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  COMMENTI

Russia giù, Cina su.
Geopolitica del
medagliere olimpico

di Vittorio Macioce 

E' passato poco più di un secolo (104 anni) dalla prima Olimpiade moderna. L'avventura, si sa, è ricominciata ad Atene nell'ultimo tratto dell'Ottocento. Ha attraversato il Novecento, tra le macerie delle due guerre globali, sotto il sole delle ideologie, le peripezie politiche, i volti dei tanti leader, carismatici o meno, democratici o totalitari, spietati e prudenti, sacerdoti del mito della razza o del partito. Le olimpiadi moderne sono state un grande evento sportivo, scenario delle storie personali, da raccontare ai nipoti (dai quattro ori di Jesse Ovens, all'umana sconfitta di un Dorando Petri, passando per i piedi scalzi di Abebe Bikila, alle medagli di Mark Spitz e alla maledizione olimpica della nazionale italiana di volley), ma anche specchio di rivoluzioni culturali, politiche, nazionali, tra boicottaggi, guerre e attentati. Storia e specchio di un secolo, fino a Sydney 2000, l'ultima tappa, per poi riprendere il cammino verso Atene 2004, di nuovo ai piedi della leggenda.

Le medaglie rappresentano solo la sintesi contabile di questo percorso. Raccontano poco, ma possono servire a dare il senso della potenza storica delle nazioni, non solo nello sport. Il medagliere, in fondo, può essere letto anche come un termometro geo-politico delle nazioni, o meglio, degli Stati. In fondo, se un giorno qualcuno volesse sintetizzare perché il Novecento sia stato il secolo americano può anche mettere mano al medagliere olimpico e leggere: 871 ori, 679 argenti, 586 bronzi. Totale: 2136 medaglie. E magari può anche restare un po' stupito osservando che la piccola, misera Italia, con la sua vanagloria da grande potenza sempre abortita, si piazza nella graduatoria storica al quinto posto (172 ori, 137 argenti, 154 bronzi, vale a dire 463 medaglie), prima del Giappone e della Cina, prima della Germania Est, fabbrica di campioni, prima dell'Argentina o del Brasile. Indietro, certo, rispetto all'Unione Sovietica, ma non così lontana da Francia (188 ori) e Gran Bretagna (180). Un'Italia (13 ori, 8 argenti, 13 bronzi) che anche a Sydney, alla fine, si piazza nelle prime posizioni, settima, con qualche argento di meno rispetto alla Francia (13, 14, 11), con un oro che la divide dalla Germania (14, 17, 26), quasi vicina ai padroni di casa australiani (16, 25, 17) e come tradizione vuole lontana dagli Stati Uniti (39, 25, 33), da una Russia (32, 28, 28) in declino, ma sempre forte, capace comunque di contrastare l'avanzata cinese (28 ori, 16 argenti 15 bronzi), che presto o tardi è destinata a diventare la seconda nazione del globo olimpico. Quella Cina che a Seul, nel 1988, era riuscita a catturare solo cinque medaglie d'oro, per poi compiere già un grande salto a Barcellona nel '92, quando al primo posto nel medagliere compariva la sigla Csi (45, 38 e 29) e la Germania unita si piazzava appena dietro gli Stati Uniti, con 33 ori (37 quelli a stelle e strisce). Atlanta, olimpiade del centenario, segnava già la fine dell'impero russo, la nascita di nuovi Stati sovrani, il quarto posto della Cina, il sesto dell'Italia (13, 10, 12) e l'emergere dell'Australia, che si preparava a sostituire Cuba come potenza olimpica, lasciando così il segno del più giovane dei continenti nell'equilibrio mondiale.

Sydney continua questa tendenza. Sono state le olimpiadi della globalizzazione, con il peso delle nazioni emergenti che si fa sentire nei singoli sport, che conferma, per esempio, nel calcio la seconda vittoria di una squadra africana (dopo la Nigeria, il Camerun). Segna l'aumento progressivo del numero delle nazioni partecipanti (localismo, quest'anno c'era anche un rappresentante di Timor Est), ma anche degli atleti (partecipazione globale). Magari queste cifre servono a poco, ma una considerazione forse è il caso di farla. Globalizzazione può voler dire vittoria di una cultura dominante (come temono i contestatori di Seattle), ma può anche voler dire maggiore partecipazione delle diverse cultura ad una comunità internazionale etereogenea, che accorcia le distanze, ma prende anche atto delle differenze. L'interpretazione è libera. In fin dei conti ognuno vede nella sfera del futuro quello che vuole.

maciovit@libero.it