di Veltroni. È per questo motivo che la candidatura del sindaco di Roma rappresenta un'operazione d'immagine molto più pura ed esclusiva di quanto le iniziative del Cavaliere non siano mai state. Perché la sostanza politica è altrove. Il che, per altro, era già avvenuto con Prodi. E però, anche a prescindere dalla statura personale del professore bolognese, la sua designazione si legava almeno a un progetto di ristrutturazione dello spazio politico. Mentre, fallito il disegno ulivista, all'orizzonte della candidatura di Rutelli non se ne scorge oggi nessun altro.

La frattura che nello schieramento di centro-sinistra separa l'immagine elettorale dalla sostanza politica ha sul piano istituzionale delle conseguenze di particolare gravità. Il potere esecutivo è infatti rimasto a cavallo di quella frattura, e fatica a trovare un punto di contatto stabile con le scelte dei votanti. Da questo punto di vista, la decisione di non candidare Giuliano Amato appare piuttosto significativa. E' il governo che sta adesso gestendo la legge finanziaria, emanando provvedimenti cruciali per il presente e il futuro di questo paese. Ma sul suo operato gli italiani non potranno pronunciarsi - così come non lo potranno né sul gabinetto Prodi, né sul D'Alema. E allora - poiché i sistemi politici, perfino in Italia, hanno una memoria e seguono una logica - quanto potrà mai durare un eventuale futuro governo Rutelli, guidato da un premier che del potere esecutivo possiede la forma elettorale, ma non la sostanza politica?

gorsina@luiss.it