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  BERLUSCONI VS. RUTELLI

La lunga marcia
da sindaco di Roma
a "berluscones"

di Luciano Lanna

Il più esplicito è stato il presidente dei Democratici, Arturo Parisi: "La nostra ambizione è quella di diventare la Forza Italia dello schieramento di centrosinistra: se una lezione possiamo prendere dal Polo è quella della compattezza politica della sua coalizione". E di modello Forza Italia per il centronistra hanno recentemente parlato anche Willer Bordon e, soprattutto, lo stesso candidato premier Francesco Rutelli. Anzi, quest'ipotesi sembrerebbe rappresentare la vera sfida interna tra i partiti della coalizione attualmente al governo. Quella sul presunto e ventilato "Partito democratico", un nuovo contenitore di coalizione, effettivamente postcomunista e postideologico, costruito sulla centralità della leadership e sull'ipotesi che sia possibile realizzare in Italia una sorta di New Labour blairiano o un soggetto assimilabile allo schieramento dell'Asinello a stelle e strisce. E' comunque chiaro che per dare alla luce compiutamente un simile progetto non ci sarebbero i tempi. La campagna elettorale incombe. E Rutelli sarebbe, allora, l'icona aggregante e il precursore in grado di velocizzare il processo: non viene da una storia comunista, ha dimostrato negli anni di non ingessarsi in alcuna identità ideologica, è riuscito a diventare sindaco di Roma anche con l'apporto di una lista civica in grado di intercettare voti moderati, ha costruito un rapporto con ambienti cattolici e dell'andreottismo politico romano pur sedendo a Strasburgo nel gruppo dei liberaldemocratici. E soprattutto avrebbe dalla sua l'immagine e quello che fino a qualche tempo fa suonava come eresia e barbarie alle orecchie dei progressisti: i sondaggi. 

Insomma, la sinistra sembrerebbe aver rimangiato la sua storia degli ultimi sette anni e starebbe per incamminarsi verso una berlusconizzazione senza Berlusconi e un partito-comunicazione senza uomini di Forza Italia. Non è un caso che la candidatura non sia nata in un congresso o dopo le "primarie" ma nel corso una trasmissione televisiva e sia stata rafforzata da una forte campagna mediatica sulla stampa vicina a Rutelli, a Veltroni e alle componenti liberal del centrosinistra. Se ne è fatto sostenitore lo stesso Achille Occhetto, grande sconfitto del berlusconismo nel '94 e assai vicino lo scorso anno a lasciare i Ds per passare all'Asinello, il quale ora ammette: "La candidatura Rutelli porterà al Partito Democratico". Certo, non mancano e non mancheranno sgambetti e imboscate, dissensi e distinguo interni: da Boselli a Mastella, passando alla componente di sinistra dei Ds, fino ai comunisti cossuttiani e ai bertinottiani, l'eterogeneità di vedute e sensibilità e il timore di un partito unico non renderà troppo facile il percorso di una semplificazione della sinistra italiana. La certezza, per ora, è che con la candidatura Rutelli si sia volutamente scesi sul terreno dell'avversario, mutuandone metodo e comunicazione. Qualche giorno fa lo ha indirettamente ammesso Frabrizio Rondolino, oggi autore del Grande Fratello ma fino allo scorso anno una delle teste pensanti vicine a D'Alema: "Una delle cause profonde del successo di Berlusconi non sta nel possedere tre canali televisivi, ma nell'averli creati. Per fare la tv bisogna conoscere bene il paese in cui si vive, le sue tendenze profonde". Ma basterà la nuova strategia "berlusconiana" del centrosinistra a non infrangersi in mille contraddizioni e non far perdere ulteriori fasce di elettorato?

Il problema, infatti, non sembra essere solo quello del look e dell'appeal mediatico. L'effetto nullo delle campagne di demonizzazione mediatica attuate lo scorso aprile dal centrosinistra nei confronti della Casa delle libertà starebbero a dimostrarlo. Perché, ad esempio, nonostante tutto, Cacciari non ha vinto nella sfida con Galan per la presidenza della Regione Veneto? E di esempi di questo tipo se ne potrebbero trovare molti altri. La questione infatti è anche quella - fondamentale - del blocco sociale di riferimento e della capacità di una coalizione di esprimere "rappresentanza sociale". Da questo punto di vista l'aggregazione berlusconiana è riuscita negli ultimi anni a identificare le sue battaglie e le sue istanze con quelle di un preciso e definito blocco sociale di riferimento, maggioritario nella società italiana: quello dei ceti medi interessati ad una semplificazione amministrativa e fiscale del nostro vecchio apparato amministrativo e economico, dei nuovi soggetti emersi dalla globalizzazione e dalla new economy, dei cattolici attenti ad una mediazione tra sviluppo economico e tenuta etico-sociale del paese, dei tanti esclusi dal mercato del lavoro in cerca di una serie di riforme in grado di rimettere in gioco nuove opportunità. E' un blocco sociale preciso che - fatte salve le dovute trasformazioni - corrisponde grosso modo ai ceti in precedenza rappresentati dal pentapartito più la destra. Ed è un blocco sociale che difficilmente può delegare ad altri la tutela delle sue istanze e delle sue speranze. Ha l'attuale centronistra un analogo riferimento e un'analoga massa critica nella società italiana? Si può riuscire a far convivere insieme sostenitori di riforme dell'assetto pensionistico sulla linea di Amato, seguaci del Bertinotti anti McDonald's e della Francescato tifosa dei contestatori di Seattle, democristiani alla Mastella e diessini alla Franco Debenedetti? Il compito è davvero difficile e non è detto che l'immagine del premier e la demonizzazione degli avversari possano bastare. 

lucianolanna@hotmail.com